Discursus de pace inter imperatorem et regem
L’autografo è composto di due carte, acefalo, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze sotto la segnatura: Acquisti e Doni, I 3, cc. 1-2. Anche il titolo, preceduto dalla menzione della data («500»), è autografo. Fu pubblicato per la prima volta da Paolo Ghiglieri in appendice a Un inedito del Machiavelli (cfr. Ghiglieri 1966, pp. 178-80).
Per le circostanze storiche, bisogna distinguere da un lato quelle che si riferiscono alla biografia di M., cioè lo svolgimento della sua prima ambasceria in Francia alla corte di Luigi XII tra agosto e novembre 1500; dall’altro, quelle evocate nel testo che si presenta come verbale di una conversazione avvenuta verso la fine della missione del Segretario in Francia.
È il solo testo legato alla missione in cui venga obliterata la vicenda fiorentina che aveva determinato l’invio del Segretario presso il re di Francia, cioè l’indisciplina e la slealtà spinte fino all’ammutinamento delle truppe francesi all’assedio di Pisa (→) . Il Discursus tratta, invece, del problema fondamentale, nei rapporti fra Stati, della pace e della guerra, e dell’attività diplomatica che vi presiede. Nei momenti di stallo rispetto alla difficile questione del pagamento (preteso da Luigi XII, pur a fronte dell’insuccesso delle truppe messe a disposizione dei fiorentini), M. dedica buona parte del tempo a sorvegliare i maneggi del papa e degli Stati della penisola, quali gli appaiono dall’osservatorio francese, ma segue anche l’evoluzione dei rapporti tra il regno di Francia e l’impero. La sua lettera inviata ai Dieci da Tours il 24 novembre, in seguito al resoconto di un ennesimo colloquio burrascoso con il re, evoca l’udienza accordata dal re all’ambasciatore Filippo di Nassau, presenti i rappresentanti del papa, della Spagna, di Venezia, nonché «tre o quattro gentili uomini italiani». L’«ambasciata della Magna» costituisce, afferma l’autore della lettera, una mossa solenne in vista di ottenere la pace fra l’imperatore e il re cristianissimo, «capi di cristianità», per formare un fronte unico e potente contro gli infedeli (LCSG, 2° t., pp. 614-15). Dagli appunti presi in tale occasione, scaturisce la materia del Discursus, che riferisce un colloquio fra M. e un alto personaggio della corte rimasto anonimo (potrebbe trattarsi di Florimond Robertet, segretario di Luigi XII e tesoriere di Francia, con il quale M. si era effettivamente intrattenuto secondo la lettera predetta) sulle modalità di pace o di accordo tra l’imperatore Massimiliano e il re di Francia Luigi XII. Dare la parola a un personaggio importante, anche se non nominato, conferisce maggior peso al discorso, secondo una tecnica che M. userà volentieri nella sua opera storica.
Per la stesura del Discursus è stata proposta da Sergio Bertelli e Jean-Jacques Marchand, sulla base di criteri interni ed esterni, una datazione ai mesi immediatamente successivi al ritorno del Segretario in cancelleria, documentabile al 14 gennaio 1501, quando il problema dei mercenari non era più all’ordine del giorno, e lontana ormai la cattiva accoglienza del re e del suo primo ministro, Georges d’Amboise (→) . L’interesse si appunta ora sulla situazione dell’Europa, dove la recente conquista di Milano da parte dei francesi aveva provocato un vero e proprio terremoto politico, giacché appariva quale una sfida all’impero, cui la città lombarda era giuridicamente sottoposta. Luigi XII aveva perciò concluso una tregua con Massimiliano, chiedendogli l’investitura di Milano per il piccolo Francesco Sforza (figlio del duca Gian Galeazzo), che teneva prigioniero e a cui destinava come moglie la propria figlia Claudia. Un governatore avrebbe retto il ducato in nome suo, ma «in fatto verrebbe ad esserne duca el re» (§ 4).
Si profila nel Discursus una pace a tutto vantaggio del re di Francia, solo formalmente avvolta nell’ossequio al monarca universale. Si affacciano nel testo temi, lessico («li può dare che pascersi in Italia sopra el Viniziano», § 3) e formule comunicative («e chi dicessi», § 7) dell’opera politica maggiore di Machiavelli. La guerra vi si presenta come massima esposizione alla fortuna, per cui, scegliendola, si gioca una partita che può rivelarsi mortale, anche quando essa si riveli «necessaria». Non ultimo emerge il ruolo decisivo del denaro – che il re di Francia possiede in abbondanza – come strumento diplomatico in vista della pace, mentre essenziale nella condotta della guerra si delinea la fedeltà dei baroni al re.
Bibliografia: Edizioni: P. Ghiglieri, Un inedito del Machiavelli, «La bibliofilia», 1966, 68, pp. 165-80; ed. con commento in J.-J. Marchand, Niccolò Machiavelli. I primi scritti politici (1499-1512). Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova 1975, pp. 24-41; ed. a cura di J.-J. Marchand, in L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, Roma 2001, pp. 425-34.
Per gli studi critici si vedano: F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino 1964, pp. 278-88; G. Sasso, Niccolò Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, Bologna 1980, pp. 57-62.
Per l’esame della lettera del 24 novembre 1500: M. Marietti, Machiavel. Le penseur de la nécessité, Paris 2009, pp. 64-74.