diserrare
Da espressioni della Scrittura (Is. 22, 22 " Et dabo clavem domus David super umerum eius; et aperiet, et non erit qui claudat; et claudet, et non erit qui aperiat "; Matth. 16,19 " et tibi dabo claves regni caelorum "), ribadite da s. Tommaso e altri, deriva nella lirica amorosa provenzale e sarà cara ancora al Petrarca questa metafora delle chiavi che aprono e chiudono il cuore. In questa tradizione s'inserisce D. in due passi famosi: quando parla dell'influenza che Pier della Vigna ebbe, quando era in auge, su Federico II (tenni ambo le chiavi / del cor di Federigo, e... le volsi, / serrando e diserrando, If XIII 60), e quando fa che Bonifacio VIII vanti fraudolentemente a Guido da Montefeltro il suo potere di serrare e diserrare (If XXVII 103) il cielo, cioè di assolvere di un peccato prima che esso sia commesso. Nella tradizione suddetta si era inserito, come notò il Torraca, un corrispondente dello stesso Pier della Vigna, Nicolò della Rocca, in un'epistola a lui diretta: " tamquam imperii claviger, claudit, et nemo aperit; aperit et nemo claudit ". In ambedue i passi il verbo è usato insieme e in contrapposizione al suo contrario ‛ serrare '. Strettamente connesso al precedente il passo di Pg IX 125, in cui si allude alle due chiavi dell'angelo della penitenza, le quali però servono ambedue per aprire la porta del Purgatorio: la seconda rappresenta la scienza umana occorrente al sacerdote per valutare i peccati prima di assolvere, e quindi vuol troppa / d'arte e d'ingegno avanti che diserri.
Semplicemente " aprire ", sempre in senso figurato, vale in Pd II 54 dove chiave di senso non diserra, a significare che i sensi non sono sufficienti a dare conoscenza di questioni che spesso la ragione stessa non riesce a penetrare, e in XI 60 [alla povertà] la porta del piacer nessun diserra, dove il verbo vale nel contesto " accoglie con piacere ". Per una diversa interpretazione del passo, proposta dall'Auerbach, v. PORTA.
Seguito da un complemento oggetto, d. ha il senso di " sprigionare ": la divina giustizia, mediante il bollore del Flegetonte, " fa versare " lagrime ai dannati che vi sono immersi: le lagrime, che col bollor diserra (If XII 136). Per Pg XV 114 con quello aspetto che pietà diserra, riferito a s. Stefano, che durante il martirio prega Dio che perdoni i suoi persecutori, sono possibili quattro interpretazioni. Il Tommaseo avanzò l'ipotesi che pietà potesse essere anche soggetto: s'intenderebbe così che la pietà interna del santo si rifletteva sull'aspetto esterno di lui (diserra, " rende manifesto "). Secondo il Barbi, invece (Problemi I 249), e con lui quasi tutti i più recenti, l'aspetto di s. Stefano nell'atto del martirio desterebbe la pietà nell'animo dei suoi stesssi persecutori; l'interpretazione però sembra contrastare con la rappresentazione dantesca, in cui l'accanimento e il furore dei carnefici non lascia adito ad alcuna idea di pietà. In terzo luogo, come intesero, al seguito del Lombardi, parecchi interpreti dell'Ottocento, l'aspetto stesso del martire pietoso e devoto nell'atto di pregar Dio perché perdoni i suoi uccisori, impetra la pietà e il perdono divino. Infine, il verso si può intendere: " con un aspetto che genera pietà in chi guarda "; oppure - con significato analogo a quello suggerito dal Tommaseo - " che mostra evidente la pietà interna del santo ": comunque, osservazione soggettiva e diretta del poeta di fronte all'evidenza espressiva della propria visione. Anche gli altri esempi di mansuetudine sono annotati nei particolari più espressivi: Maria è rappresentata con atto / dolce di madre (XV 88-89); Pisistrato benigno e mite, / risponder lei con viso temperato (vv. 102-103).
In due casi il verbo è intransitivo pronominale: in Pd XXIII 40 ha senso proprio e vale " si sprigiona " (Come foco di nube si diserra); in If XXVII 30 vale " scaturisce ", " sgorga " ('l giogo di che Tever si diserra).
Appare come variante, ma isolata, di Ham in Pg XXXII 35 diserrata saetta, in luogo di disfrenata saetta; cfr. Petrocchi, ad l.