DISEGNO ARCHITETTONICO
Rappresentazione bidimensionale grafica di un edificio o di una sua parte o elemento, con intenti progettuali, dimostrativi, didattici o di studio e di sperimentazione architettonica.La presenza di particolari qualificanti, come il rapporto di scala o la comparsa di segni convenzionali, comporta una netta distinzione tra il d. architettonico e tipologie iconografiche affini, attuate peraltro con differenti tecniche e propositi, come l'architettura raffigurata (v.), o il d. tout court (Degenhart, Schmitt, 1968-1980). Ulteriori categorie di mezzi rappresentativi a scopo progettuale ed esecutivo, come le incisioni su pietra presenti in numerosi edifici medievali, le sagome o i modelli tridimensionali, seppure non strettamente considerabili esempi di d. architettonico, ne condividono purtuttavia, oltre alla funzione, alcune caratteristiche tecniche.Per esaminare nel dettaglio lo stato degli studi ed enucleare i principali problemi critici ancora aperti si può tentare di tracciare una linea di sviluppo della tecnica del d. architettonico nel Medioevo, sebbene la relativa scarsità degli esempi conservati e la loro concentrazione nell'epoca gotica rendano assai arduo il compito di ricostruire il processo progettuale e le modalità dell'utilizzo del d. architettonico anteriormente al Duecento.L'eredità classica è stata da più parti dimostrata (Pevsner, 1942; Booz, 1956; Hecht, 1983; Müller, 1990) alla base della nascita non solo del d. architettonico ma della stessa pratica costruttiva medievale attraverso due differenti canali: da un lato la trattatistica, in primo luogo rappresentata da Vitruvio, dall'altro la manualistica, data dai libri di agrimensura (v.) e dalle loro illustrazioni. Questi ultimi sono da riconoscersi in buona misura responsabili della diffusione della modularità ad quadratum, derivata peraltro dalla consuetudine edilizia dell'antichità preclassica (Hecht, 1983; Müller, 1990). Essa è stata estensivamente applicata in tutto l'Occidente medievale, in urbanistica come in architettura, data la relativa semplicità di riporto sul terreno di un simile schema 'a griglia' di unità quadrate, grazie a elementari misurazioni e delimitazioni eseguite con pertiche tarate, pali e corde, come provano tra l'altro testimonianze letterarie e iconografiche (Booz, 1956; Kidson, 1990), prescindendo quindi, almeno teoricamente, dalla necessità di un progetto disegnato.Per quanto riguarda Vitruvio, mentre è certo che nell'Alto Medioevo la sua opera avesse, segnatamente in ambito benedettino, una certa diffusione - ne sono prova i codici di Londra (BL, Harley 2767) e di Sélestat (Bibl. Humaniste, 17; Herselle-Krinsky, 1965) -, appare probabile che l'applicazione delle teorie vitruviane fosse limitata soltanto ad alcuni dei principali parametri, come la ordinatio e la dispositio (Pevsner, 1942), tralasciandone altri, quali l'eurythmia, la symmetria, il decor e la distributio. Già nell'opera di Rabano Mauro e di Isidoro di Siviglia è presente il concetto di pianta di un edificio (ichnographia) ed è dunque ipotizzabile una certa diffusione della pratica di rappresentazione di una costruzione a livello del suolo, anche se non necessariamente legata a fini progettuali. A riprova di ciò è dato trovare in manoscritti altomedievali vere e proprie planimetrie, anche se schematiche e non in diretto rapporto con la costruzione a cui si riferiscono, come la serie di edifici della Terra Santa che illustra opere quali il De locis sanctis, basato sul racconto di Arculfo (v.), di cui si conservano numerose copie (Parigi, BN, lat. 13048, c. 4v; Vienna, Öst. Nat. Bibl., 458, c. 11v; Zurigo, Zentralbibl., Rh.73, cc. 5r, 9v, 18v). Si tratta di schemi eseguiti a penna, sulla base di un tracciato preinciso, in parte con compasso e riga, il cui riferimento ai monumenti gerosolimitani, in specie il Santo Sepolcro, risiede soprattutto nella forma genericamente rotonda degli edifici e nella loro identificazione fornita dal testo, ma che tuttavia si distinguono già nettamente dalle coeve rappresentazioni dello stesso edificio con intento pittorico, certo di maggiore impatto visivo, riscontrabili in miniature, affreschi, mosaici, o su avori e oggetti metallici. La presenza, inoltre, di alcuni segni convenzionali a rappresentare porte, altari, o altre strutture è ciò che meglio caratterizza opere di questo tipo come veri e propri d. architettonici in nuce, peculiarità che ritorna nel principale esempio altomedievale di d. architettonico conservato: la pianta nota come piano di San Gallo (San Gallo, Stiftsbibl., 1092).Questa pianta, inviata dall'abate Haito di Reichenau a Gosberto di San Gallo in vista della totale riedificazione di quel monastero, realmente attuata a partire dall'830, consiste in un dettagliato sviluppo planimetrico illustrante l'intero complesso abbaziale ed è corredata da alcune indicazioni circa le funzioni o le misure dei singoli edifici. Dal complesso quadro critico su quest'opera (Horn, Born, 1966; Hecht, 1983; Hoffmann, 1992; Jacobsen, 1992) sembra emergere ormai incontestabilmente il dato che il d. si fondi su un tracciato modulare ad quadratum, con unità misurate in 2,5 piedi carolingi (Horn, Born, 1966; Hecht, 1983); tutte le strutture edilizie disegnate risultano costruite con precisione sulla base di tale unità metrica e gli spazi appaiono ricavati con la quadruplicazione in progressione aritmetica del modulo unitario. È con buona probabilità in scala 1:192 (1 pollice=16 piedi), fattore che combina le misure a base duodecimale con quelle a base esadecimale. La pianta, che pure sembra eseguita a mano libera (Horn, Born, 1966), presenta segni di preincisione al compasso per i profili curvilinei delle absidi, nonché abrasioni, correzioni e ripensamenti (Jacobsen, 1992), primo tra tutti quello concernente l'allungamento della chiesa da 200 a 300 piedi ca.; questi rendono meno improbabile l'ipotesi di chi riteneva, già per altre ragioni (Stachura, 1978), che ci si trovi davanti a un originale e non a una copia, come perlopiù sostenuto. La datazione oscilla principalmente tra l'820 (Hecht, 1983) e l'830 ca. (Jacobsen, 1992); quest'ultima indicazione è resa più probabile dal fatto che l'estensore della pianta indica come dedicatari di altari laterali i martiri romani Cecilia e Sebastiano, il cui culto fu magnificato dalle traslazioni degli anni 821-826.Più che i collegamenti tipologici tra la disposizione degli edifici del complesso monastico del piano di San Gallo e i possibili precedenti, come le villae rusticae tardoromane della regione, più che i richiami alle disposizioni conciliari di Aquisgrana (816-817) o il confronto icnografico e stilistico della chiesa disegnata con le abbazie carolinge conservate (v. Abbazia), in un contesto di sviluppo storico del d. architettonico interessano soprattutto le notazioni della critica sulle finalità della pianta: pura speculazione al limite del gioco intellettuale, pianta ideale o progetto con la possibilità di essere eseguito. Tra queste ipotesi (Hoffmann, 1992), l'analisi del testo di accompagnamento del d., nel quale Haito esorta Gosberto a mettere in atto la propria solerzia circa la concezione della nuova abbazia con l'aiuto, appunto, dello schema inviato, autorizza a ritenere, come sostenuto da più parti, che il piano di San Gallo sia di per sé un progetto ideale, pur se contestualizzato da indicazioni come quelle della sepoltura del santo titolare, le cui reliquie dovevano effettivamente trovare posto nella nuova chiesa. Le legende dimensionali e il rapporto di scala potevano tuttavia facilitarne un'eventuale applicazione di massima, di cui si è peraltro cercato di verificare archeologicamente la possibilità, con risultati anche recentemente ripresi in esame (Jacobsen, 1992).Per il periodo romanico, la prassi operativa di gran lunga più comune, spesso testimoniata dalle fonti, continuava a essere la fondazione di un edificio per misurazioni dirette sul terreno. Gli spazi interni venivano determinati soprattutto con una proporzionalità ad quadratum sulla base delle unità metriche impiegate localmente, in modo da garantire un'esecuzione quanto più facile e rapida e da porsi al riparo dalla possibilità di ottenere grandezze numeriche irrazionali, i numeri surdi, che viceversa una divisione per moduli consistenti in triangoli equilateri avrebbe comportato. Un simile metodo prescindeva da una progettazione preliminare con d. architettonici, la cui sostanziale assenza fino a tutto il sec. 12° non può essere spiegata con una loro totale scomparsa. Ciò non esclude, tuttavia, che in taluni casi siano state approntate planimetrie di edifici nel corso delle fasi preliminari di costruzione o eseguiti rilievi di altri, per studio o per costruzioni da esemplarsi su tale modello.Il grande sviluppo della tecnica del d. architettonico si ebbe nel primo Duecento nella Francia settentrionale, in uno con il conseguimento delle conquiste tecniche del Gotico maturo. Questa grande stagione, testimoniata da importanti documenti, fu tuttavia preceduta dalla comparsa di d., relativi peraltro a singoli elementi architettonici perlopiù a grandezza naturale, incisi su pietra, i più antichi dei quali si trovano, significativamente, nelle abbazie cistercensi di Byland, in Inghilterra, e di Noirlac, in Francia (Branner, 1963; Schöller, 1989a; 1989b), a riprova dell'interesse per la sperimentazione architettonica da parte dei Cistercensi (v.) nei decenni tra il sec. 12° e il 13°, oltre che nella collegiata di Notre-Dame-en-Vaux a Châlons-sur-Marne. Essi risalgono con buona probabilità ancora agli ultimi anni del sec. 12°, mentre dell'inizio del Duecento è il rosone inciso su una parete della cattedrale di Soissons e di poco più tarde sono le estese incisioni delle cattedrali di Reims e di Clermont-Ferrand, nonché la pianta completa in scala della Liebfrauenkirche di Treviri.Ugualmente precedente alla presenza sistematica sui cantieri di d. architettonici su pergamena fu l'utilizzazione di sagome per determinare i profili di pilastri, costoloni e altri elementi della costruzione. Di fatto già documentate a Canterbury nel 1179, con Guglielmo di Sens (Shelby, 1971), queste venivano realizzate in vari materiali, come legno o tela di canapa, e indicate dalle fonti inglesi con il termine di molds e da quelle francesi come moles o molles. Esse sono raffigurate, con gli strumenti utilizzati per produrle, su alcune vetrate della cattedrale di Chartres e soprattutto nel taccuino dei disegni di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093), il più importante dei taccuini (v.) di d. tecnico che il Medioevo abbia lasciato, oggetto di numerosi studi (Hahnloser, 1935; Branner, 1960; 1963; Binding, 1981; Recht, 1981; Carnet de Villard de Honnecourt, 1986; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989) e tuttora al centro di una ben nota querelle critica. Nel taccuino, vergato intorno al 1225 in Francia settentrionale, si trovano esposti, con dichiarato intento teorico e didattico, alcuni d. architettonici - piante (esligesments), alzati (montées) e particolari architettonici -, oltre a raffigurazioni di strumenti della pratica di cantiere, realizzati a mano libera, in parte ripassando a penna tratti preincisi con uno stilo metallico (Schöller, 1978). Mentre il carattere sperimentale di talune piante è esplicitato dalle note dell'autore, più complesso sembra essere il discorso per le rappresentazioni di edifici in alzato; resi con vedute frontali o scorci prospettici, con forti distorsioni e contrazione delle parti laterali, e ripresi dal vero o talora da d. scartati (Branner, 1963), come nel caso della cattedrale di Reims, essi potevano avere lo scopo di fornire un modello per ulteriori costruzioni, come la collegiata di Cambrai, nominata dall'autore. Una valutazione forse eccessivamente ampia dell'attività di Villard come architetto ha portato ad attribuirgli anche il d. inciso nella collegiata di Saint-Quentin, in Piccardia, riconosciuto in rapporto con alcuni d. dell'album (Bucher, 1977).Ad anni successivi, dopo la metà del secolo, risalgono i d. contenuti nel c.d. palinsesto di Reims (Reims, Arch. Dép. de la Marne, G 661); si tratta di una pergamena recante, incisi a stilo metallico con l'aiuto di riga e compasso, due progetti di facciata, poi smembrata e riutilizzata come supporto di scrittura di un codice. Rimane non del tutto chiara la funzione della serie di fori che compaiono lungo alcune linee del tracciato, utilizzati con maggiore verosimiglianza per la copia (Murray, 1978), piuttosto che come guida per le linee incise (Branner, 1958).Numerosi sono stati gli interventi tesi a delineare le caratteristiche intrinseche di alcuni d. architettonici di epoca gotica (Booz, 1956; Hecht, 1966; Pause, 1973; Recht, 1981a; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989) o i tentativi, talvolta eccessivamente articolati (Bucher, 1968), di classificazione. Più spesso, tralasciando caratteristiche tecniche o finanche stilistiche, essi sono stati posti in relazione con i corrispondenti edifici realizzati per un confronto puramente formale o, talvolta, iconografico.Alla seconda metà del Duecento risalgono i più antichi fra i d. relativi alla facciata della cattedrale di Strasburgo, che mostrano già una padronanza della tecnica grafica e di rappresentazione dell'architettura appieno conquistata. Tali d. (Strasburgo, Mus. de l'Oeuvre Notre-Dame, nrr. 1-6, 15-16, 21) costituiscono un caso unico di testimonianza di progetti succedutisi per il completamento di una cattedrale gotica e provano come nel volgere di pochi decenni si sia andato perfezionando in Europa centrale un metodo progettuale comprendente, nella quasi totalità dei casi, una fase disegnativa preliminare su supporto mobile. A parte il più antico nr. 1 (detto A), i d. strasburghesi consistono in sviluppi grafici di grandi dimensioni, perfettamente curati nei dettagli, eseguiti a penna con riga e compasso su tracciato preinciso, in parte rifiniti nei casi più tardi e complessi con colorazione a pennello fine (Pause, 1973; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989). Erano destinati a essere esposti e discussi per l'approvazione (Recht, 1981a; 1981b) e per il passaggio alla fase esecutiva, ma recavano già ogni particolare che ne avrebbe permesso l'attuazione. È da notare che il d. A mostra lo sviluppo in alzato di una metà soltanto della facciata della cattedrale. Antesignano di una peculiare tipologia di d. architettonico del Gotico maturo che sottintende il recupero della prescrizione vitruviana della simmetria - insito invero nella concezione della façade harmonique delle cattedrali francesi protoduecentesche, ma fino a questo momento mai altrettanto chiaramente sancito -, tale d. è da ritenersi basilare per lo sviluppo della tecnica del d. architettonico gotico fino alla manualistica quattrocentesca di Matthäus Roritzer (Das Büchlein von der Fialen Gerechtigkeit, Nürnberg 1486) e oltre.Alcuni dei d. di Strasburgo eseguiti nell'ultimo quarto del Duecento, in particolare il nr. 4 (detto D), sono stati attribuiti (Pause, 1973; Liess, 1986b; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989) a Erwin di Steinbach (v.), capomastro del duomo in quegli anni, al quale in un primo tempo era stato riportato anche l'accuratissimo nr. 3 (detto B), poi riconosciuto di poco precedente (Kletzl, 1938-1939; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989). I più recenti tra i d. medievali relativi a quel cantiere sono stati legati all'ambito degli architetti della famiglia Parler (v.), attivi a fine Trecento in alcuni dei più importanti centri europei, da Vienna a Praga, a Milano, a cantieri di città bavaresi.Nel corso del sec. 14° è stata prodotta la quasi totalità dei d. architettonici medievali conservati. Dotati perlopiù di caratteristiche tecniche comuni, come il rapporto di scala - mai indicato esplicitamente -, la proiezione ortogonale, la descrizione dei particolari architettonici e scultorei (Booz, 1956; Hecht, 1966; Pause, 1973; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989), essi sono stati quasi sempre catalogati per aree culturali o regionali e riconosciuti in gran maggioranza come progetti, con la possibilità tecnica di essere eseguiti. Altri sembrano piuttosto d. di studio o copie di progetti da utilizzarsi per ulteriori costruzioni.Nei progetti trecenteschi di area germanica appare evidente il processo generativo mediante manipolazione di figure geometriche piane per rotazione, traslazione e sovrapposizione, che denuncia l'apprendistato seguito dai costruttori, in cui un ruolo non secondario era svolto dall'insegnamento dei 'segreti' della geometria (v. Cantiere). La stessa assenza di sezioni verticali a favore di piante di più livelli sovrapposti ha fatto orientare gli studiosi (Booz, 1956; Cadei, 1991) a ritenere i costruttori capaci, in base alle proprie conoscenze, di ricavare da queste planimetrie multiple le indicazioni per costruire le strutture in alzato. Il metodo di esecuzione di questi d. prevedeva nella quasi totalità dei casi la fase iniziale di preincisione (Schöller, 1978), ben evidenziabile con esami a luce radente o a raggi ultravioletti.Tra i progetti emerge il gruppo relativo al duomo di Colonia (Colonia, Dombauarch. des Metropolitankapitels; Kölnisches Stadtmus.; Vienna, Kupferstichkab. Akad. der bildenden Künste), concernente la facciata, le torri e anche il corpo longitudinale e databile all'inizio del Trecento (Zimmermann-Deissler, 1958; Koepf, 1969; Wolff, 1969; Pause, 1973; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989). Con la metà del secolo si diffuse la citata prassi di accostare su uno stesso d. piante di differenti livelli dell'edificio progettato; a questa tipologia di d. appartiene il noto 'frammento Kressberg 1'(Stoccarda, Hauptstaatsarch., N 201), probabile copia parziale di un d. strasburghese (Kletzl, 1944). Tra i d. che riproducono architetture già esistenti si segnala la doppia pianta dei cori delle cattedrali di Parigi e Orléans, eseguita forse in previsione del rifacimento del coro del duomo di Strasburgo (Strasburgo, Mus. de l'Oeuvre Notre-Dame, nr. 21), risalente al 1338 ca. (Kletzl, 1938-1939), probabilmente in scala, con tracciato generatore ad triangulum. Durante il Trecento si continuò in tutta Europa anche la pratica dell'incisione di particolari architettonici su pietra, a grandezza naturale o in scala. Alcune cattedrali inglesi, così come quella linguadocana di Narbona, conservano ancora tratti di pavimento (Freigang, 1989) su cui i costruttori hanno inciso profili di archi o piante di pilastri, che in alcuni casi sono stati posti in atto con notevole approssimazione, forse anche con la mediazione di sagome (Schöller, 1989a), ma che quindi potevano assumere il ruolo di un d. esecutivo.Alla prima metà del Trecento risale gran parte dei d. architettonici italiani conservati (Ascani, 1989), quasi tutti di ambito toscano, le cui caratteristiche tecniche in parte differiscono da quelle dei d. dell'Europa centrale, ma che tuttavia sono perlopiù in scala (Toker, 1985; 1992). Malgrado una evidente resa pittoricistica dell'edificio rappresentato, peraltro spesso sopravvalutata (Degenhart, Schmitt, 1968-1980; Middeldorf-Kosegarten, 1984; Müller, 1990), tali d. dimostrano di conservare le caratteristiche della proiezione ortogonale, nonostante la rappresentazione in scorcio prospettico degli elementi posti su piani diversi da quello della struttura principale. Le misure delle pergamene, spesso ridotte rispetto agli esempi d'Oltralpe, coincidono con gli estremi dell'edificio rappresentato, peraltro corrispondenti a grandezze notevoli nel sistema metrico locale con cui furono concepiti. La pratica del d. architettonico in Italia è testimoniata già nel Duecento: mentre un non chiaro cenno documentario relativo a Nicola Pisano (Nicco Fasola, 1941, pp. 209-211, docc. 4-5) potrebbe far ritenere il d. mezzo espressivo già utilizzato dallo scultore, le notizie fornite dalle fonti divengono sicure per Arnolfo di Cambio a Perugia nel 1277 (Nicco Fasola, 1951; Middeldorf-Kosegarten, 1969, pp. 53-59) e per Giovanni Pisano a Siena nel 1296 (Bacci, 1944, pp. 38-40). I più antichi d. architettonici conservati, relativi alla facciata del duomo di Orvieto (c.d. O1 e O2), databili agli anni 1308-1310 (Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo, nrr. inv. Q2, Q3), il secondo dei quali ormai pressoché concordemente attribuito a Lorenzo Maitani (Keller, 1938; White, 1966; Middeldorf-Kosegarten, 1984; Ascani, 1989; Müller, 1990), dimostrano una prassi già acquisita e perfezionata, certamente maturata in ambito pisanesco e caratterizzata da schemi compositivi ad quadratum a base proporzionale-aritmetica, su cui si impostano moduli ad triangulum di semplificata concezione e non complessa riproducibilità.Nella serie di d. architettonici conservati a Siena, anch'essi principalmente progetti, è da distinguere il monumentale prospetto di campanile (c.d. S1), noto come 'pergamena senese' (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana, nr. 154), l'unico d. italiano di grandi dimensioni, riccamente dettagliato e ornato a colori per una verosimile presentazione alla committenza, in passato attribuito a Giotto e creduto progetto del campanile della cattedrale fiorentina, poi riferito ad ambito senese e in particolare a Lando di Pietro, ma sempre riconosciuto in buona misura dipendente da un probabile d. giottesco, perduto, per S. Maria del Fiore (Ascani, 1989). Esso si rivela proporzionato tramite un sistema di moduli a base duodecimale, con un rapporto 1:8 tra larghezza e altezza, misurando 24192 braccia fiorentine a terra (Ascani, 1989), in scala 1:48, la più comune dei d. architettonici italiani (Toker, 1985); è stato talora messo in rapporto con d. architettonici d'Oltralpe per l'idea della guglia traforata a base poligonale (Kletzl, 1939; Klotz, 1965-1966; Middeldorf-Kosegarten, 1984). Altri progetti in qualche misura realizzati riguardano il complesso episcopale di Siena o la Cappella di Piazza nella stessa città, mentre del tutto particolare è il d. contenuto nel contratto per la costruzione del palazzo Sansedoni (c.d. S5), in parte eseguito, che testimonia la prassi, non altrimenti documentata in epoca gotica, di allegare un progetto disegnato all'atto di commissione di un edificio (Siena, Coll. Monte dei Paschi). Anch'esso risulta essere in scala 1:48 e informato da una semplice composizione modulare ad quadratum e ad triangulum (Toker, 1985).Alla fine del secolo risalgono i due 'appunti grafici' di Antonio di Vincenzo relativi al duomo di Milano (c.d. M1, M2), forse copie di progetti scartati che l'artista ha tratto per studio personale e che si sono dimostrati all'origine di numerose soluzioni architettoniche della basilica bolognese di S. Petronio, da lui disegnata (Ascani, 1991). L'alzato del duomo copiato dall'artista ha permesso di rilevare (Cadei, 1991) le profonde differenze metodologiche nella prassi progettuale dei costruttori lombardi e d'Oltralpe presenti sul cantiere milanese, riflesse nell'opposizione dei due differenti metodi di progettazione aritmetico-modulare e geometrico-compositivo.Nell'Italia tardomedievale minore importanza dovettero rivestire le incisioni sul terreno, sebbene testimoniate piuttosto precocemente a Monreale, nella Sicilia di età normanna (Naselli Flores, 1986) e ancora utilizzate nel Trecento, come dimostra il caso del grande d. inciso sul pavimento del duomo di Venzone, in Friuli, recentemente riscoperto (Clonfero, 1988).Diverso è il caso del modello architettonico, utilizzato soprattutto in Toscana e nell'Italia padana nel Trecento come vero e proprio progetto architettonico di massima, da presentare all'esame di commissioni, ai committenti o alla cittadinanza. Sulla base di modelli, oltre che di d. su pergamena (v. Benci di Cione), si svolse (Oertel, 1937-1940), nel corso del secolo, la storia architettonica della cattedrale fiorentina, a partire da un modello ligneo probabilmente concepito da Arnolfo di Cambio (Romanini, 1983); nel caso di S. Petronio a Bologna da un d. fu ricavato alla fine del secolo un grande modello in muratura, poi distrutto, in scala 1:12, praticabile all'interno, a beneficio dei cittadini.Ai d. architettonici su pergamena o, a partire dal 1390 ca., su carta, si affiancarono, soprattutto in Italia, d. ingegneristici o cartografici che, pur possedendo alcune caratteristiche tecniche in comune con il d. architettonico, com'è dato riscontrare in opere come il Texaurus regis di Guido da Vigevano (Parigi, BN, lat. 11015) o nelle vedute di Opicino de Canistris (Roma, BAV, Pal. lat. 1993), sono da considerarsi tipologia di opere grafiche a sé stante. A metà tra i due generi è da porre lo schema del matematico Gabriele Stornaloco, allegato al parere a lui richiesto dai responsabili del cantiere del duomo di Milano, oggi conosciuto grazie a copie (Romanini, 1973; Ascani, 1989). Ancora, non è possibile accogliere nel corpus dei d. architettonici il brano dipinto con la raffigurazione del duomo fiorentino come immaginato da Andrea di Bonaiuto nel celebre affresco del Cappellone degli Spagnoli - pur se un rapporto di scala 1:24 (Toker, 1985) con la costruzione progettata lo differenzia da un comune episodio di architettura raffigurata - stanti le evidenti, sostanziali divergenze tecniche dei mezzi rappresentativi.Gli ultimi decenni del Medioevo furono in tutta Europa caratterizzati dalla presenza di alcune botteghe familiari, come nel caso degli svevi Parler, che, con sviluppo quasi imprenditoriale, seppero sfruttare la nuova posizione sociale che l'architetto stava conquistando - Oltralpe come già nell'Italia centrosettentrionale - nel quadro della nascente borghesia cittadina, riuscendo a dirigere alcuni dei principali cantieri europei allora aperti. Numerosi d. architettonici sono rimasti a testimoniare la precisione grafica, la fantasia compositiva, l'attenta professionalità di questi maestri. Si tratta di d. in scala, su preincisioni, quasi mai a mano libera, spesso consistenti nelle ormai sperimentate planimetrie o sezioni di una metà dell'edificio, talora in associazione su di uno stesso foglio. Tra gli esempi degni di menzione, quasi sempre di notevole qualità esecutiva e in ogni caso di sorprendente omogeneità tecnica (Hecht, 1966; Koepf, 1969; Pause, 1973; Les bâtisseurs des cathédrales, 1989), sono da ricordare i progetti conservati a Stoccarda (Stadtarch.; Kletzl, 1939), a Vienna (Kupferstichkab. Akad. der bildenden Künste, 16817, 16821), relativi al duomo di S. Vito a Praga, uno dei quali attribuito a Peter Parler, a Strasburgo (Mus. de l'Oeuvre Notre-Dame, nr. 5, attribuito a Michael Parler), a Milano (Bibl. Ambrosiana, d. di guglia attribuito a Heinrich Parler; Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica). Essi esercitarono una determinante influenza sulle opere della generazione successiva fino a giustificare l'attribuzione ad 'ambito parleriano' di decine di d. architettonici in tutta l'Europa centrale, agendo, dunque, in certa misura, come fonte di una normativa standardizzatrice a livello internazionale, che Oltralpe rimase irrefutabile punto di riferimento per la grafica architettonica successiva e che poté porre le basi per le prime, compiute teorizzazioni manualistiche, nel sec. 15°, del sistema architettonico gotico.
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