disoccupazione
La complessità di un fenomeno diffuso
La disoccupazione si distingue tra volontaria, quando è espressa da individui che non sono disponibili a lavorare al salario di mercato, ma che troverebbero un impiego riducendo le richieste salariali, e involontaria, cioè relativa a lavoratori che, essendo in possesso dei requisiti per eseguire i compiti associati a un dato posto di lavoro, preferirebbero lavorare al salario corrente per quel posto, anziché restare disoccupati. La disoccupazione volontaria può essere spiegata anche con riferimento all’ipotesi di sostituzione intertemporale per cui, ipotizzando il salario pro-ciclico e quindi decrescente in fasi recessive, i lavoratori riducono l’offerta di lavoro durante le recessioni perché il salario è basso. I dati a disposizione, tuttavia, non sostengono l’ipotesi che gran parte dell’aumento della disoccupazione durante le fasi recessive sia dovuto a una riallocazione razionale del tempo del lavoratore. Il modello concorrenziale del mercato del lavoro (➔ lavoro, mercato del), che prevede in equilibrio un livello salariale tale che la domanda sia uguale all’offerta di lavoro (➔ lavoro, offerta di; lavoro, domanda di), è compatibile solo con la disoccupazione volontaria. Quello della disoccupazione è, tuttavia, un fenomeno diffuso e spesso persistente, quindi difficile da comprendere alla luce di tale modello.
In primo luogo, anche in una economia di mercato in cui il numero di posti vacanti sia uguale a quello degli individui in cerca di occupazione, esiste la disoccupazione frizionale, dovuta al fatto che sia i lavoratori sia le imprese hanno bisogno di tempo per incontrarsi, a causa di frizioni nel funzionamento del mercato del lavoro che non consentono a chi cerca occupazione di incontrare istantaneamente chi la offre, a causa, per es., di asimmetrie informative o di distanze geografiche. Questo tipo di disoccupazione può essere compreso attraverso la teoria della ricerca (➔ lavoro, teoria della ricerca di), che evidenzia come il tempo necessario al lavoratore per conoscere le opportunità disponibili causi un allungamento del periodo di disoccupazione (disoccupazione da ricerca), e ai successivi modelli di job matching (➔ matching) che considerano anche le attività di ricerca delle imprese. La disoccupazione in questo caso dovrebbe essere di breve durata. Se il numero di disoccupati è uguale a quello dei posti vacanti e nel caso in cui esista uno squilibrio strutturale tra le competenze dei lavoratori in cerca di occupazione e quelle domandate dalle imprese (mismatch), è possibile invece che ci sia disoccupazione strutturale. Si verifica più spesso quando alcuni settori si espandono e altri si contraggono e le competenze dei lavoratori non sono facilmente trasferibili da un settore all’altro (teoria degli spostamenti settoriali). In questo caso, la disoccupazione è di lunga durata perché, generalmente, è necessario molto tempo per acquisire le competenze richieste dai settori in espansione. Si ha, invece, disoccupazione ciclica in presenza di uno squilibrio tra il numero di persone in cerca di lavoro e quello dei posti disponibili, per. es., a causa di fenomeni recessivi che portano a una contrazione della domanda di beni rivolta alle imprese e a una conseguente riduzione della domanda di lavoro. Ne consegue quindi un eccesso di offerta di lavoro che non si riduce a causa della rigidità dei salari, che ne impedisce l’aggiustamento verso il basso. Tale rigidità può dipendere da istituzioni quali il salario minimo o dal ruolo del sindacato nella contrattazione. La disoccupazione, infine, è detta tecnologica quando viene determinata dall’introduzione di nuove tecniche produttive, che sostituiscono con le macchine il lavoro umano.
Sono stati sviluppati altri modelli economici in cui le rigidità salariali sono spiegate anche in assenza di istituzioni. Tra questi vi è il modello del salario di efficienza, che si propone di illustrare le ragioni della disoccupazione involontaria di equilibrio, risultato del comportamento razionale degli agenti economici. L’idea di fondo è che una politica di alti salari, almeno fino a un certo punto, contribuisca alla massimizzazione del profitto, perché aumenta la produttività del lavoro. Quindi, anche se la retribuzione non è soggetta a vincoli legislativi (salario minimo) o sindacali (contratti nazionali), è rigida verso il basso, perché le imprese trovano conveniente pagare salari superiori a quello concorrenziale. L’ipotesi cruciale di questi modelli è che l’impegno e la produttività del lavoratore crescano al crescere del salario reale. Salari più elevati possono aumentare la produttività del lavoro per un effetto di composizione (consentono di attrarre i lavoratori migliori), per un effetto incentivo (li inducono a un maggiore impegno perché la perdita del lavoro comporta una notevole contrazione di reddito) e per un effetto psicologico (individui meglio remunerati possiedono un più elevato senso di appartenenza all’impresa e quindi prestano un maggiore sforzo lavorativo). Infine, l’impresa può trovare conveniente pagare salari più alti per ridurre il fenomeno del turn over (➔), costoso, per es., se l’impresa ha investito molto in formazione.
La rigidità salariale alla base della disoccupazione ciclica può essere spiegata anche alla luce della teoria insider-outsider (➔) secondo la quale, essendo i salari contrattati principalmente dai lavoratori occupati, quando la domanda cala questi ultimi non accettano riduzioni retributive, ma preferiscono i licenziamenti che, tipicamente, colpiscono gli ultimi arrivati.
Il tasso naturale di disoccupazione indica il tasso di disoccupazione (➔) in corrispondenza del quale le decisioni di prezzo e salario sono tra loro coerenti, dunque l’inflazione è costante (➔ NAIRU). Il suo valore è una caratteristica del sistema economico ed è legato a fenomeni reali quali la tecnologia di produzione e le preferenze dei lavoratori, e anche alle caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro. Può variare nel tempo, per es. a seguito dell’evoluzione della forza lavoro e delle variazioni nell’efficienza del processo di ricerca dell’occupazione. Un medesimo livello di disoccupazione può coesistere con durate medie della stessa assai diverse. Le convenzioni internazionali definiscono come disoccupazione di lunga durata la condizione di una persona in cerca di impiego da almeno un anno (12 mesi).
Laura Pagani