disposare (disponsare)
Il verbo compare in tutte le opere volgari di D., con la sola esclusione delle Rime, anche se con frequenza non elevata. Il significato è quello di " sposare ", " prendere in moglie " proprio del latino tardo desponsare, presente nei testi sacri (Luc. 1, 27 " virginem desponsatam viro ", e Matt. 1, 18 " cum esset desponsata mater eius Maria Ioseph "), e passato alla lingua comune del Trecento (M. Villani X 20 " ricevuta la donna con quella festa che fare poté, secondo il suo povero stato, la disposò "). In D. il campo di significato appare ampliato, soprattutto per quanto riguarda le forme traslate e metaforiche.
Nel senso proprio, d. è presente in Vn XIV 3 lo vero è che adunate quivi erano a la compagnia d'una gentile donna che disposata era lo giorno, e Pg V 136, nei versi dedicati alla vicenda di Pia senese: Siena mi fé, disfecemi Maremma: / salsi colui che 'nnanellata pria / disposando m'avea con la sua gemma.
Benché già gli antichi commentatori proponessero un 'esegesi del passo sostanzialmente esatta (" mi fé morire, et prima m 'avea dato l 'anello e sposata ", come chiosa l'Anonimo), questo, con la sfumata perifrasi equivalente a un " lo sa il mio legittimo consorte " (Chimenz), ha mobilitato l'industria dei commentatori per una duplice serie di problemi: uno di ordine testuale, l'altro semantico, entrambi concentrati su disposando. Il problema testuale (la sostituzione allo scomodo gerundio di un semplice disposata), da Scartazzini in poi appare risolto, soprattutto su di un piano storico, capace a ogni modo di relegare il disposata nell'ambito della lectio facilior. In effetti, confermando un disposata, la lettura del passo risulterebbe alterata, per cui la Pia " verrebbe a dire di esser stata sposa a Nello in seconde nozze " (Mattalia), postulando l'identificazione, storicamente impossibile, " di Pia con la vedova Pia Guastelloni " (Scartazzini-Vandelli), e privando quel pria delle " lacrime e ricordi di cui è pieno " (Del Lungo). Il problema semantico (sul significato del disposando), è complesso e ancora aperto. L'interpretazione più vulgata, soprattutto a livello scolastico, del Porena (" lo sa nella sua coscienza colui che, prima, sposandosi a me, mi aveva inanellata con la sua gemma "), offre qualche riserva a chi si sia storicamente documentato sulla cerimonia del matrimonio nel Medioevo. Il problema è che tanto ‛ innanellare ' quanto d. sono termini del linguaggio giuridico, formule vive nei documenti del tempo (" cum anulo aureo disponsavit " si legge in un documento ravennate del 1293), per indicare " una... cerimonia... che si compieva coi due atti simultanei del consentire in alcuna donna come in sua legittima sposa e del dare l'anello " (Barbi), il cui nome esatto era disponsatio, o, secondo molti documenti medievali, arra sponsalitiarum.
A questa cerimonia che avveniva in un giorno stabilito (‛ il dì dell'anello ') alla presenza dei familiari e di un notaio, e spesso era pubblica (sul sagrato della chiesa) e terminava con la stretta di mano tra i famigliari (‛ impalmazione '), seguiva la celebrazione delle vere e proprie nozze " dopo più giorni o mesi o magari anni " (Scartazzini-Vandelli). Da questo fatto molti commentatori hanno dedotta la possibilità che Pia con moto psicologico comprensibile si riferisse proprio a questa cerimonia (la ‛ prima ' di carattere legale con cui Nello si dichiarò suo sposo), proponendo in sostituzione dello " sposandosi a me ", ricco per i lettori moderni di risonanze estranee alla cerimonia medievale, un più cauto " fidanzandosi " (che però ci trova dissenzienti dato il carattere della cerimonia storica che, con termine moderno, potremmo definire un " matrimonio civile ") o un più pertinente " legandosi a me con solenne promessa ". In sostanza preferiremmo una locuzione che tenesse presente l'elemento storico, come il " dichiarando di volermi per moglie ", che mantiene i crismi di quella ufficialità che la Pia vide infranti dal comportamento del coniuge. L'esegesi del passo controverso potrebbe essere pertanto: " lo sa colui che, prima, dichiarando di volermi per moglie, mi aveva inanellata con la sua gemma ".
Si potrà infine ricordare, come già nel Gmelin, la possibile consonanza fra l'antitesi dantesca Siena mi fé, disfecemi Maremma e l'epitaffio apocrifo virgiliano " Mantua me genuit, Calabr i rapuere "; molto più remoto e discutibile un rapporto con i versi di Aen. IV 28 " Ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores / abstulit ", accettati come fonte dallo stesso Gmelin (sulla scia però di un'impressione del Tommaseo).
In senso figurato e metaforico (anche nella forma riflessiva) in Vn II 7 D' allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata; Cv II II 2 li spiriti de li occhi miei a lei si fero massimamente amici. E così fatti, dentro [me] lei poi fero tale, che lo mio beneplacito fu contento a disposarsi a quella imagine, e IV II 17 chiamo la veritade che sia meco, la quale è quello signore che ne li occhi, cioè ne le dimostrazioni de la filosofia, dimora, e bene è signore, ché a lei disposata l'anima è donna, e altrimenti è serva fuori d'ogni libertate. In questi passi il verbo è impiegato a sostituire con notevole forza il più usuale " unire, unirsi, unito " sino a ottenere un senso mistico, particolarmente avvertibile nel passo citato della Vita Nuova.
Il significato mistico-liturgico domina in Pd XI 33 la sposa di colui ch 'ad alte grida / disposò lei col sangue benedetto, in un contesto che vede le mistiche nozze della Chiesa e di Cristo personificati, in una metafora che non fa smarrire al verbo il suo senso terreno e realistico già presente nei testi sacri (" Ecclesiam Dei, quam adquisivit sanguine suo ", Act. Ap. 20, 28).
Bibl. - I. Del Lungo, Dal secolo e dal poema di D., Bologna 1898, 441-443; G. Arias, L'anello del fidanzamento e l'anello del matrimonio nell'episodio dantesco della Pia, Firenze 1906; Barbi, Problemi I 279-280; ID., La Pia di D., in Con D. e i suoi interpreti, Firenze 1941, 336-340; H. Gmelin, Die Göttliche Komödie, Kommentar, Stuttgart 1955, ad l.; F. Maggini, in " Giorn. stor. " CXLI (1964) 125-126.