dismissione
Operazione con la quale un’azienda elimina dal proprio processo produttivo e dalla contabilità gli impianti, i macchinari e altri beni strumentali che hanno esaurito la propria funzione produttiva. ● Nel caso dei beni materiali, la d. può essere legata a circostanze di tipo ordinario o straordinario. Le prime includono: il termine del periodo di utilizzo originariamente programmato e l’obsolescenza tecnica o economica. Nelle seconde rientrano: le riconversioni o ristrutturazioni produttive, le riduzioni delle dimensioni aziendali, gli incendi, i furti e i danneggiamenti imprevisti, che rendano inutilizzabile il bene.
A seconda dello stato del bene in esame e delle condizioni di mercato, la d. può determinare una minusvalenza (➔) o una plusvalenza (➔). Si ha una minusvalenza quando il valore di acquisto (inclusivo di eventuali oneri accessori) è maggiore della somma tra il valore recuperato tramite l’uso (ossia il fondo ammortamento del bene) e quello eventualmente recuperato tramite la d., al netto di eventuali costi. Si ha invece una plusvalenza se si verifica il contrario. Pertanto, la minusvalenza si verifica quando il valore di acquisto > (valore recuperato tramite l’uso+valore recuperato tramite la d.), la plusvalenza quando il valore di acquisto < (valore recuperato tramite l’uso+valore recuperato tramite la dismissione).
La d. può avvenire tramite demolizione interna, cessione a titolo gratuito o a titolo oneroso. Un particolare tipo di cessione è rappresentato dalla permuta, in cui il bene dismesso viene ceduto in cambio di un altro.
La d. può anche riguardare l’eliminazione di partecipazioni azionarie non più redditizie o rilevanti. In questi casi la minusvalenza/plusvalenza è calcolata confrontando il valore di acquisto con il prezzo di cessione, al netto di eventuali spese di cessione.