dismisurato
Il vocabolo appare tre volte in un'unico passo dantesco (Cv I VII 2, 9 e 10) ed è da D. stesso spiegato: La vera obedienza conviene avere tre cose, sanza le quali essere non può: vuole essere dolce e non amara; e comandata interamente e non spontanea; e con misura e non dismisurata... è l'obedienza con misura, e non dismisurata, quando al termine del comandamento va, e non più oltre... e così non sarebbe stata la sua [del comento latino a un testo volgare: cfr. § 5] obedienza misurata, ma dismisurata. Dunque d. è definita l'obbedienza che va al di là del comandamento, e superandone i limiti (sia per eccesso che per difetto: cfr. §§ 11 ss.) termina con ciò di essere vera e propria obbedienza.