Diseguaglianze di salute e condizioni socioeconomiche
Negli ultimi decenni in quasi tutte le popolazioni del mondo sono aumentate le diseguaglianze economiche, sociali e culturali tra individui e tra gruppi. Tale aumento ha avuto caratteristiche di tipo differente in Paesi con modelli economici e sociali diversi. Le disparità nell’ambito delle popolazioni sono considerate e misurate non soltanto dal punto di vista del reddito e della ricchezza economica disponibile, ma anche da quello dei livelli di istruzione, cultura, condizioni abitative, occupazione e rapporti sociali, disponibilità, accesso e uso di servizi. Carenze e insufficienze in tali settori contribuiscono a determinare gradi differenti di deprivazione, misurabili nella popolazione attraverso indicatori di vario tipo.
Le più impressionanti diseguaglianze di salute si osservano tra Paesi ricchi e Paesi poveri, spesso definiti eufemisticamente ‘in via di sviluppo’. Si tratta di differenze enormi relative a mortalità, speranza di vita e incidenza di malattie, determinate soprattutto dagli effetti della fame, della violenza e delle malattie infettive nonché da condizioni di deprivazione spesso assoluta. Questo saggio, tuttavia, non intende affrontare l’analisi di tali tematiche, che rappresentano oggi il più grave problema dell’umanità, ma cercherà di esaminare invece le diseguaglianze socioeconomiche di salute nei Paesi sviluppati, in particolare in Europa, in popolazioni ‘ricche’ nelle quali, pur essendo rare le condizioni di deprivazione assoluta, il problema delle differenze non soltanto esiste, ma tende progressivamente ad ampliarsi.
Le diseguaglianze di salute in Europa
In molti Paesi del mondo, specialmente in Italia, negli ultimi decenni le condizioni medie di salute della popolazione sono migliorate, è diminuita la mortalità, è aumentata la speranza di vita e i più recenti sviluppi delle conoscenze biomediche sembrano continuamente promettere un inarrestabile progresso in quest’ambito. Tuttavia, alla crescita delle diseguaglianze socioeconomiche, largamente determinata dai modelli economici e produttivi dominanti nelle società, si è accompagnato un analogo aumento delle diseguaglianze nelle condizioni di salute. In media la salute migliora, la mortalità diminuisce, ma ciò avviene soprattutto nei gruppi sociali più forti, mentre la prima peggiora e la seconda aumenta – o almeno l’una non migliora e l’altra non diminuisce – nei gruppi più deboli da un punto di vista economico, sociale, culturale: così le diseguaglianze di salute crescono o, al più, restano stabili.
Nonostante ciò, il tema di questo tipo di diseguaglianze fatica a entrare concretamente nel dibattito sui sistemi sanitari in Europa e l’impegno per la loro riduzione non è ancora ascrivibile tra gli obiettivi della maggioranza dei governi. Intense, regolari e crescenti: così vengono concordemente valutate le diseguaglianze di salute nella popolazione in Europa.
Queste diseguaglianze nell’ambito della popolazione possono essere valutate in maniera corretta soprattutto sulla base di dati relativi alla mortalità. Il confronto tra i tassi di mortalità, standardizzati per età, tra i livelli socioeconomici più bassi e quelli più alti nelle diverse popolazioni può essere effettuato in termini relativi oppure assoluti.
Negli adulti queste differenze nella mortalità, nella morbosità percepita e negli stili di vita in alcuni Paesi europei erano già documentate negli anni Ottanta. La mortalità risultava sempre più elevata nei gruppi di popolazione più svantaggiati in ogni Paese, qualsiasi fosse l’indicatore utilizzato per misurare le condizioni socioeconomiche. Le malattie cardiocircolatorie, soprattutto quelle ischemiche, costituivano una quota consistente sia della mortalità sia delle diseguaglianze nella morbosità nei Paesi dell’Europa settentrionale, senza influenzare le disparità esistenti nell’ambito della mortalità generale nei Paesi del Sud dell’Europa, dove tali malattie erano meno frequenti.
Ricerche effettuate a partire dalla fine degli anni Novanta su un gruppo di diciannove Paesi europei hanno evidenziato che, confrontando la mortalità tra differenti livelli socioeconomici, le diseguaglianze crescevano in termini relativi, anche se in alcuni Paesi quelle assolute restavano stabili.
Nei diciannove Paesi europei analizzati, basandosi su dati provenienti da studi che prendono in considerazione periodi diversi compresi tra il 1990 e il 2003, sono state stimate le diseguaglianze socioeconomiche relative e assolute utilizzando un indicatore di livello di istruzione. Le diseguaglianze di mortalità relative esprimono il rapporto tra il tasso di mortalità del livello socioeconomico più basso e quello più alto. In Europa la diseguaglianza relativa ha un valore di 2,2 negli uomini e di circa 2 nelle donne; indipendentemente dall’età, la mortalità è circa due volte più grande nelle persone con i più bassi livelli di istruzione rispetto a quelle con il più alto livello di istruzione. La massima diseguaglianza relativa per quanto riguarda gli uomini si osserva soprattutto nei Paesi dell’Est europeo, con valori superiori a 4 in Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia; mentre per quanto riguarda le donne, con valori attorno a 3 volte, si registra in Lituania e Ungheria. La minore diseguaglianza relativa, sia negli uomini sia nelle donne, si osserva in Italia e Spagna.
Le diseguaglianze di mortalità assolute si misurano come differenze (espresse in numero di decessi per 100.000 abitanti) tra il tasso di mortalità del livello socioeconomico più basso e il tasso di mortalità di quello più alto, e devono essere interpretate in relazione al livello medio di mortalità nella popolazione. In Europa la diseguaglianza assoluta ha un valore di 1333 negli uomini, con un tasso medio di 1635, e di 492 nelle donne, con un tasso medio di 778. In altre parole, indipendentemente dall’età, la differenza di mortalità è, per es., negli uomini, di 1333 decessi in più nelle persone con i più bassi livelli di istruzione rispetto a quelle con il più alto livello, con una media di 1635 decessi per 100.000 abitanti per anno. Negli uomini la maggiore diseguaglianza assoluta si registra in Ungheria con 2580 decessi in più nel livello di educazione più basso rispetto a quello più alto, con una mortalità media di 2110. Situazione simile in Lituania, Estonia, Polonia e Repubblica Ceca. La minore diseguaglianza assoluta negli uomini si osserva nella regione dei Paesi Baschi, con una differenza di 384 nel contesto di una mortalità media di 1108. Valori di poco superiori in altre aree della Spagna e in Italia.
Nelle persone anziane, oltre i sessantacinque anni, quando la speranza di vita è più ridotta, le differenze di mortalità per livello socioeconomico permangono, con dimensioni minori in termini relativi, ma con forti differenziali in termini assoluti, segnalando che le diseguaglianze di salute continuano ad avere effetti anche nelle ultime fasi della vita.
Le indagini su campioni di popolazione esplorano la dimensione della salute e della malattia come è percepita dalle persone, non come viene osservata dai sistemi sanitari. Le diseguaglianze misurate da questi studi si presentano di grandezza simile tra i diversi Paesi, riproducibili con diversi indicatori socioeconomici e stabili nel tempo. L’interpretazione dei risultati deve tuttavia tener conto del fatto che la percezione individuale di salute o malattia dipende molto, oltre che dalle condizioni reali di salute, dall’interazione con il sistema sanitario: a uguali differenze reali di salute possono corrispondere percezioni diverse, fortemente influenzate da fattori sociali e culturali. Bassi livelli culturali possono determinare la mancata percezione di problemi reali di salute, ma queste stesse carenze sono in grado di indurre a un eccesso di utilizzo di servizi sanitari inappropriati, con una sovradiagnosi inefficace di malattie.
Sono stati studiati anche stili di vita individuali rilevanti per la salute. Le informazioni più valide sono quelle relative all’obesità e al fumo di tabacco. L’obesità mostra ovunque variazioni sociali nella stessa direzione di quella degli indicatori di salute. In particolare si rileva un forte aumento della prevalenza di obesità nei bambini dei gruppi sociali più deprivati. Più complessa la situazione per il fumo: la grande diffusione del tabacco è avvenuta in tempi diversi in molti Paesi, prima in quelli più ricchi e più sviluppati, dove tuttavia successivamente la tendenza è stata verso una diminuizione del consumo. All’interno di ciascun Paese la grande diffusione del fumo di sigaretta ha avuto inizio fra gli uomini e nei gruppi sociali privilegiati. Quando è diminuita in questi gruppi, è aumentata fra le donne e nei gruppi sociali svantaggiati. In tempi recenti, nelle società che hanno avviato programmi antifumo con una forte connotazione proibizionista, la tendenza al fumo è tornata a crescere soprattutto nei giovani, anche come fenomeno di ‘controcultura’. L’eterogenea dinamica temporale dell’‘epidemia’ di fumo di sigaretta e la latenza variabile tra esposizione al fumo e danni alla salute rendono molto complessa la valutazione dell’impatto di questo comportamento sulle diseguaglianze di salute nella popolazione.
Le diseguaglianze di salute in Italia, in confronto a quelle del Nord dell’Europa, sono di grandezza minore per la mortalità e simile per la morbosità riferita. Negli ultimi anni la sempre maggiore disponibilità di dati sull’attività dei servizi sanitari, in particolare ospedalieri, ha consentito di sviluppare specifiche conoscenze relative all’impatto delle diseguaglianze socioeconomiche sull’accesso e sull’efficacia del sistema sanitario, in un Paese come il nostro che, teoricamente, dispone di un servizio sanitario nazionale, nominalmente universalistico e omnicomprensivo.
Le prove scientifiche così disponibili sarebbero sufficienti a documentare come le diseguaglianze socioeconomiche costituiscano il più importante complesso di elementi in grado di influire sulla salute nella popolazione: nessun singolo fattore di rischio è in grado di spiegare una quota così alta di mortalità e di morbosità nella popolazione. Tutti gli indicatori utilizzati – classe sociale, educazione, casa, reddito, risorse economiche, contesto – misurano variazioni orientate nella stessa direzione anche se con diverso tipo di intensità: per ogni livello della posizione socioeconomica considerata, chi ne occupa una più avvantaggiata mostra gradi di salute più elevati rispetto a chi si trova in una posizione più sfavorita. Le differenze nella mortalità si sono allargate dagli anni Settanta alla fine del secolo, in Italia in modo più evidente per le donne. Quasi tutte le malattie sono bersaglio delle diseguaglianze sociali, di dimensioni impressionanti per tutte quelle correlate alle dipendenze da droghe, alcol e fumo, quelle associate ad alimentazione scorretta e sedentarietà, quelle legate alle condizioni di sicurezza in ambiente di lavoro, quelle dipendenti dalla qualità delle cure e quelle correlate a condizioni di povertà nell’infanzia.
Fattori e processi che determinano la salute
È necessario premettere che le ‘malattie’ non sono entità ‘naturali’. La loro definizione, il loro riconoscimento e la diagnosi dipendono dall’interazione tra le condizioni di salute degli individui e delle popolazioni, distribuite in modo continuo tra il perfetto benessere e la morte, e le conoscenze scientifiche, i criteri e gli strumenti diagnostici della medicina, le caratteristiche sociali e culturali. In tempi diversi e in società diverse lo stesso grado o livello di salute può essere o meno diagnosticato o etichettato come malattia in relazione alle diverse caratteristiche del contesto culturale, sociale e del sistema sanitario. Per es., l’occorrenza osservata delle malattie, e di converso la probabilità di una persona di ottenere la diagnosi di una malattia, dipendono dall’offerta di tecniche e servizi diagnostici specifici: l’incidenza e la mortalità per tumore della prostata sono molto basse in popolazioni che non hanno sistemi sanitari che offrono test diagnostici per questo tumore, che invece è ormai molto frequente nei Paesi industrializzati che presentano un eccesso di offerta di test di diagnosi precoce, anche se inefficaci. Alcune patologie psichiatriche, come, per es., i disturbi compulsivi dell’alimentazione (anoressia e bulimia), sono quasi sconosciute in popolazioni nelle quali il cibo è poco o le cui culture non riconoscono un significato ‘patologico’ a questi comportamenti. Pertanto, la classificazione (e quindi la misurazione) delle malattie presenta una forte variabilità geografica e temporale, tanto più in un’epoca, come quella attuale, caratterizzata da sempre più rapidi cambiamenti delle conoscenze scientifiche.
I criteri di definizione, diagnosi e misura delle ‘malattie’ sono eterogenei e variabili quanto quelli delle cosiddette cause delle malattie. Occorre qui ricordare che attorno all’idea stessa di causa anche in medicina esiste un dibattito complesso, che sottende diverse teorie della causalità ed è in continua evoluzione. Le conoscenze scientifiche attuali difficilmente consentirebbero comunque di individuare malattie con una sola causa, necessaria e sufficiente. Tutte le malattie sono determinate da una serie complessa di fattori e di processi biologici, chimici, fisici, genetici, ambientali, sociali che interagiscono tra loro, nessuno dei quali può essere identificato come la causa di una malattia.
Sia le cosiddette malattie sia le loro cosiddette cause sono sostanzialmente modalità convenzionali di definizione, riconoscimento, misura di condizioni di salute e di fattori determinanti a esse associati: modalità utili e importanti dal punto di vista non solo della conoscenza scientifica, ma soprattutto delle possibilità di intervento. Diagnosi di malattia e riconoscimento delle sue cause sono strumenti importanti, ancorché convenzionali e provvisori, per migliorare la salute degli individui e delle popolazioni, intervenendo attraverso le modalità della prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione efficaci e appropriate; avendo tuttavia la consapevolezza che i progressi delle conoscenze scientifiche sulle malattie e sulle loro cause, anche in tempi brevi, porteranno a confutare quelle attuali, per poi proporne altre, altrettanto provvisorie, ma tendenzialmente più efficaci.
Nella rete complessa di fattori e processi che determinano la salute degli individui e delle popolazioni si trovano anche, con un ruolo certamente di importanza non secondaria, quelli economici e sociali e le loro diseguali distribuzioni tra gli individui, i gruppi, le popolazioni, le aree, le nazioni. In generale, molteplici fattori ‘determinanti’ diventano ‘cause’ di malattia, influenzano la salute, intervenendo in differenti fasi della ‘storia naturale’ delle ‘malattie’: probabilità e intensità dell’esposizione a fattori di rischio; suscettibilità a livelli definiti di esposizione a fattori di rischio; vulnerabilità, ovvero una combinazione di maggiore probabilità/intensità di esposizione e maggiore suscettibilità; gravità/severità del danno alla salute determinato dai fattori di rischio; probabilità di accesso ai servizi sociosanitari efficaci e, di contro, probabilità di accesso a servizi inefficaci e/o inappropriati; efficacia e qualità delle cure.
Sono stati valutati diversi ipotetici meccanismi attraverso i quali le diseguaglianze socioeconomiche possono determinare effetti sulla salute, intervenendo nelle diverse fasi della storia naturale delle malattie. Questi meccanismi possono essere considerati da tre prospettive: i determinanti specifici, la selezione e il corso di vita. Si tratta di prospettive che devono essere considerate complementari nella spiegazione delle diseguaglianze socioeconomiche di salute.
La prospettiva dei determinanti specifici
Questo tipo di approccio si basa sul fatto che ogni possibile effetto causale delle condizioni socioeconomiche sia soprattutto indiretto, dovuto a livelli di esposizione a fattori di rischio, determinanti di malattia, alcuni noti altri non ancora conosciuti, distribuiti in modo eterogeneo tra diversi livelli socioeconomici. Il livello socioeconomico sarebbe pertanto causa di malattie perché determinerebbe comportamenti individuali che sono essi stessi causa di danni alla salute.
Stili di vita individuali. Un meccanismo di generazione delle diseguaglianze di salute scaturisce dal peso che hanno i diversi comportamenti individuali (fumo, alcol, alimentazione non corretta, assenza di esercizio fisico), ‘cause’ provate di danno alla salute. In altri termini i differenziali di salute sarebbero provocati da una diseguale esposizione a fattori di rischio individuali. Questa spiegazione, che indubbiamente ha forti riscontri empirici, si fonda su un paradigma comportamentista e focalizza l’attenzione sulla variabilità, secondo il livello socioeconomico della propensione, delle persone ad adottare comportamenti ‘a rischio’. Tuttavia, l’ipotesi che la mancanza d’informazione accurata e pertanto di piena consapevolezza circa gli effetti nocivi sia la causa di questi comportamenti è stata ampiamente contraddetta da molti studi: la conoscenza dei rischi non riduce i comportamenti a rischio. Inoltre, molte delle diseguaglianze di salute riguardano malattie per le quali comportamenti personali hanno poca rilevanza eziologica. Infine, molti comportamenti insalubri, quali il fumo di tabacco, il consumo di alcol e dei cosiddetti comforting foods, ricchi di zuccheri e grassi saturi, rappresentano fenomeni di un adattamento a condizioni di stress cronico, piuttosto che libere scelte individuali.
D’altra parte, stili di vita individuali sono stati spesso indicati come fattori di rischio importanti per spiegare la maggiore incidenza di alcune malattie nei gruppi socioeconomici più alti: nel campo dei comportamenti riproduttivi è il caso del tumore della mammella, a maggiore incidenza nelle donne di alto livello socioeconomico. Numerosi studi hanno, infatti, associato il rischio di tumore della mammella con l’età del menarca, del primo parto e con il numero di gravidanze, fattori che sono diversamente distribuiti tra donne di differente livello socioeconomico. Comunque per molti fattori di rischio individuali, come l’esposizione ai pericoli legati al lavoro, i margini di libera scelta individuale sono esigui. L’interpretazione delle diseguaglianze di salute in chiave di stili di vita individuali sembra avere accenti eticamente discutibili, una sorta di colpevolizzazione della vittima, attribuendo agli individui tutta la responsabilità morale del proprio stato di salute.
Fattori psicosociali. Molti studi documentano come tali fattori possano influire sulle diseguaglianze di salute. In questa tipologia possono essere inclusi, tra gli altri, eventi negativi della vita e condizioni lavorative o mansioni logoranti. Condizioni di stress cronico possono dare avvio o far precipitare molte malattie.
Di questi processi vengono proposti diversi modelli: quello di demand/control, che attribuisce la responsabilità dell’origine delle diseguaglianze sociali di salute allo squilibrio esistente tra le classi sociali nelle risorse di controllo, in relazione alle richieste psicofisiche subite; e il modello di effort/reward imbalance, che individua come causa lo scompenso nel rapporto tra impegno speso dalle persone nello svolgere i loro compiti e ricompense ottenute. Anche la mancanza di supporto sociale può costituire un fattore attraverso cui le condizioni socioeconomiche influenzano la salute, particolarmente nelle fasi iniziali della vita e nelle età più avanzate.
Condizioni materiali di vita. È stato dimostrato che tutti gli elementi che caratterizzano l’ambiente fisico, per es. le condizioni abitative o la salubrità e sicurezza dell’ambiente di lavoro, sono fattori determinanti delle condizioni di salute come di quelle socioeconomiche, sempre associate a diverse circostanze materiali di vita e di lavoro. Fino a oggi gli stati di deprivazione estrema erano considerati sempre più rari in relazione alle condizioni abitative, ma in presenza di un documentato aumento della povertà debbono essere considerati un drammatico fattore di diseguaglianze socioeconomiche di salute, soprattutto per alcuni gruppi di popolazione immigrati nei Paesi ricchi.
Fattori genetici. Difficilmente fattori genetici possono essere considerati una spiegazione delle diseguaglianze socioeconomiche di salute dal punto di vista della prospettiva dei ‘determinanti specifici’, per il semplice fatto che le caratteristiche genetiche di una persona sono precedenti il suo stato socioeconomico, quindi il livello socioeconomico di una persona non potrebbe essere considerato causa di malattia se pure fosse ritenuto un determinante delle caratteristiche genetiche della stessa persona.
Se si considerano le influenze tra generazioni, l’ipotesi sarebbe che il livello socioeconomico dei progenitori influenzerebbe il genotipo dei discendenti. Nonostante alcuni studi documentino un’associazione tra livello socioeconomico dei genitori e alcune anomalie congenite non cromosomiche dei figli, non esistono prove scientifiche valide di questi effetti. Invece, molti esiti delle condizioni socioeconomiche dei genitori su anomalie congenite dei figli possono essere spiegati dall’esposizione a condizioni e fattori di rischio durante la gravidanza (inadeguata nutrizione, fumo, alcol). La carenza di acido folico nella dieta delle madri, per es., è una causa dimostrata di malformazioni del tubo neurale dei nati. Le condizioni socioeconomiche dei genitori non agiscono quindi in questo caso determinando conseguenze sul genotipo dei figli, ma determinando un’esposizione in utero a fattori di rischio individuali a loro volta determinanti di effetti genetici.
Complessivamente le prove scientifiche disponibili farebbero stimare che l’esposizione differenziale a determinanti specifici contribuisca per almeno il 50% a spiegare le diseguaglianze socioeconomiche di salute. Questa stima consente di ritenere che programmi di prevenzione e di riduzione del danno, centrati sulle condizioni fisiche di vita e di lavoro, sui fattori di stress occupazionale e sociale, su dieta, fumo di tabacco, consumo di alcool, esercizio fisico, sarebbero tra gli interventi potenzialmente più efficaci per ridurre le diseguaglianze socioeconomiche di salute. Tuttavia, per quanto riguarda i comportamenti individuali, le conoscenze scientifiche disponibili non consentono di escludere che le caratteristiche personali che causano i comportamenti a maggior rischio per la salute siano presenti e abbiano effetti prima che le persone raggiungano i loro livelli di istruzione e occupazionali, in grado di influenzare la loro posizione socioeconomica.
Effetto selezione
La seguente ipotesi è quella nota come health selection effect: lo stato di salute degli individui dipenderebbe solo in minima parte dalle condizioni economiche e sociali del proprio ambiente di vita; piuttosto, sarebbe lo stato di salute, o ‘capitale biologico’, proprio di un individuo a condizionarne l’accesso alle diverse posizioni sociali, così come la mobilità tra esse. I processi di selezione avverrebbero quindi attraverso la mobilità sociale, il cambiamento della posizione socioeconomica nel corso degli anni, rispetto sia alla condizione dei genitori sia a quella personale in un periodo precedente della vita.
Molti studi stimano che la mobilità sociale intergenerazionale è andata crescendo nel secolo scorso in tutti i Paesi sviluppati: circa il 50% degli uomini avrebbe un livello socioeconomico maggiore o minore di quello dei loro padri, con un prevalere della mobilità ascendente nei decenni caratterizzati da miglioramento delle condizioni economiche assolute e soprattutto da espansione dell’istruzione. In Italia è oggi documentata una forte rigidità della struttura socioeconomica della popolazione, con una probabilità molto ridotta delle persone di basso livello socioeconomico di migliorare la propria posizione. Tuttavia l’impatto diretto sulle diseguaglianze di salute dei processi di mobilità sociale, sia intra- sia intergenerazionale, sarebbe di modesto rilievo, soprattutto perché la maggior parte dei problemi seri di salute si manifesta in età avanzate della vita nelle quali questo fenomeno è meno probabile. Inoltre, la mobilità sociale verso il basso causata da malattie tenderebbe paradossalmente a ridurre le diseguaglianze, poiché le condizioni di salute di coloro che ‘scendono’ di livello socioeconomico, ancorché peggiori di quelle medie del livello di partenza, sarebbero migliori di quelle medie del livello di arrivo. Sarebbe importante, invece, il ruolo svolto da una ‘selezione indiretta’, che implica una mobilità sociale selettiva basata non sulla salute in sé, ma sui determinanti di salute. Molte caratteristiche personali che influenzano la mobilità sociale (abilità cognitiva, capacità di adattamento, personalità, costituzione fisica e psichica) sono anche determinanti di salute.
Fattori genetici operano verosimilmente nell’ambito di una prospettiva di selezione. Un’associazione tra stato socioeconomico e un certo genotipo accade quando il genotipo è un determinante di mobilità sociale attraverso un effetto sia sulle condizioni di salute (selezione diretta), sia su caratteristiche personali associate con la mobilità sociale (selezione indiretta). Poiché la selezione diretta sembra giocare un ruolo minore nella spiegazione delle diseguaglianze, il ruolo di fattori genetici deve essere considerato prevalentemente dal punto di vista della selezione indiretta. Nella misura in cui le caratteristiche personali che influenzano la mobilità sociale (per es., abilità cognitiva, percezione di controllo, capacità di adattamento, personalità, costituzione fisica e psichica) sono geneticamente codeterminate, i geni responsabili tenderanno a essere più comuni nelle classi sociali più alte o basse. Gli studi di genetica comportamentale suggeriscono che assieme ai fattori ambientali, quelli genetici giocano un ruolo importante nel determinare caratteristiche personali, particolarmente nel caso dell’intelligenza, della personalità e dell’altezza, intesa come indicatore della costituzione fisica.
Per quanto riguarda l’intelligenza, la combinazione dei risultati di studi condotti in America Settentrionale e in Europa portano a stimare che, nelle popolazioni che vivono negli ambienti studiati, circa la metà della variabilità dell’intelligenza tra le persone può essere attribuita a variazione delle caratteristiche genetiche. D’altro canto, molti studi dimostrano un’associazione tra intelligenza e mobilità sociale intergenerazionale. Vi è una chiara evidenza del ruolo della genetica sulle principali grandi dimensioni dei tratti di personalità: la proporzione di ereditabilità sarebbe tra 0,3 e 0,5. Anche per i tratti di personalità è dimostrata un’associazione con la mobilità sociale intergenerazionale.
Per quanto riguarda l’altezza, l’ereditabilità varia tra 0,4 e 0,9. Tuttavia l’influenza delle caratteristiche genetiche non sarebbe costante tra ambienti diversi: il contributo relativo dei fattori ambientali all’eterogeneità interindividuale dell’altezza è verosimilmente maggiore in contesti sociali poveri. Probabilmente nelle popolazioni dei Paesi ricchi occidentali l’ereditabilità dell’altezza è almeno 0,8. Anche quest’ultima si è dimostrata un determinante della mobilità sociale intergenerazionale. In conclusione, l’ipotesi che emerge da queste considerazioni è che il principale contributo dei fattori genetici nella spiegazione dei differenziali socioeconomici di salute possa avvenire attraverso caratteristiche individuali che influenzano la mobilità sociale.
Corso di vita
Questo approccio alla spiegazione delle diseguaglianze socioeconomiche di salute tiene conto di una variabilità temporale degli effetti delle condizioni socioeconomiche durante la vita di una persona e della reciprocità delle relazioni tra determinanti di salute e risultati di salute. Vengono integrati in questo approccio i punti di vista dei determinanti specifici e della selezione. I due meccanismi di generazione delle diseguaglianze si potenziano a vicenda nel corso della vita.
Secondo tale impostazione il patrimonio di salute di un individuo in un preciso momento è il prodotto della posizione sociale occupata lungo tutta la vita passata; meccanismi di strutturazione dei processi sociali determinerebbero un’accumulazione selettiva di futuri vantaggi o svantaggi. L’esperienza sociale ed economica che si sviluppa nel corso della vita, anche a livello collettivo, e interagisce con i fattori biologici, si accumulerebbe nelle caratteristiche associate allo sviluppo di malattie. Vantaggi e svantaggi (sociali e biologici) tendono a concentrarsi trasversalmente e a sommarsi: l’esposizione a un ambiente di vita e di lavoro si combina con l’esposizione ad altri fattori di rischio. Queste esposizioni si raccolgono lungo il corso della vita. In senso trasversale, una persona esposta a rischi può avere una probabilità maggiore di vivere in un’abitazione precaria e con scarse condizioni igieniche, in un quartiere deprivato o in zone con maggiore inquinamento dell’aria, e di avere un reddito che non le consente un’alimentazione sana.
Anche l’organizzazione sociale ha la caratteristica di definire vantaggi e svantaggi in senso progressivo. È probabile che il vantaggio o lo svantaggio che si esprime in una fase della vita sia stato preceduto e sia seguito da condizioni simili nelle altre fasi della biografia individuale: bambini nati e cresciuti in famiglie di alto livello economico, culturale e sociale, hanno maggiori probabilità di accedere a una scuola di buona qualità, avere un’istruzione migliore, quindi di entrare nei settori più privilegiati del mercato del lavoro, avendo poi una copertura pensionistica che, da anziani, assicuri sicurezza economica. Viceversa, bambini provenienti da famiglie svantaggiate sono a maggior rischio di abbandono scolastico, di avere conoscenze culturali e professionali limitate, mediante le quali possono accedere a occupazioni meno qualificate e/o precarie, nell’ambito delle quali esposizioni a rischi professionali per la salute sono più probabili e, combinate con coperture previdenziali limitate o assenti, predispongono a un’età anziana a scarsa autosufficienza.
I processi e i meccanismi che coinvolgono l’interazione tra fattori sociali e fattori biologici sono molto eterogenei e nella loro struttura spesso specifici di ciascuna patologia. ‘Programmazione biologica’ e processi sociali in continua evoluzione interagiscono reciprocamente durante la vita nel determinare i livelli di salute. In questo approccio alla spiegazione delle diseguaglianze, i fattori genetici che causano problemi di salute sono valutabili come forme di svantaggio che durante il corso della vita si possono accumulare ad altre forme di svantaggio. Le più recenti acquisizioni di conoscenze scientifiche sull’interazione tra ambiente e caratteristiche genetiche contribuiranno certamente a generare opportunità di maggiore spiegazione dei meccanismi di generazione delle diseguaglianze socioeconomiche di salute in una prospettiva di ‘corso di vita’. Tuttavia, la plausibilità di ipotesi che coinvolgono fattori genetici nella generazione delle diseguaglianze di salute è fortemente condizionata dall’osservazione dell’inversione del gradiente sociale di un fenomeno noto come transizione epidemiologica. Nel secolo appena concluso, da una fase storica in cui la causa di morte dominante nelle società occidentali erano le malattie infettive, si è passati alla fase attuale, dominata dalle malattie cardiovascolari e dai tumori, patologie un tempo definite dell’opulenza. Malattie croniche ‘degenerative’, prima concentrate nei gruppi sociali privilegiati, si sono progressivamente concentrate, fino a dilagare, negli strati più svantaggiati delle ricche popolazioni occidentali. Fenomeno peraltro tipico anche di importanti fattori di rischio responsabili di gran parte delle diseguaglianze di salute, quali, per es., il fumo, un’epidemia che va per fasi. Queste dinamiche temporali di transizione epidemiologica sono difficilmente conciliabili con un determinismo genetico delle diseguaglianze sociali di salute. In una prospettiva di life course hanno grande importanza le esposizioni precoci nella vita e, in particolare, quelle durante la gravidanza e i primissimi mesi e anni di vita.
Effetto di contesto
Le caratteristiche fisiche, ecologiche, infrastrutturali e socioeconomiche dell’area e della società di residenza hanno un impatto sulla salute delle singole persone, attraverso processi indipendenti da quelli causati dalle peculiarità individuali economiche, culturali o di potere. Gli effetti delle caratteristiche socioeconomiche individuali e di contesto spesso interagiscono, con effetti protettivi o moltiplicativi. Per quanto riguarda le caratteristiche economiche di un’area, una popolazione, una società, molto si è dibattuto su quanto sia rilevante il livello medio di ricchezza, oppure la sua distribuzione. Tale livello di ricchezza di una comunità è associato alla salute degli individui, in modo particolare ai livelli bassi di ricchezza media. Con il crescere della ricchezza media di una collettività assume sempre maggiore importanza, per la salute, il grado della sua distribuzione.
Differenze nell’assistenza sanitaria
Il diritto all’assistenza sanitaria è riconosciuto in modo diverso nei Paesi sviluppati. Solo pochi Paesi hanno sistemi sanitari pubblici universalistici e onnicomprensivi. Teoricamente l’Italia è tra questi, con un sistema basato sul Servizio sanitario nazionale (SSN). Caratteristiche principali di questo modello dovrebbero essere quelle di garantire l’assistenza sanitaria a tutti come diritto di cittadinanza e di essere finanziato dalla fiscalità generale. I cittadini con livelli di reddito e di posizione sociale più elevati, benché utilizzino meno servizi sanitari pubblici e in modo più appropriato ed efficace, contribuiscono maggiormente al finanziamento del Servizio sanitario nazionale pagando imposte più alte sul reddito. Al contrario, i cittadini di livello socioeconomico più basso ricorrono di più ai servizi sanitari, sia perché sono in peggiori condizioni di salute, sia perché vi accedono in modo meno mirato e proficuo, ma contribuiscono meno al finanziamento del SSN, poiché pagano minori imposte sul reddito. In altre parole, nell’ambito del sistema sanitario nazionale i ‘ricchi’ pagano di più per un servizio che usano poco e meglio, mentre i ‘poveri’ pagano poco per un servizio che usano molto e male. Il servizio nazionale dovrebbe avere quindi un obiettivo essenzialmente redistributivo, garantendo ai gruppi sociali più deboli cure sanitarie in misura superiore, anche a parziale compensazione di peggiori livelli di salute determinati dai più bassi livelli socioeconomici. Nonostante questo modello teorico, nel nostro SSN sono state osservate forti diseguaglianze di accesso, a sfavore dei gruppi sociali più deboli, per le prestazioni più efficaci e appropriate e una significativa differenza di efficacia degli interventi per livello socioeconomico.
Tuttavia, occorre considerare che il peso complessivo degli interventi preventivi di massa sulla popolazione (vaccinazioni, screening) e delle cure mediche sul miglioramento della sopravvivenza non sembra superare il 20%. Pertanto le diseguaglianze socioeconomiche riscontrabili nell’accesso ai servizi sanitari e nel loro sfruttamento più opportuno non possono spiegare completamente i differenziali socioeconomici di salute nella popolazione. È comunque inaccettabile che un SSN, costruito proprio per ‘ridistribuire’ salute, possa agire come un moltiplicatore dei differenziali di salute presenti nella popolazione.
È inoltre importante considerare il ruolo del mercato dei beni e servizi sanitari nelle dinamiche delle diseguaglianze di salute. Se è discutibile considerare la salute come merce, certamente sono merce i servizi sanitari. Quello sanitario è un mercato a forte asimmetria informativa, nel quale i cittadini/pazienti non sono consumatori ‘competenti’, tendono a formulare una domanda di salute, di guarigione, di lenimento di sofferenze, ma possiedono conoscenze talora molto limitate su quale ‘prodotto’ sia più efficace per affrontare il loro problema. La domanda è quindi fortemente dominata dall’offerta.
Piuttosto che a ‘vendere’ solo i prodotti efficaci appropriati a quella, relativamente piccola, quota di popolazione che, essendo veramente ‘malata’, ne trarrebbe il massimo beneficio, il sistema di produzione di beni e servizi sanitari tende, invece, a offrire tali beni e servizi a quella grande quota di popolazione, sostanzialmente sana, nella quale può essere indotta una domanda inappropriata. Anche solo una piccola parte della grande popolazione dei sani può generare consumi di gran lunga maggiori rispetto alla piccola percentuale dei veri malati. I paradigmi della diagnosi precoce, della prevenzione secondaria, fino a quelli più moderni della cosiddetta medicina predittiva, hanno l’effetto sostanziale di far diventare consumatori di servizi sanitari una proporzione sempre più ampia dei sani. Occorrono competenze, conoscenze e cultura perché le persone sappiano difendersi da questa forte pressione di offerta inappropriata di servizi sanitari; la maggioranza delle persone di livello socioeconomico basso non le possiede. Di qui un fenomeno sempre più diffuso nei Paesi sviluppati: la ‘vulnerabilità’ all’inappropriatezza e all’inefficacia, che contribuisce in modo crescente alle diseguaglianze di salute.
Che la salute non sia distribuita casualmente nella popolazione è l’assunto che consente alla scienza di indagare sulle ‘cause’ delle malattie per individuare gli strumenti preventivi, diagnostici, terapeutici, riabilitativi in grado di promuovere e tutelare la salute. Le prove scientifiche oggi disponibili dicono con forza che le diseguaglianze socioeconomiche sono la principale ‘causa’ dei danni alla salute. È necessario che la società, la comunità, i governi acquisiscano questa consapevolezza e mettano in atto gli interventi necessari ed efficaci per una migliore tutela della salute, che non è garantita tanto dai sistemi sanitari quanto da politiche economiche, sociali, occupazionali, urbanistiche, educative, ambientali che, in tutti i campi, includono la salute.
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