Dissenso
di Lewis S. Feuer
Dissenso
sommario: 1. Definizioni preliminari: tipi di ‛dissenso'. 2. La repressione del dissenso nell'Europa antica e medioevale. 3. La libertà di dissenso e lo sviluppo della scienza e del capitalismo. 4. La difesa liberale del dissenso. 5. Gli intellettuali come dissenzienti o contestatori. a) Il caso Dreyfus. b) Gli intellettuali come critici della cultura e della società capitalistica. c) Gli intellettuali come nuova élite politica. d) L'alienazione e la rinascita dell'ideologia. e) L'alienazione e la giovane generazione. f) La contestazione sessuale. g) I dissidenti sovietici. 6. Il dissenso o contestazione nell'epoca contemporanea. a) Il declino della contestazione dopo la seconda guerra mondiale. b) La ripresa della contestazione negli anni sessanta: la protesta razziale. c) La protesta contro il sistema costituito. d) L'irrazionalismo della nuova contestazione. e) La protesta contro la civiltà. f) Teorie relative alle cause della nuova contestazione. g) La crisi della contestazione. h) Le conseguenze della nuova contestazione. □ Bibliografia.
1. Definizioni preliminari: tipi di ‛dissenso'.
Il ‛dissenso' può essere definito come quel disaccordo di opinioni che mette qualcuno in conflitto con la dottrina di una chiesa, con la scienza e con l'arte ‛ufficiali', o con un regime politico monolitico. Il termine ‛dissenziente' (dissenter) entrò nell'uso nel XVII secolo in Inghilterra a indicare i Presbiteriani e gli Indipendenti che erano in conflitto con la monarchia a causa della loro libertà religiosa rispetto alla Chiesa d'Inghilterra. Durante il XIX secolo, d'altra parte, il termine cominciò a essere usato per denotare anche i dissenzienti in fatto di problemi politici, economici e scientifici. Dato che i non-conformisti in campo religioso erano in realtà andati a ingrossare le schiere e le file di quasi tutti i movimenti di riforma sia politica, sia sociale che educativa, esisteva in tal modo un rapporto di filiazione diretta fra il dissenziente religioso e quello politico e sociale.
Per formulare una tipologia dei dissenzienti, si devono operare distinzioni tra le varie forme e motivazioni del dissenso. In primo luogo, il dissenso può avere una genesi razionale o una genesi emotiva. Il dissenziente ‛razionale' non fa del dissenso un modo di vita; la sua opposizione, inoltre, si limita solitamente a un solo campo. Così un dissenziente religioso del XVII secolo poteva benissimo essere un mercante o un artigiano che non era affatto in contrasto con il sistema economico o politico, ma che voleva libertà di riunione per la propria setta e l'esenzione dalle tasse imposte per il mantenimento della chiesa ufficiale. Nella misura in cui la libertà religiosa gli veniva negata, il dissenziente religioso era spinto a trasformarsi in dissenziente politico, e a perseguire, per esempio, la riforma del sistema parlamentare e l'estensione della franchigia. Il dissenziente ‛razionale', tuttavia, allarga l'ambito della sua opposizione soltanto sotto la spinta di ostacoli esterni. Perciò da un punto di vista psicologico egli è fondamentalmente differente dal dissenziente ‛emotivo', talvolta chiamato colloquialmente ‛testacalda'. Quest'ultimo è emozionalmente incline ad abbracciare cause, che potranno essere le più varie: dai movimenti di emancipazione politica a quelli per nuovi tipi di alimentazione e di abbigliamento. Nel decennio compreso tra il 1840 e il 1850, per esempio, la ‛causa' politica fondamentale, in America, era costituita dal movimento contro la schiavitù. Al movimento abolizionista, però, erano connesse una moltitudine di manifestazioni ‛compulsive' di dissenso. Riformatori dell'alimentazione predicavano un ‛vangelo delle patate'; alcuni si opponevano all'uso del fuoco per cucinare, e propugnavano l'alimentazione con grano non macinato. Altri pretendevano che venissero usati soltanto indumenti di lino, poiché sostenevano che indossare vestiti di lana era un'iniquità nei confronti della pecora. Altri ancora polemizzavano contro l'uso del denaro, mentre dei giovani si proclamavano dissenzienti lasciandosi crescere la barba. Le donne esortavano a indossare sotto corte gonne pantaloni detti bloomers dal nome della loro più nota sostenitrice. In un passo memorabile R.W. Emerson descrisse il dissenso ‛compulsivo' dei Riformatori della Nuova Inghilterra: ‟Quale fecondità di progetti per la salvezza del mondo! Un apostolo riteneva che tutti gli uomini dovessero dedicarsi all'agricoltura, e un altro che nessuno dovesse comprare o vendere, che l'uso del denaro fosse il male fondamentale; un altro ancora pensava che il misfatto stesse nel nostro tipo di alimentazione, che noi mangiassimo e bevessimo la nostra perdizione. Questi facevano il pane senza lievito. [...] Altri attaccavano il sistema agricolo, l'uso di concimi animali nella coltivazione. [...] Insieme a costoro comparvero gli adepti dell'omeopatia, dell'idropatia, del mesmerismo, della frenologia. [...] Altri attaccavano l'istituto del matrimonio come la fonte delle sventure sociali [...]" (v. Emerson, 1903, pp. 252-253).
È un fatto che in tempi recenti, e in periodi particolari, i movimenti di dissenso o di contestazione si sono manifestati a grappoli. Il decennio tra il 1840 e il 1850, quello tra il 1880 e il 1890, e quello tra il 1960 e il 1970 hanno avuto questa caratteristica, in quanto vi si sono concentrate una molteplicità di manifestazioni di dissenso politico, economico, sociale, individuale, sessuale e artistico. Tale concentrazione è il segno di ciò che si chiama un'epoca d'irrequietezza sociale. Così, dissenzienti della statura di G. B. Shaw e H. G. Wells hanno percorso entrambi l'intero arco della contestazione, dalla perorazione a favore del socialismo, al libero amore, al vegetarianismo, alla lotta contro la vivisezione. In periodi di questo tipo è di solito possibile distinguere l'eccentrico, che cerca istintivamente, in modo esibizionistico, un atteggiamento di dissenso in ogni campo dell'esistenza, dalla persona per la quale il dissenso è un mezzo, non un fine in sé.
Il dissenso può ubbidire inoltre a due atteggiamenti: l'uno di partecipazione, l'altro di secessione. Nel primo caso il dissenziente pensa che, grazie a una determinata riforma, la vita, nella sua società, potrebbe notevolmente migliorare; comunque sia, egli non si sente portato a rifiutare la società in cui vive o a condannarla in toto come negativa. Egli si sente sostanzialmente a suo agio nella società, e si attende che essa migliori; non dà alcun ultimatum morale. Il dissenziente secessionista, invece, non può tollerare ambiguità; il suo principio è quello del tutto-o-niente. Se i motivi del suo dissenso non vengono superati, egli pensa che il restare all'interno di quella società finirà col corromperlo. Egli opera dunque una secessione; emigra con i suoi compagni di fede in una nuova terra vergine, o si ritira insieme a loro in un area isolata dove essi possono fondare una comunità. I Mennoniti, gli Hutteriti, i Douchoborcy tra i dissenzienti religiosi, e i seguaci di Owen, di Fourier e di Cabet tra quelli socialisti, hanno dato vita a delle secessioni. La tendenza a creare delle comuni, che ha avuto inizio verso la fine degli anni sessanta, è stata una parziale ripresa della contestazione secessionista.
Infine, vi sono coloro che difendono il diritto di ognuno a dissentire, e che quindi ispirano il loro dissenso a una filosofia liberale; questo tipo di dissenzienti lotta per la libertà di pensiero, per la libertà di scelta entro qualsivoglia sistema di vita, e per la libertà di associazione come fini in sé. Altri, d'altro canto, considerano il diritto alla conte- stazione come un momento tattico nella loro lotta per la supremazia e il potere. Essi meditano, una volta conquistato il potere, di privare gli altri della libertà di dissenso; la difesa che essi ne fanno è dunque un'arma tattica per ottenere una comunità totalitaria. È questa la profonda differenza tra il dissenso di John Stuart Mill e quello di V. I. Lenin.
Il liberale mira a rendere istituzionali, nella società, i mezzi e le possibilità di dissenso. Il comunista ortodosso, di contro, considera dissenso e contestazione come una sfida inammissibile al regime comunista, e cerca di chiudere loro ogni via di espressione nella sua società. I dissenzienti degli ultimi anni nell'Unione Sovietica sono i continuatori di una forma di dissenso che si è sempre manifestata in società autoritarie, dittatoriali o totalitarie.
2. La repressione del dissenso nell'Europa antica e medioevale
La tolleranza nei confronti del dissenso e della contestazione è un'acquisizione recente nella storia della civiltà. Ciò perché il dissenziente sembrava minacciare quei principî che erano alla base del comune modo di vita, nonché la famiglia, la tribù o la nazione. La libertà dei dissenzienti poggia sulla diffusa opinione che nessuno detiene il monopolio della verità, che anche persone per bene e ‛a posto' possono sbagliare e che, fintantoché la gente vive fianco a fianco in pace e amicizia, non c'è motivo perché si debba entrare in contrasto per il fatto di avere idee differenti. Un atteggiamento di questo tipo richiede una dose di autocontrollo emotivo e di buona volontà, tale da non fissarsi sull'idea che la famiglia, la tribù o la nazione posseggano un accesso privilegiato alla verità. Questo pluralismo richiede una vera e propria ‛rivoluzione copernicana'. Un dissenziente è inconsciamente considerato dalla maggior parte della gente come un fattore traumatico. Il dissenziente fa nascere dubbi là dove, in precedenza, erano solamente certezze; egli suscita ansietà nel mondo, prima sicuro, in cui si sono vissuti i propri anni di formazione. Di conseguenza il dissenziente tende a divenire oggetto di impulsi aggressivi, in quanto la reazione spontanea è quella di colpirlo o di allontanarlo. Il dissenziente porta spesso alla luce dubbi che forse si sta cercando, con difficoltà, di reprimere entro se stessi. L'uomo civilizzato, è stato detto, non ha paura di riesaminare i propri principî. Il ruolo del dissenziente consiste nello sfidare i principi, ma la forza di carattere necessaria a sopportare la loro libera discussione è stata conquistata da pochissime società, e soltanto in tempi recenti.
Il diritto di dissentire ha trovato pieno fondamento e sostegno nella struttura sociale solamente con l'avvento della moderna società capitalistica competitiva, dal XVII secolo in poi. Le società primitive, il mondo greco-romano, gli antichi Ebrei e l'ordinamento medievale hanno sempre visto il dissenso con sospetto, e l'hanno di fatto represso. Le società primitive sono ostili verso chi devia dalle loro norme sociali; chi mette in questione il dio della tribù è automaticamente uno che, avendo troncato i suoi legami con questa, deve andare a vivere altrove. Nell'Impero romano esistevano filosofie contrastanti, ma non fu mai riconosciuto da nessuna di esse il diritto di dissentire dalla politica imperiale, o di aderire ad una setta dissenziente. Le cosiddette sette filosofiche, gli stoici e gli epicurei, non si contrapposero mai né al sistema religioso romano né al culto dello Stato. Piuttosto esse proponevano interpretazioni filosofiche alternative delle istituzioni religiose e imperiali di Roma. Durante il I secolo dell'Impero romano gli stoici manifestarono un inizio di dissenso nei confronti delle istituzioni imperiali, in quanto, essendo legati alla nobiltà, essi diedero espressione articolata al suo desiderio che Roma fosse governata dall'ordine senatorio. Vespasiano, però, reagì con l'espulsione di tutti i filosofi da Roma, un sistema che venne seguito di tempo in tempo ogni qualvolta sembrava che una scuola filosofica potesse divenire un centro di contestazione. L'opposizione degli stoici si attenuò gradualmente quando essi prestarono servizio nella burocrazia imperiale, e nell'anno 96 d.C. una forma burocratica di stoicismo era divenuta la fede riconosciuta della grande maggioranza delle classi colte di Roma, di ogni età e condizione.
Quando un gruppo di dissenzienti è costretto a integrarsi nelle istituzioni, la sua filosofia assume tinte pessimistiche. Così si ebbe un'evoluzione nella storia dello stoicismo dalle sue origini tra i discepoli della filosofia ottimistica e cosmopolita di Zenone di Cizio, quando esso costituiva una tendenza di dissenso nel mondo ellenico, fino alla melanconica dottrina di Seneca, ministro di Nerone, che sosteneva che studiando le cause della miseria individuale, si è talvolta presi da odio nei confronti dell'intera razza umana. Epitteto espresse la rinuncia a ogni dissenso da parte dello stoico quando affermò: ‟Non augurarti che tutte le cose accadano come tu desideri, ma desidera che accadano proprio come avvengono realmente". Un immenso apparato di informatori e spie (i delatores) estirpò ogni ‛dissenso' dall'Impero romano. Ammiano Marcellino racconta che la gente aveva paura di rivelare i propri sogni per timore di essere denunciata per il loro contenuto. Da parte sua Procopio di Cesarea, che scrive ai tempi di Giustiniano, asserisce che era impossibile eludere l'esercito di spie e, una volta scoperti, sfuggire ad una morte terribile, mentre non si poteva nutrire alcuna fiducia nemmeno nella lealtà di coloro con cui si avevano i legami più stretti. I dissenzienti cristiani furono temuti in primo luogo perché costituivano una minaccia alla religione dello Stato, fondamento del suo ordine sociale. Del resto, quando il cristianesimo divenne religione dell'Impero, fece sua in tutto e per tutto la dottrina tradizionale secondo cui il dissenso era una minaccia per la società e per lo Stato, e non doveva esser tollerato in nessun caso.
L'orrore nei confronti del dissenso si conservò come caratteristica specifica del mondo medioevale. Come ha scritto lo storico inglese G. G. Coulton: ‟dietro quella facciata imponente della Chiesa medioevale si addensava una folla di timori, generalmente inconsci, non frequentemente anche subconsci, ancor più raramente confessati, tuttavia sempre molto profondi, e tirannici nell'azione che esercitavano sulla mente ortodossa" (v. Coulton, 1929, p. 23). Gli abusi sociali e la corruzione di molti uomini di chiesa, comunque, offrirono il terreno adatto al fiorire del dissenso. Il dissenziente medioevale fu l'eretico. L'eresia albigese, che si caratterizzava per un dualismo teologico, ebbe grande diffusione nella Francia meridionale, soprattutto nella città di Tolosa. Nel XII secolo furono soprattutto i mercanti e gli artigiani a essere attratti da questa eresia. A Lione, Valdo predicò una vita di povertà evangelica, e diede origine all'eresia valdese. Papa Innocenzo III affermò che gli eretici nella Francia meridionale costituivano la maggioranza, e nel 1208 invocò una crociata per distruggerli. L'azione seguì ben presto. Tuttavia, uno spirito di dissenso rimaneva vivo nell'Europa occidentale, sebbene reso muto dalla paura, in special modo dell'Inquisizìone, istituita di recente, la cui struttura prese una forma stabile tra il 1230 e il 1233. Nelle università (per es. in quella di Parigi) il dissenso si mantenne vivo tra gli studenti, assumendo forme non ortodosse e persino anticristiane. Tommaso d'Aquino, in un trattato contro gli eretici scritto intorno al 1269, si lamentò del fatto che essi insegnassero in ogni angolo delle università, e considerava come dovere di un cristiano pretendere che essi fossero bruciati. I dissenzienti medioevali, in realtà, sfidarono il primato dell'istituzione fondamentale della loro epoca; essi rifiutavano la dottrina secondo cui non esisteva ‟alcuna salvezza al di fuori della Chiesa". Tutti i poteri delle istituzioni, in una società assolutista, sono immancabilmente invocati contro i dissenzienti quando la loro teologia o ideologia contenga una negazione della legittimità del sistema istituzionale. I timori suscitati, settecento anni dopo, dai dissenzienti sovietici e cecoslovacchi saranno analoghi nella misura in cui essi metteranno in pericolo la posizione di supremazia del partito comunista.
Quando l'Inquisizione riuscì a svolgere un ruolo dominante nella formazione della politica nazionale, ogni tipo di dissenso, religioso, politico, scientifico e sociale, fu represso, e la vita intellettuale cadde in letargo. In Spagna, per esempio, alla fine del XVI secolo, le università avevano subito un grande declino. Solo cent'anni prima la Spagna era stata all'avanguardia nel campo della matematica, della botanica, dell'astronomia e della metallurgia; ma nel 1590 la situazione non era più tale. L'espulsione degli Ebrei avvenuta nel 1492 fu in gran parte dovuta all'idea che un regime politico assoluto non potesse coesistere con un dissenso religioso e intellettuale. L'élite militare-feudale accolse con gioia la possibilità di liberarsi da una élite commerciale e capitalista rivale, ma la decisione definitiva spettò ai monarchi, Ferdinando e Isabella; lo spirito di dissenso procurava loro una tale ripugnanza da sembrargli più importante del contributo commerciale e amministrativo dato dagli Ebrei.
3. La libertà di dissenso e lo sviluppo della scienza e del capitalismo
Durante tutto il secolo XVI e il XVII le sette di dissenzienti religiosi si moltiplicarono. La rivolta degli anabattisti di Münster (1534), capeggiata da Thomas Münzer, colpì l'Europa per il suo programma estremistico ispirato al comunismo e alla liberazione sessuale. La gamma dei dissenzienti andava, appunto, dagli anabattisti fino al mite quietismo dei Quaccheri, dei Collegianti e dei Mennoniti. La società, tuttavia, imparò a tollerare il dissenziente solo dopo aver pagato uno spaventoso scotto in termini di vite e distruzioni nel corso di guerre religiose durate due secoli. Poiché le sette si moltiplicavano, e il potere organizzato delle chiese ufficiali declinava, il dissenziente acquistò una certa libertà di espressione. Adam Smith, nella Ricchezza delle nazioni, formulò la condizione pluralistica necessaria a che il dissenso sia tollerato: ‟Lo zelo interessato e attivo dei predicatori religiosi può essere pericoloso e pernicioso solo laddove nella società vi sia una sola setta accettata, o dove l'intero corpo di una grande società sia diviso in due o tre grandi sette. [...] Ma quello zelo è di necessità del tutto innocuo dove la società sia divisa in duecento o trecento, o magari in migliaia di piccole sette, nessuna delle quali possa avere sufficiente rilievo da turbare la tranquillità pubblica. I predicatori di ciascuna setta, vedendosi circondati da ogni parte più da avversari che da amici, sarebbero costretti a imparare quel candore e quella moderazione che è raro trovare tra i predicatori delle grandi sette, [...] sostenute dal magistrato civile [...]".
Che l'Europa sia stata salvata dal fanatismo, e che vi sia stata creata una base sociale e intellettuale per il dissenso, fu dovuto in buona parte all'alleanza tra due movimenti in ascesa, quello della scienza e quello dell'economia borghese. Gli scienziati, con il loro metodo di scoprire verità attraverso ipotesi sperimentali, osservazioni ed esperimenti, crearono un clima intellettuale in cui il dissenziente poteva sentirsi a suo agio. Per di più, gli stessi scienziati dissentivano in vario grado dalla teologia e dalla pratica delle chiese ufficiali. Sebbene Copernico fosse un canonico cattolico, affidò la pubblicazione della sua grande opera De revolutionibus orbium cølestium (1543) all'ecclesiastico luterano Osiander. Keplero detestava i dogmi, quale quello della predestinazione; egli perse il suo posto di professore a Graz, nel 1600, perché si era rifiutato di convertirsi al cattolicesimo, ma in seguito, nel 1612, i luterani lo scomunicarono come ‛ortodosso', poiché rifiutava di affermare che i calvinisti sarebbero andati all'inferno. L'università di Padova, nel territorio di Venezia, divenne il centro scientifico più famoso d'Europa proprio perché ogni sorta di dissenzienti e contestatori, protestanti, ebrei, musulmani, vi erano i benvenuti. Alma mater di scienziati della levatura di Vesalio e William Harvey, essa fu l'università in cui Galileo Galilei insegnò liberamente per molti anni. Venezia, del resto, era nota per la sua benevolenza nei confronti dei dissenzienti e, a seguito dell'espulsione dei gesuiti, essa fu colpita dall'interdetto del papa nel 1606. Così la scienza e lo spirito commerciale borghese furono alleati fin dall'inizio.
Nel XVII secolo le città commerciali olandesi divennero i templi dei dissenzienti di tutta Europa. Ebrei che fuggivano l'inquisizione spagnola, English pilgrims che si sottraevano alla persecuzione della Chiesa d'Inghilterra, Descartes che, dopo la condanna di Galileo, temeva per la sua sicurezza in Francia, John Locke che era sfuggito a una delazione politica a Oxford, e una miriade di sette e di loro membri trovarono in Olanda la loro oasi di libertà. Descartes scrisse nel 1629 come avesse trovato rifugio per il suo dissenso filosofico nella commerciale Amsterdam: ‟In questa grande città, dove ognuno tranne me è impegnato negli affari, ciascuno è così preoccupato del proprio profitto che io potrei restare qui tutta la vita senza che nessuno se ne accorgesse. [...] Quale altro posto del mondo si potrebbe scegliere, in cui tutte le comodità della vita e tutti i passatempi che si possono desiderare siano altrettanto facili da trovare che qui? In quale altro paese si potrebbe godere di una libertà così completa e riposare con minore ansia che qui [...]?" Spinoza, nel suo Tractatus theologico-politicus, la prima apologia filosofica del dissenso, vide in termini analoghi il rapporto tra lo spirito commerciale e la libertà di dissenso: ‟La città di Amsterdam raccoglie il frutto di questa libertà nella sua grande prosperità e nell'ammirazione di ogni altro popolo. Perché in questo stato splendidamente fiorente, e in questa città davvero stupenda, uomini di ogni nazione e religione vivono insieme nella massima armonia, e non fanno domande, prima di affidare le proprie ricchezze a un altro uomo, se non per chiedere se egli sia ricco o povero, e se egli, di solito, si comporti onestamente o meno. La sua religione e setta vengono considerate cose di nessuna importanza [...]". L'economista olandese Pieter de la Court, contemporaneo di Spinoza, enunciò esplicitamente il legame essenziale tra libero scambio di merci sul piano economico e libera circolazione di tutte le idee, comprese quelle dei dissenzienti. ‟La libertà e la tolleranza" egli scrisse ‟per ciò che concerne il servizio o il culto di Dio, sono un mezzo potente per trattenere in Olanda molti dei suoi abitanti, e per attirare stranieri a stabilirsi tra noi". L'Olanda, egli diceva, aveva conquistato la supremazia commerciale perché promuoveva la libertà più delle nazioni rivali; ‟inoltre, né in Francia né in Inghilterra esisteva alcuna libertà religiosa, ma c'era in entrambe un governo monarchico, con forti dazi sulle merci importate ed esportate [...]". Il liberalismo economico era in tal modo connesso al liberalismo religioso, e a sua volta il dissenziente nel campo delle idee era il corrispettivo dell'innovatore in campo commerciale e industriale.
In Inghilterra, il Toleration act del 1689 garantì libertà di culto ai dissenters, cioè a quei protestanti che rifiutavano di fare atto di sottomissione alla Chiesa ufficiale nazionale. E tuttavia erano loro precluse tutte le cariche pubbliche, e ancora nel 1703 Daniel Defoe, il futuro creatore di Robinson Crusoe, fu condannato alla gogna per aver scritto un pamphlet, The shortest way with the dissenters, che avanzava ironicamente la proposta che essi fossero tutti banditi e che i loro predicatori fossero impiccati. Si deve rammentare che alla classe dirigente tory, che ricordava ancora la rivoluzione di Cromwell, i dissenters apparivano come dei fanatici che, ove ne avessero avuto la possibilità, avrebbero imposto una volta di più la loro dittatura, e abrogato le libertà inglesi. I dissenters si affermarono soprattutto tra le classi mercantili e artigiane. Poco a poco ogni interdizione nei confronti dei dissenzienti venne a cadere. Le richieste di professione di fede non erano più praticate nei loro confronti, e nel 1828 il parlamento le abrogò del tutto. L'anno successivo ebbero egualmente termine le restrizioni dei diritti politici nei confronti dei cattolici romani; gli Ebrei ottennero il diritto di entrare in parlamento nel 1858; mentre il bando contro gli atei fu abolito nel 1884. Fino al 1871 il parlamento non aveva ancora deliberato che fossero aboliti i requisiti religiosi necessari per poter ricoprire incarichi nelle Università di Oxford e Cambridge, sebbene una legge del 1854 avesse abrogato la professione di fede per quello che riguardava la concessione dei diplomi. Il problema del dissenso religioso perse praticamente ogni rilevanza nella misura in cui un dissenso più apertamente sociale ed economico veniva in primo piano.
La libertà di dissenso intellettuale finì per essere considerata la base del progresso; il dissenziente era l'elemento variabile individuale, la fonte dell'originalità senza la quale non poteva darsi alcun progresso sociale. I teorici del XVII secolo consideravano uno Stato caratterizzato dal libero commercio come la condizione necessaria e sufficiente alla salvaguardia del dissenso. Nel XX secolo, il famoso socialista inglese, studioso di scienza politica, H. J. Laski, ha sostenuto nel suo libro The rise of european liberalism, con abbondanza di documentazione storica, che la società capitalistica è stata condizione sufficiente per il riconoscimento della libertà di dissenso, ma, come socialista, affermava che essa non è una condizione necessaria. Lo sviluppo del ‛capitalismo monopolistico' metteva in pericolo, a suo giudizio, il principio della libertà di dissenso; egli pensava che soltanto una società socialista potesse garantire la libertà intellettuale. Nel dibattito che è tuttora in corso, d'altra parte, eminenti studiosi di scienze politiche come Fr. A. von Hayek hanno sostenuto che la struttura di una società socialista sarebbe ostile al dissenziente. Questo perché, secondo von Hayek, in quella società il potere economico e politico tende a concentrarsi nelle mani di una burocrazia pianificatrice. Sono i suoi valori a determinare l'assegnazione delle risorse della comunità, ed essa ha il potere di tener fuori il dissenziente dalle proprie decisioni; un'economia pianificata a proprietà e controllo statali, non ha alcun principio pluralistico; tutti i suoi organismi sono soggetti ad alcuni imperativi fondati su valori arbitrari. Lo scrittore dissenziente scopre che l'editoria di Stato non accetta i suoi manoscritti; al dissenziente religioso non è permesso di organizzare una chiesa; allo studente contestatore viene negato il ciclostile; chi dissente dalla ‛scienza ufficiale' scopre che i suoi lavori sono rifiutati dalle riviste ufficiali, mentre egli stesso viene espulso dagli istituti di ricerca. Il professore destituito, lo studente espulso, il ricercatore licenziato, l'autore rifiutato non hanno università, istituti o editori alternativi cui rivolgersi, che siano indipendenti dal sistema a controllo statale. Di conseguenza, nelle società socialiste, il dissenso tende a languire e a vanificarsi, tranne che in condizioni particolari. Secondo pensatori quali von Hayek e J. A. Schumpeter, la condizione necessaria per la libera manifestazione del dissenso nella società è l'esistenza di una fiorente economia capitalistica.
4. La difesa liberale del dissenso
Questo problema del futuro del dissenso e delle libertà individuali nelle società socialiste costituì la preoccupazione dominante del grande teorico del liberalismo, John Stuart Mill. Nelle condizioni della società moderna, questo era il timore di Mill, la mediocrità è crescente; tanto la classe media che quella lavoratrice nutrono avversione per le personalità genuinamente originali. Il progresso della società dipende invece, secondo Mill, dall'esistenza di forti individualità; la funzione dei dissenzienti consiste nel mantenere aperta ‟una pluralità di prospettive" di vita. Se le individualità venissero soffocate, allora si stabilirebbe un ‟dispotismo del comportamento convenzionale" che porrebbe davvero fine al progresso. Le società bizantina e cinese furono esempi di società statiche in cui il dissenziente era stato eliminato. Ogni dissenziente rappresentava per Mill un diverso esperimento di vita, e, per rendere possibili tali esperimenti, egli auspicava una società che sapesse tollerare persino le eccentricità estreme. In una società che reprimesse i dissenzienti la stessa personalità umana subirebbe una ‛compressione'; in tal modo il represso e gretto calvinista, che gode di un tetro piacere nel limitare i piaceri degli altri, diventerebbe il tipo di personalità-modello dell'intiera società.
Per Mill, dunque, il dissenso è un elemento essenziale nel ‟libero sviluppo della personalità", sul quale poggia la speranza della società in un ‟benessere spirituale". Senza il dissenziente la società ricadrebbe nel torpore; la spontaneità creativa e la varietà degli individui cesserebbero. E Mill temeva che la società occidentale si trovasse ormai di fronte a questa malaugurata eventualità: ‟Nella nostra epoca ognuno, dalla classe più elevata della società fino a quella più bassa, vive come sotto il controllo di una censura ostile e temuta".
Ciò che preoccupò particolarmente Mill per il futuro del dissenso fu il fatto che i riformatori e i rivoluzionari socialisti erano anch'essi psicologicamente ostili nei confronti dei contestatori. Mentre si apprestava a scrivere il suo saggio On liberty Mill scrisse a H. Taylor che ‟quasi tutti i progetti dei riformatori sociali di oggigiorno sono in realtà liberticidi". Da Saint Simon ad Auguste Comte, affermò Mill, il loro scopo è la ‟dittatura"; per es., il progetto di Comte per ‟il dominio assoluto e indiviso di un singolo Pontefice sull'intera razza umana", atterrisce per il ‟quadro di completo asservimento e schiavitù". Mill giunse a credere che ‟un istinto di dominio", ‟un godimento nell'esercizio del dispotismo, nel tenere altri esseri asserviti alla nostra volontà", fosse sempre presente negli uomini, e facesse loro desiderare di reprimere ogni dissenso. Né egli trovò che i socialisti rivoluzionari dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori avessero alcuna simpatia per lo spirito del libero dissenso. Il loro ‟principio animatore" parve a Mill essere l'‟odio". Essi sembravano attratti dal caos, del tutto incuranti del fatto ‟che il caos è la situazione di gran lunga più sfavorevole per dare inizio all'edificazione di un mondo"; evidentemente, essi erano appagati dal pensiero della distruzione dell'ordine esistente, anche se avesse determinato ‟la comune rovina". ‟Il sistema di gestione comunista", scrisse Mill, sarebbe stato ‟meno favorevole di quello privato all'apertura di nuovi orizzonti"; a esso sarebbe mancata l'audacia ‟indispensabile a ogni grande progresso", e avrebbe risolto i problemi ‟in una maniera più o meno arbitraria" (v. Mill, 1967, pp. 742-749). Persino nel 1849, quando l'entusiasmo rivoluzionario era al suo apice, Mill temeva che la vita sotto il comunismo sarebbe stata ‟una sorta di morto livellamento", e che sarebbe stato il dissenso a estinguersi e non lo Stato. Egli indicò come un irrisolto ‟problema sociale del futuro" il modo per salvare lo spirito del dissenso in un mondo socialista, ‟il modo per unire la massima libertà di azione individuale alla proprietà comune delle materie prime del globo [...]", per conciliare la libertà e l'originalità delle singole persone con l'organicismo politico-statuale.
5. Gli intellettuali come dissenzienti o contestatori
a) Il caso Dreyfus
Alla fine del XIX secolo, gli esponenti del dissenso erano i cosiddetti intellettuali, poiché l'ideologia aveva quasi completamente rimpiazzato la teologia come forma di manifestazione del dissenso. La rivoluzione del 1848 è stata definita dallo storico inglese L. Namier ‟la rivoluzione degli intellettuali". Il termine, comunque, divenne di uso comune nel 1898, in occasione del fermento suscitato in Francia dal caso Dreyfus. Il 14 gennaio 1898 il giornale ‟L'Aurore" pubblicò una protesta ‟contro la violazione delle forme giuridiche nel processo del 1894"; essa era firmata da esponenti della letteratura francese quali Anatole France, Émile Zola e Marcel Proust, e da più di trenta professori della Sorbona, del Collège de France, dell'École Normale e della Facoltà di medicina. Per una felice ispirazione, Georges Clémenceau, uomo politico e giornalista, stampò a tutta pagina, a mo' di titolo della protesta, Manifeste des intellectuels.
Il giorno dopo il critico letterario Ferdinand Brunetière, antidreyfusardo, derise coloro che avevano ‟creato il termine ‛intellettuali' per designare, come se si trattasse di un'aristocrazia, individui che vivono nei laboratori e nelle biblioteche", e che pretendono di essere ‟superuomini" della politica. Ben presto gli antidreyfusardi arrivarono a indicare gli ‛intellettuali' come il nemico, e la parola entrò nell'uso dovunque, in Europa, in America, in Asia.
Però in realtà questo ceto, gli intellettuali, rappresentava qualcosa di più che non semplicemente gli uomini colti o i liberi professionisti. Si poteva essere un ingegnere, un medico, un avvocato o un insegnante senza essere un ‛intellettuale'. Si diveniva un intellettuale quando si faceva propria la vocazione al dissenso, presentando se stessi come la coscienza autentica della società. Gli intellettuali sfidavano le élites tradizionali della società, quella militare e quella clericale; da questo punto di vista essi erano i discendenti diretti dei philosophes, Voltaire, Diderot, D'Alembert e Condorcet. I philosophes si erano schierati contro l'ancien régime e l'autorità della Chiesa. Spesso rischiando di persona, essi avevano sfidato, eluso con astuzie o blandito la censura, e si erano fatti portavoce della scienza newtoniana e della filosofia lockiana contro le dottrine tradizionali. La loro lotta contro la società costituita aveva trovato espressione nelle parole di Voltaire: ‟Écrasez l'infâme". Voltaire aveva fatto di casi particolari d'ingiustizia, come l'affare Calas, altrettante occasioni propizie per mettere sotto accusa e screditare il regime ufficiale. Così prese radici in Francia l'idea che la missione dei pensatori consistesse nel guidare il popolo, e nell'esprimerne la coscienza contro le élites tradizionali.
b) Gli intellettuali come critici della cultura e della società capitalistica
Gli intellettuali, d'altra parte, portarono il loro dissenso ben al di là di quello dei philosophes; essi, infatti, erano spesso in disaccordo con i valori della società borghese. Voltaire e gli enciclopedisti, al contrario, avevano considerato un'economia competitiva, fondata sulla proprietà privata, come il migliore supporto economico per le libertà individuali. Intellettuali come Anatole France ed Émile Zola, invece, si trasformarono in critici della società capitalistica e dell'élite economica. In tal modo gli intellettuali, in quanto oppositori del sistema istituzionale borghese, finirono col non essere più soltanto dei dissenzienti; il loro dissenso si confuse con un loro nuovo ruolo di presumibili portavoce della classe operaia e di una nuova società socialista. Così Lenin, nel suo libro Che fare?, generalizzò questa evoluzione storica nella tesi che gli intellettuali apportano una coscienza socialista alla classe operaia; senza gli intellettuali, sosteneva, i lavoratori non riuscirebbero mai a superare il momento della coscienza economico-rivendicativa. Secondo Lenin, dunque, senza gli intellettuali i lavoratori non riuscirebbero mai a liberarsi dei valori e dell'ideologia dominanti. Gli intellettuali che avevano reciso i loro legami con la società costituita erano i loro maestri di dissenso e di rivoluzione.
Si sono avanzate molte teorie circa le motivazioni degli intellettuali nel dissentire dall'ordine e dai valori costituiti. J. Schumpeter, l'economista e sociologo austro-americano, riteneva che gli intellettuali fossero vittime di una mentalità anticapitalistica e che costituissero il fattore principale del declino del capitalismo. Certamente la parola ‛alienazione' è divenuta lo slogan più popolare tra gli intellettuali dissenzienti; essa sta a significare la loro estraneazione da ciò che essi considerano come la cosiddetta etica protestante del lavoro, la società competitiva, la venalità dei rapporti capitalistici, il livellamento della vita culturale, la monotonia del lavoro meccanizzato. Durante la depressione degli anni trenta il termine polemico più usato era ‛sfruttamento'; negli anni sessanta, invece, era ‛alienazione'. È certo che gli intellettuali, come tipo sociale, sono sempre stati inclini a contestare una società commerciale; dalla Repubblica di Platone in poi le fantasie utopistiche degli intellettuali hanno sempre descritto società in cui essi costituivano l'élite dominante. I progetti di H. O. Wells, teorico fabiano, e del giornalista americano E. Bellamy, hanno in comune con la classica utopia di Tommaso Moro e con la Città del sole di Campanella la visione di una società retta da un'autoritaria élite intellettuale. La cultura universitaria è stata incline per secoli e secoli ad assumere atteggiamenti di dissenso perché le università, sia come centri di teologia e filosofia che, più tardi, di scienza, sono sempre state dirette da docenti che, in vario modo, hanno rinunciato ai vantaggi di una carriera militare, politica o nel mondo degli affari, a favore di una vita in cui sono prevalenti i valori spirituali. Ma mentre i monaci nei monasteri si erano sottratti alla vita sociale, professori e baccellieri delle università erano ancora parte della società, e vi diffondevano la tesi che la loro vocazione fosse quella aristocratica, superiore alla vocazione di ogni altra élite, di essere reggitori della società.
c) Gli intellettuali come nuova élite politica
In tal modo gli intellettuali dissenzienti non soltanto si proclamarono coscienza della società; essi dichiararono anche apertamente la loro ambizione politica di essere i reggitori della società. La vocazione di una élite morale tendeva a coincidere con la sua pretesa di essere élite politica. Questo atteggiamento degli intellettuali dissenzienti suscitò molte critiche. Un conservatore come W. Churchill dichiarò (1933) che gli intellettuali erano spinti contro la propria società da un impulso autodistruttivo, che essi riversavano sul loro paese uno ‟stato d'animo di ingiustificabile auto-degradazione"; un critico come J. Benda disse che essi, trasformandosi in politici settari, avevano tradito la loro vocazione al pensiero disinteressato; O. Sorel disse che essi erano essenzialmente una casta egocentrica, mentre V. Pareto ebbe a scrivere che gli ‛intellettuali' europei, come i mandarini cinesi, sono i governanti peggiori (v. Pareto, 1921). In campo socialista, d'altro canto, Lenin fustigava gli intellettuali borghesi per la loro continua insistenza sulla libertà di discussione, mentre negli Stati Uniti D. De Leon, come molti altri esponenti sindacali, accusava gli intellettuali di volersi servire dei lavoratori per ottenere per sé i privilegi del potere.
Nondimeno, dal tempo del caso Dreyfus gli intellettuali divennero i portavoce principali del dissenso. Allo scoppio della prima guerra mondiale R. Rolland, con il suo Au-dessus de la mêlée, ebbe un ruolo di primo piano nel sollecitare gli intellettuali a capeggiare l'opposizione allo sterminio e alla distruzione della civiltà europea. In Inghilterra, il filosofo B. Russell fu condannato a un periodo di carcere per aver svolto attività analoghe. Dieci anni più tardi furono gli intellettuali a guidare la protesta contro la sentenza del processo a Sacco e Vanzetti negli Stati Uniti. Dopo la seconda guerra mondiale furono intellettuali come J.-P. Sartre e S. de Beauvoir a capeggiare un ampio movimento di dissenso contro i tentativi del governo francese di reprimere la rivolta algerina. A livello mondiale, la critica all'intervento militare degli Stati Uniti contro il Vietnam del Nord fu fin dal suo inizio, nel 1964, essenzialmente opera di intellettuali.
E tuttavia, pensatori della statura di A. Camus e R. Aron hanno nutrito profonda diffidenza circa il carattere e le vere motivazioni dei dissenzienti. H. J. Laski, il maggior intellettuale laburista inglese degli anni trenta-quaranta, scrisse una volta che era stato il fallimento degli intellettuali italiani e tedeschi che aveva permesso a Mussolini e a Hitler di conquistare il potere, e che il fallimento degli intellettuali francesi aveva demoralizzato la nazione alla vigilia della guerra. Il dissenso degli intellettuali aveva inoltre contribuito a minare il coraggio e la fiducia in sé stesse delle repubbliche democratico-liberali che dovevano difendersi dal fascismo e dal nazismo. Durante gli anni venti-trenta, negli Stati Uniti, un esercito crescente di dissenzienti proclamò la bancarotta dei valori liberali e previde il prossimo trionfo di quelli comunisti. Molti intellettuali si recarono in visita in Unione Sovietica e pubblicarono resoconti entusiastici che divennero un documento collettivo di dissenso nei confronti della propria società. Il filosofo J. Dewey riteneva nel 1928 che gli insegnanti avessero in Unione Sovietica un ruolo di guida nella loro società assai maggiore che non negli Stati Uniti; altri intellettuali esaltavano la facilità del divorzio e la libertà dei costumi sessuali, il ruolo degli economisti nel formulare e dirigere i piani economici sovietici, i riconoscimenti e il ruolo sociale attribuiti agli scrittori. Filosofi, educatori, assistenti sociali, economisti, romanzieri, credettero di vedere i loro colleghi far parte integrante dell'élite dirigente sovietica. Famosi fabiani come B. e S. Webb e O. B. Shaw, durante la prima metà degli anni trenta e fin oltre la metà del decennio, videro nel Partito comunista sovietico la realizzazione di quel che era sempre stato il loro ideale e cioè il potere esercitato da esperti, tecnici e scienziati. L'‛alienazione' dell'intellettuale, l'estraneazione del dissenziente sembravano loro essere state finalmente superate nella società sovietica. Poco tempo più tardi una repressione estremamente dura si abbattè su ogni forma di dissenso intellettuale nella società sovietica, e proseguì fino alla morte di Stalin nel 1953. Gli intellettuali occidentali sembrarono, a un'analisi retrospettiva, esser stati più dei dissenzienti impulsivi che dei critici su basi scientifiche delle loro società; la loro infatuazione nei confronti della società sovietica, la loro incomprensione delle sue reali caratteristiche, le loro analisi sociali del tutto sbagliate furono giudicate nell'epoca post-stalinista più come delle proiezioni ideologiche di sentimenti inconsci che come conclusioni di uno studio della situazione reale. Di conseguenza, molti che in precedenza erano stati dissenzienti furono presi sul finire degli anni quaranta e negli anni cinquanta da una sorta di complesso di colpa, specialmente dopo che N. Chručšëv pronunciò, nel 1956, il suo famoso discorso al XX congresso del Partito a Mosca. Il movimento della ‛fine dell'ideologia' tra gli intellettuali occidentali risale a questo periodo. Le autorevoli pubblicazioni di R. Aron e D. Bell, gli scritti di I. Silone, I. Berlin e K. Popper concordavano nella convinzione che il dissenso era veramente costruttivo quando operava entro il contesto del sistema economico-sociale liberale; essi sostenevano che le società democratico-liberali consentivano un atteggiamento duttile e scientifico e l'attuazione delle riforme necessarie. Le ideologie, con le loro false leggi storiche onnicomprensive, esacerbavano solamente l'odio fra gli uomini, si prestavano a giustificare crudeltà inaudite, asservivano la scienza ai capricci di un'élite burocratica egoista e di vedute anguste, e aprivano la strada a società totalitarie in cui la polizia segreta eliminava ogni dissenso. L'ideologia era ritenuta una forma di pensiero in cui il mito si nascondeva sotto la terminologia delle scienze sociali; essa si caricava degli stati d'animo alternativamente sadici e masochistici degli intellettuali dissenzienti, come aveva fatto un tempo la religione.
d) L'alienazione e la rinascita dell'ideologia
Durante gli anni sessanta ha avuto luogo una poderosa rinascita dell'ideologia, in concomitanza con l'ondata di dissenso (che d'ora in poi chiameremo contestazione) che ha attraversato tutto il mondo occidentale. Il nuovo dissenso, cioè la contestazione, si manifestò in atteggiamenti nuovi e in nuovi modi di comportarsi nei confronti della razza, della guerra, della partecipazione politica, dell'uso della droga, del linguaggio e dei rapporti sessuali. La parola ‛liberazione' incominciò a designare movimenti di liberazione di studenti, negri, donne e omosessuali. Il termine ‛alienazione' divenne la parola più usata dai nuovi dissenzienti o contestatori. Esistevano numerosi motivi perché fosse in auge. In primo luogo il contestatore degli anni sessanta era alle prese con un sistema economico capitalistico che aveva raggiunto un livello di prosperità difficile a prevedersi durante la depressione o il secondo dopoguerra. Un tempo radicali e rivoluzionari avevano pensato che la legge marxiana della caduta del saggio di profitto e del crollo capitalistico avrebbe trovato conferma davanti ai loro stessi occhi. Il contestatore degli anni sessanta, invece, viveva in un sistema stabile, che egli odiava proprio per la sua stabilità. Di conseguenza, il contestatore degli anni sessanta abbandonò le categorie economiche e si rivolse a categorie moralistiche; allo stesso modo egli si allontanò dalle classi lavoratrici, che sembravano soddisfatte della società capitalistica, e andò in cerca della redenzione nella grande, e crescente, classe degli intellettuali, particolarmente tra gli studenti. I nuovi contestatori trovarono le loro guide e i loro slogan in scrittori come H. Marcuse, P. Goodman e Ch. Wright Mills. Marcuse condannava la classe operaia per essersi piegata alla ‟largizione del benessere" della società borghese e affermava che la ‟violenza della repressione" era invece maggiore di quanto non fosse mai stata nella storia dell'umanità. Egli chiamò gli intellettuali a guidare il ‟gran rifiuto" dei valori della società, e a dare il via a uno stadio ‟esplosivo" dello sviluppo dialettico dell'uomo, con l'aiuto di alleati provenienti dalla razza negra e dai popoli delle aree sottosviluppate. Marcuse attaccò anche i metodi matematici, quantitativi, della scienza come strumenti della dominazione borghese. Mills invitò gli intellettuali a rifiutare la ‟metafisica del lavoro" del XIX secolo, e a considerarsi come gli eletti per l'instaurazione di una nuova società. Goodman esaltò la contestazione nel mondo della scuola e degli omosessuali contro il ‟sistema organizzato".
L'uso corrente della parola ‛alienazione', comunque, contribuì a mantenere i contestatori all'interno della tradizione marxiana. Gli stessi Marx e Engels avevano ridicolizzato quella parola nel Manifesto del partito comunista come un ‟non senso". I contestatori, però, tornarono al giovane Marx, i cui Manoscritti economico-filosofici (1844), lasciati inediti da Marx, vennero riesumati, rotoli del Mar Morto del marxismo, per rimpiazzare l'autorità del Capitale. Il giovane Marx aveva scritto con eloquenza dell'‟alienazione del lavoro".
Lo scopo della contestazione era il superamento di tutte le diverse forme di alienazione dell'uomo nella società. La parola ‛alienazione' serviva al contestatore per criticare i costumi della sua società. Si ebbe un attacco violento e di vasta portata contro la cosiddetta ‛etica protestante', l'‛etica del lavoro', o l'‛etica del successo'; una nuova generazione di contestatori, notevolmente influenzata dalla contestazione degli hippies, trovò la sua espressione in nuove fogge sottoproletarie di vestiario, nei capelli lunghi, in un ritorno alla barba, in una rivolta contro la pulizia e in una propensione per le oscenità verbali come veicolo principale del discorso. Nello stesso tempo la contestazione sessuale si articolò in una rivolta contro il nucleo familiare in quanto fatto ‛borghese'; in molte cosiddette ‛comuni' si sperimentarono famiglie ‛plurime', e rapporti sessuali di gruppo o promiscui; i nuovi contestatori furono anche caratterizzati da un atteggiamento benevolo verso l'omosessualità maschile e femminile. Il Movimento di Liberazione della Donna non pose l'accento soltanto su obiettivi economici, come possibilità pari a quelle degli uomini per quanto riguardava l'occupazione e il salario, ma si battè anche per il diritto all'aborto e per l'emancipazione dai lavori domestici. Il nuovo dissenso o contestazione era anche connesso a una propensione per l'uso di droghe. Infatti alcuni suoi esponenti affermarono che l'originalità specifica della nuova sinistra consisteva nel fatto che essa univa insieme l'azione politica diretta e l'uso della droga. Fra i portavoce dei contestatori estremisti negli Stati Uniti si annoverano personaggi come J. Rubin e A. Hoffman. Costoro propugnavano il ricorso a tattiche ostruzionistiche - sit-in, occupazioni (di massa) di edifici, strade e aule, interruzione delle sedute dei tribunali e delle assemblee legislative - e l'esibizione dei corpi nudi durante le riunioni politiche degli avversari; essi esaltavano anche il furto e l'assassinio come atti di protesta contro il sistema sociale.
Fu proprio la vaghezza di significato della parola ‛alienazione' che contribuì a renderla una parola d'ordine gradita ai nuovi contestatori. Come aveva osservato Pareto, gli intellettuali costituivano effettivamente una nuova élite, che però, per la prima volta nella storia, era sufficientemente numerosa per poter scendere in lizza per il potere politico. In quest'ottica, il motivo di fondo dell'attuale ‛alienazione' degli intellettuali consisteva nel fatto che essi non erano stati ancora riconosciuti come reggitori della società. Ma nessun gruppo può confessare che la sua ‛alienazione' è dovuta alla frustrazione delle sue ambizioni di potere; esso preferisce considerare le proprie motivazioni come più elevate; di qui il fascino di una parola vaga come ‛alienazione'. Polivalente dal punto di vista semantico, poiché è indefinita, questa parola permette alla ‛falsa coscienza' degli intellettuali di rimanere, per quanto concerne le vere motivazioni di fondo, inconscia.
e) L'alienazione e la giovane generazione
La parola ‛alienazione' esercitò un richiamo particolare sui contestatori della giovane generazione, che erano in realtà la grandissima maggioranza. L'alienazione della gioventù è un tema universalmente presente nella storia; il conflitto tra figli e padri per l'egemonia è qualcosa che riguarda tutte le società di tutte le epoche. Alcune società sono abbastanza fortunate da vivere in situazioni - per esempio quelle di una frontiera aperta o di un'economia in espansione - che tendono a funzionare da valvole di sicurezza per le energie aggressive della ribellione generazionale. Laddove tali opportunità siano relativamente assenti, la giovane generazione tende a diventare maggiormente ‛alienata' dai propri padri e dai loro valori. E se, in una congiuntura di questo genere, la generazione più anziana viene meno a qualcuno dei compiti di guida militare, economica o politica della nazione, allora l'autorità morale degli adulti è minata e compromessa. In queste circostanze l'‛alienazione' della giovane generazione dà origine a movimenti studenteschi, e alle forme estreme della contestazione quali le attività terroristiche o di guerriglia. Ancora una volta l'indeterminatezza della parola ‛alienazione' la rende di particolare utilità per gli attivisti della giovane generazione. Poiché essa corrisponde esattamente all'indefinibilità del ‛malessere' che sgorga da fonti inconscie. Nessun giovane contestatore ama che si facciano risalire le ragioni del suo scontento a una rivolta latente contro il proprio padre; a nessun giovane contestatore piace udire uno psicanalista ricostruire scientificamente il modo in cui egli ha sublimato le sue energie aggressive proiettandole non più contro suo padre bensì contro alcune istituzioni del sistema sociale; a nessun giovane contestatore desideroso di épater le bourgeois piace veder rivelati i tratti distintivi di quest'ultimo come quelli del proprio padre. Tutte queste cause inconscie o represse di ribellione sono lasciate convenientemente nel vago dal contestatore, e l'ambiguità della parola ‛alienazione' copre ciò che è stato represso.
f) La contestazione sessuale
La contestazione sessuale ha avuto la tendenza a svilupparsi, abbastanza curiosamente, tra le donne che sentivano che i contestatori maschi della società si curavano assai poco delle rivendicazioni delle donne. Così M. Wollstonecraft, nel suo famoso Rights of women, polemizzava con Jean-Jacques Rousseau; così il primo movimento per il voto alle donne cominciò, negli Stati Uniti, quando donne eminenti non furono ammesse a una conferenza antischiavista nel 1833; analogamente, il Movimento per la Liberazione della Donna ebbe inizio quando i dirigenti di sesso maschile fecero intendere, durante i congressi della nuova sinistra, che essi consideravano la funzione della donna innanzitutto come quella di oggetto della soddisfazione sessuale. La contestazione femminile ha avuto la tendenza a dividersi in due filoni: quello non ideologico si batte per un trattamento economico uguale a quello degli uomini, per il diritto all'aborto e l'istituzione di asili nido per i bambini; il filone ideologico sostiene invece, per esempio, che il lesbismo è la forma più elevata della contestazione femminile. Le donne contestatrici hanno scritto poderosi trattati sugli atteggiamenti di sfruttamento sessuale (spesso inconscio) presenti nella letteratura e nella prassi sociale, e hanno arricchito il vocabolario dell'invettiva politica di termini pittoreschi. Le loro autrici principali, K. Millet, G. Greer, B. Friedan, e, in Francia, S. de Beauvoir, possono essere considerate le prosecutrici della contestazione espressa nell'Ottocento da George Sand, George Eliot ed Eleanor Marx Aveling, e, tra gli uomini, da Henrik Ibsen nelle sue opere teatrali e da John Stuart Mill nel suo saggio The subjection of women.
g) I dissidenti sovietici
I dissidenti sovietici costituiscono il primo movimento di dissenso che si sia mai manifestato tra coloro che sono nati e vivono in una società socialista. Essi si sono fatti portavoce del malcontento degli intellettuali sotto il socialismo, e hanno ampiamente documentato il fatto che dal tempo del regime staliniano il Partito Comunista Sovietico è guidato da un gruppo di uomini mediocri, tetro, ottuso e privo di cultura. Come ha scritto A. Amalrik, un giovane sociologo dissidente, nel suo Potrà l'URSS sopravvivere fino al 1984?, ‟l'allontanamento sistematico dalla vita sociale dei cittadini più indipendenti e attivi, ormai attuato da decenni, ha lasciato un'impronta di grigiore e di mediocrità in tutti i settori della società". È stata compiuta una selezione sociale a favore di ‟quanti erano obbedienti e condiscendenti", e sono stati invece eliminati ‟quanti erano più coraggiosi e indipendenti". Il fisico Sacharov, premio Nobel per la pace nel 1975, proclamò che il predominio ideologico del Partito richiedeva, a tutti i livelli sociali, che ‟si diventasse ipocriti, opportunisti, mediocri e stupidamente illusi". Non a caso, egli affermava, i progressi nel campo della biologia e della cibernetica erano notevolmente diminuiti nell'Unione Sovietica, mentre le grandi scoperte - dalla teoria dei quanti alla tecnologia elettronica - erano state fatte fuori dell'URSS. Solženicyn fu ripetutamente minacciato dagli agenti della polizia segreta (il KGB), mentre l'Unione degli scrittori cercò di ridurlo al silenzio; e poiché egli si mostrò irriducibile, fu espulso dall'Unione.
I dissidenti sovietici sono così divenuti i protagonisti di un ampio e approfondito dibattito che pone in discussione i fondamenti stessi dell'ideologia marxista. Se Lenin riteneva che la missione degli intellettuali fosse quella di dare alle masse una coscienza socialista, i dissidenti sovietici considerano invece loro missione il risveglio della coscienza etica del popolo. Essi ripudiano la dottrina marxista che pone il determinismo economico al di sopra dei principî etici. Dissidenti quali Solženicyn e Sinjavskij affermano che ci sono verità etiche eterne che vincolano gli esseri umani. Il loro punto di vista, che potrebbe essere chiamato ‛eternalismo', si oppone alla concezione dialettica del marxismo che sostiene la relatività delle norme morali in rapporto al mutare dei sistemi economici. Come ha scritto Solženicyn nel suo romanzo Divisione cancro: ‟Noi pensavamo che fosse sufficiente cambiare il sistema sociale di produzione perché cambiassero immediatamente anche gli uomini. Ma essi sono cambiati? No, non sono cambiati affatto! Noi dobbiamo mostrare al mondo una società in cui tutti i rapporti umani, i principî e le leggi fondamentali si reggano direttamente sull'etica, e su essa soltanto". Poeti quali B. Pasternak e A. Voznesenskij hanno accusato il sistema sovietico per la sua organizzazione burocratica fondata sulla menzogna, per la sua pretesa che il nero sia visto come bianco, e il falso affermato come vero. Essi sono stati puniti da burocrati della letteratura; quando Voznesenskij rifiutò la sua adesione a una menzogna ufficiale, il redattore capo della ‟Pravda" minacciò di ‟incenerirlo", se non si fosse sottomesso. Proclamando la necessità di un ritorno alle virtù universali, come l'onestà e la sincerità, i dissidenti hanno affermato che l'etica non è né ‛borghese' né ‛proletaria', bensì umana. Molti hanno anche sostenuto che una concezione umanistica deve avere un fondamento religioso. Secondo questo punto di vista, il dogma sovietico dell'ateismo rafforza l'amoralità della società sovietica, e il misconoscimento del divino nell'uomo produce una strumentalizzazione reciproca tra gli esseri umani.
Si è potuto osservare così un ritorno alla religione ortodossa nelle opere di scrittori come Solženicyn, Sinjavskij e Svetlana Allilueva (la figlia di Stalin); Pasternak fu sotto questo aspetto un loro precursore.
Un genere tragico di letteratura è stato ripreso dai dissidenti sovietici: l'autobiografia nei campi di lavoro e nell'attività clandestina. Il tema centrale di questo genere letterario è la resistenza dello spirito umano a un sistema pressoché onnipotente di denigrazione dell'uomo. Una giornata di Ivan Denisovič di Solženicyn fu seguito da opere quali Viaggio nel Whirlwind (1967) di E. Ginzburg, La mia testimonianza (1969) di Marčenko, Speranza contro speranza (1970) e la Speranza abbandonata (1974) di N. Mandel′štam. Diversamente dai libri scritti dai perseguitati politici sotto il regime zarista, questa nuova letteratura del dissenso è ispirata dalla disillusione. Dopo più di mezzo secolo di potere sovietico, una classe intellettuale nutrita degli ideali marxisti dei fondatori bolscevichi, mette in discussione i fondamenti morali e i risultati conseguiti da quel potere.
Poiché le case editrici hanno negato la pubblicazione degli scritti dei dissidenti, essi sono ricorsi al cosiddetto samizdat (autopubblicazione), servendosi di copie dattilo- scritte circolanti di mano in mano. Pochi sono riusciti a pubblicare i loro lavori all'estero, e, a differenza di quanto era avvenuto in Russia nell'Ottocento, non è stato possibile far uscire clandestinamente molti di questi libri oltre i confini russi. La pubblicazione e la distribuzione delle opere del samizdat sono ovviamente difficili e limitate. Il messaggio dei dissidenti sovietici è stato tuttavia diffuso da stazioni radio straniere quali la American Radio Liberty e la BBC. Nonostante le continue interferenze di disturbo ordinate dalle autorità sovietiche, milioni di cittadini sovietici hanno potuto ascoltare alla radio gli scritti dei dissidenti.
Un gruppo ha fondato il Movimento democratico, che è riuscito a pubblicare per diversi anni una ‟Cronaca degli avvenimenti attuali", primo periodico del dissenso politico apparso nell'URSS a partire dagli anni venti. Il primo fascicolo uscì nel 1968 e fino al maggio del 1974 ne erano stati pubblicati trentun numeri. La ‟Cronaca" dichiarava di rispettare scrupolosamente la legalità; non indicava tuttavia né nomi di redattori, né luogo di pubblicazione. Ogni numero aveva di solito circa dieci pagine dattiloscritte, e probabilmente non ne circolavano più di qualche migliaio di copie. I lettori della ‟Cronaca" erano però gli esponenti più intelligenti e civilmente impegnati della classe intellettuale sovietica, di cui il periodico divenne infatti il portavoce. Esso forniva particolari sugli avvenimenti taciuti dalla stampa ufficiale, e dava notizie sulle repressioni (arresti, processi, persecuzioni illegali, morte di condannati alla prigione e ai campi di lavoro, suicidi negli ospedali psichiatrici, ecc.). Benché la ‟Cronaca" non fosse una pubblicazione di argomento letterario, dava anche brevi notizie sulle attività letterarie, e si proponeva inoltre di fornire un quadro complessivo della situazione relativa all'applicazione dei diritti civili e politici nell'URSS, e quindi di renderne pubbliche tutte le violazioni. I ‛pezzi' più efficaci della ‟Cronaca" furono i resoconti letterali degli interrogatori dei dissidenti da parte delle autorità inquirenti e della polizia. È significativo il fatto che tali documenti siano giunti in possesso dei dissidenti, consegnati con ogni probabilità da funzionari sovietici solidali con il Movimento democratico. Ciò sembra indicare che si è determinata un'importante incrinatura nella struttura monolitica del sistema sovietico.
A poco a poco i dissidenti sovietici hanno cominciato anche ad organizzare manifestazioni pubbliche. Così si è avuta qualche dimostrazione politica contro determinate azioni del regime. Il 5 dicembre del 1965 ci fu una dimostrazione di una ventina di persone sulla piazza Puškin di Mosca contro l'arresto degli scrittori Sinjavskij e Daniel. Quando i partecipanti alla dimostrazione furono arresta- ti, ne fu organizzata un'altra. Gruppi di dissidenti furono allora minacciati, privati del lavoro, arrestati, processati e condannati a un periodo di prigione o di esilio da Mosca. Inoltre, il regime ricorse a una nuova forma di punizione, l'internamento in ospedali psichiatrici, dove i dissidenti erano sottoposti a indegni trattamenti medici, intesi a sfibrarli moralmente e psicologicamente. Il matematico ucraino L. Pljušč, il generale P. Grigorenko e lo scrittore A. Esenin-Vol'pin, furono tra coloro che subirono tali punizioni.
La dimostrazione più importante fu quella che ebbe luogo contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia: circa un centinaio di persone si radunarono il 25 agosto del 1968 sulla Piazza Rossa e furono quasi subito disperse.
Nel 1969 un piccolo gruppo di scienziati e di studenti, guidati da Sacharov, annunciarono la formazione di un Gruppo d'azione per la difesa dei diritti dell'uomo nell'Unione Sovietica. Affiliato alla Amnesty International, un'organizzazione fondata a Londra per la salvaguardia dei prigionieri politici in tutto il mondo, il Gruppo sperò di poter ottenere l'adesione del governo sovietico alla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dell'uomo. Ma i membri del Gruppo furono subito perseguitati; il suo segretario, il fisico V. Čalidze, non poté ritornare dagli Stati Uniti una volta scaduto il suo permesso di soggiorno di un mese che gli era stato accordato. Il suo successore, il fisico A. Tverdochlebov, fu esiliato in una remota località della Siberia, dove nell'agosto del 1976 Sacharov e sua moglie fecero un coraggioso pellegrinaggio di amicizia. Il Gruppo d'azione cercò di fornire ai corrispondenti stranieri resoconti accuratamente documentati sui casi di violazione dei diritti dell'uomo da parte delle autorità sovietiche.
In una serie di interviste e di opuscoli Sacharov formulò delle proposte per una liberalizzazione democratica della società sovietica. Egli sosteneva che essa era necessaria affinché l'economia sovietica non restasse disastrosamente indietro. Sacharov chiedeva libertà di espressione e di pubblicazione, libertà per le organizzazioni rispettose della legalità, salvaguardia dei diritti civili individuali e indipendenza del potere giudiziario.
Con la firma dell'accordo di Helsinki nell'agosto del 1975, che impegnava sia l'URSS sia le nazioni occidentali al rispetto della libertà di espressione, l'attività di Sacharov e di quanti si battevano per la stessa causa assunse una nuova importanza, poiché ottenne un maggiore appoggio dall'opinione pubblica e dai governi occidentali nell'esigere che il governo sovietico mantenesse gli impegni che aveva sottoscritto.
L'avvenimento più drammatico del dissenso sovietico fu l'espulsione dall'URSS del suo più grande scrittore vivente, il premio Nobel Solženicyn. Per molti anni egli aveva apertamente denunciato le repressioni messe in atto dal regime sovietico. Inoltre, egli aveva consentito che la prima parte della sua opera Arcipelago Gulag fosse pubblicata all'estero. Il libro, frutto di molti anni di lavoro, descriveva le condizioni di esistenza nei campi di lavoro sovietici. ‟A malincuore, scriveva Solženicyn, ho evitato per molti anni di pubblicare quest'opera; il mio dovere verso quelli che sono ancora vivi supera però il mio dovere verso i morti. E ora che la polizia si è impossessata del mio libro, non ho altra scelta che pubblicarlo immediatamente". Restio a lasciare la sua terra natale, Solženicyn si rifiutò anche di recarsi in Svezia, sia pure per una breve visita per ricevere il premio Nobel. Ma i dirigenti sovietici lo fecero arrestare e nel febbraio del 1974 lo espulsero dall'URSS. Solženicyn si recò dapprima a Francoforte s.M., poi a Zurigo, dove portò a termine il suo libro Lenin a Zurigo. Successivamente si recò negli Stati Uniti, dove rappresentanti del governo federale e numerosissime eminenti personalità del mondo intellettuale e politico americano gli diedero il benvenuto in una pubblica manifestazione. Solženicyn disse che si sentiva in diritto di salutare tutti come ‟fratelli nel lavoro", perché aveva trascorso molti anni ‟come tagliapietre, come fonditore e come lavoratore manuale" nei campi di concentramento. Egli espresse l'opinione che la distensione tra l'URSS e gli Stati Uniti sarebbe stata deleteria qualora si fosse realizzata senza garantire il rispetto e la salvaguardia dei diritti dell'individuo nel suo paese. Il Senato americano conferì a Solženicyn la cittadinanza onoraria, e l'impressione che la sua personalità fece sull'opinione pubblica fu molto profonda.
Alcuni dissidenti sovietici, fra i quali Sacharov, criticarono le concezioni di Solženicyn. In un certo senso la differenza fra i loro punti di vista riflette la divergenza tra l'‛opposizione letteraria e l'‛opposizione scientifica'. L'opposizione letteraria considera l'ideologia sovietica come la principale fonte dei mali del sistema. Per gli aderenti a tale opposizione il ritorno a un punto di vista religioso è essenziale. Sacharov ritiene invece che Solženicyn sopravvaluti il ruolo dell'ideologia nelle decisioni politiche, e considera la società sovietica caratterizzata piuttosto da ‟indifferenza ideologica"; a suo avviso Stalin commise molti crimini non per motivi ideologici, ma per motivi di potere. Sacharov desidera un modello democratico di sviluppo che sia soddisfacente per tutti i paesi, e non teme il ‛gigantismo industriale'.
Le file dei dissidenti sovietici si sono assottigliate negli ultimi anni, poiché molti di loro sono stati esiliati in regioni remote e altri espulsi dal Paese. Né sono mancate tensioni, sia personali che politiche, tra gli esponenti del dissenso, proprio come era avvenuto tra i rivoluzionari russi dell'Ottocento. Sinjavskij e Solženicyn erano in disaccordo tra loro; R. Medvedev, rimasto nell'URSS, ha conservato la convinzione marxistica che la struttura sociale sovietica sia essenzialmente progressista, e ha respinto la critica radicale mossa da Solženicyn all'ordinamento sovietico. Ma nonostante le loro divergenze di opinione e gli ostacoli incontrati, i dissidenti sovietici sono riusciti a esercitare una grandissima influenza sui popoli, sui governi e anche sui partiti comunisti occidentali. L'annuncio dato nel 1975 dal presidente Ford che egli non avrebbe più usato la parola ‛distensione', fu in larga parte determinato dalla profonda impressione esercitata sull'opinione pubblica dalle profetiche denunce di Solženicyn, secondo il quale bisognava evitare un'autodistruttiva pacificazione col gruppo dirigente sovietico.
Inoltre, i partiti comunisti italiano, francese e spagnolo hanno cercato, ciascuno a proprio modo, di dissociarsi dalle responsabilità dell'Arcipelago Gulag; essi hanno dichiarato di voler ideare un modo di essere comunisti compatibile con le libertà individuali. L'‛eurocomunismo', come è stato chiamato, si è impegnato a rispettare il principio delle libere elezioni e dell'alternanza dei partiti al governo sulla base dei risultati elettorali, a garantire la libertà della scienza, dell'arte e dell'educazione. Alla Conferenza dei partiti comunisti europei, svoltasi a Berlino Est nel giugno del 1976, il capo del Partito Comunista Spagnolo, S. Carrillo, ha ripudiato la dottrina marxista dell'inevitabilità storica, mentre il capo del Partito Comunista Francese, G. Marchais, ha dichiarato ormai superato il concetto di ‛dittatura del proletariato'.
I dissidenti sovietici sono parzialmente isolati dalla comunità intellettuale del resto del mondo. Nei secoli scorsi i dissidenti hanno goduto della fiducia e del sostegno sia di larghi strati sociali nel proprio paese, sia di scrittori e di scienziati di altri paesi. Voltaire e Diderot, per es., ebbero numerosi ammiratori non solo in Francia ma anche in Gran Bretagna. I dissidenti sovietici, invece, hanno dovuto lavorare nell'oscurità, e i sentimenti di coloro che li hanno ascoltati nel loro paese non hanno potuto esprimersi.
E tuttavia, nonostante il loro parziale isolamento, i dissidenti sovietici hanno prodotto in tutto il mondo una divisione, un ‛grande scisma' nella comunità intellettuale, soprattutto fra coloro che negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale nutrono ancora simpatia per il socialismo, visto come uno stadio superiore della civiltà umana e come la realizzazione del sogno, vagheggiato già da Platone, di una società governata dai filosofi. Gli intellettuali europei e americani di ispirazione socialista hanno visto in quella disastrosa impresa che è stata la guerra del Vietnam e nel massacro di My Lay una manifestazione evidente delle tendenze dell'imperialismo americano.
I dissidenti sovietici forniscono agli intellettuali occidentali notizie assai spiacevoli e sgradite. Avendo fatto personale esperienza della realtà socialista, essi sono disincantati e delusi nei confronti del sogno socialista, e descrivono la società sovietica come una società che, lungi dall'aver soppresso l'‛alienazione', l'ha portata a nuovi livelli. Essi raccontano che nell'URSS l'arte, la letteratura e la scienza languono sotto il controllo politico; e perciò considerano gli intellettuali occidentali o ingenui o moralmente corrotti.
Secondo i dissidenti sovietici i timori di J. St. Mill - che una società socialista, centralizzata e burocratica, avrebbe ucciso ogni libertà - si sono realizzati. Perciò essi recentemente si sono dichiarati a favore dell'America, e si sono rifiutati di paragonare un episodio isolato sul campo di battaglia nel Vietnam con la distruzione sistematica di intere classi sociali attuata nei campi di concentramento sovietici. Inoltre, a loro avviso l'America aveva avuto motivi molto seri per intervenire nel Vietnam. Solženicyn e Sacharov si sono espressi entrambi a favore degli Stati Uniti.
La conseguenza di ciò è stata che molti intellettuali occidentali hanno espresso riserve sui dissidenti sovietici. Essi hanno negato che Solženicyn appartenga alla tradizione della democrazia liberale, e hanno affermato che il suo è piuttosto un ritorno alla Chiesa ortodossa e agli zar. In America, Solženicyn ha trovato un'accoglienza più calda tra i lavoratori che tra gli intellettuali.
I dissidenti sovietici esuli in Occidente hanno incominciato a pubblicare, a partire dal 1974, una rivista in russo e in tedesco: ‟Kontinent". Ad essa collaborano anche scrittori non russi. ‟Soltanto quarant'anni fa - ha scritto Solženicyn - sarebbe stato inconcepibile che scrittori di paesi tanto diversi avessero una comune esperienza di vita, ricavassero da essa conclusioni similmente amare, e avessero pressoché gli stessi desideri per il futuro".
Quale possa essere il futuro del dissenso nell'Unione Sovietica è un problema aperto, strettamente connesso con il problema, cruciale, della compatibilità della libertà di pensiero e di espressione con una società socialista pianificata.
I dissidenti sovietici hanno sollevato questioni che indubbiamente li rendono impopolari tra molti loro compatrioti. Essi hanno messo sotto accusa un'intera società per la sua connivenza con i crimini dello stalinismo. Soprattutto Solženicyn ha messo in luce la passività e l'inerzia di quasi tutti gli strati sociali in Russia, dove nessuno ha mai fatto alcunché per fermare la repressione del regime.
I dissidenti sovietici hanno sollevato anche la questione, endemica nella società sovietica, dei pregiudizi etnici: l'antisemitismo largamente diffuso, l'ingiusta e crudele spoliazione dei Tartari di Crimea, la soppressione della cultura nazionale ucraina, l'ostilità verso gli Uzbechi dell'Asia centrale. I nomi degli intellettuali liberali ucraini imprigionati, V. Chomovil e V. Moroz, sono diventati simboli della difesa di una cultura nazionale oppressa e schiacciata.
I dissidenti sovietici non costituiscono un'emigrazione politica nello stesso senso in cui lo è stata quella dei marxisti come Lenin, Martov, Trotzki e Plechanov alla fine del secolo scorso e agli inizi di questo. Essi hanno una maggiore affinità con i letterati esuli dell'Ottocento, come I. Turgenev e A. Herzen. Si deve inoltre ricordare che nessun esule politico, neppure Einstein, ha mai esercitato un influsso così forte e significativo sull'opinione pubblica di tutto il mondo come Solženicyn. Con lui il dissenso ha conquistato una nuova dimensione morale nella storia contemporanea.
6. Il dissenso o contestazione nell'epoca contemporanea
a) Il declino della contestazione dopo la seconda guerra mondiale
Durante gli anni sessanta la contestazione negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale ha raggiunto proporzioni mai conosciute dal 1848 in poi. La contestazione tuttavia non è riuscita, nonostante i tentativi dei suoi principali protagonisti, a trasformarsi in un movimento politicamente e socialmente rivoluzionario di grandi proporzioni. Dall'inizio degli anni settanta la contestazione si è manifestata principalmente nella sperimentazione di nuovi ‛stili di vita'. Dalla beat generation a quella hippie i contestatori hanno esercitato una profonda influenza sui codici di comportamento della gioventù di tutto il mondo.
La rinascita della contestazione all'inizio degli anni sessanta colse di sorpresa sia gli Stati Uniti che l'Europa occidentale. In America, dalla fine della seconda guerra mondiale all'incirca fino al 1960, la figura del contestatore aveva relativamente perso prestigio. Gli intellettuali erano per lo più caduti in discredito. In Francia, A. Camus e R. Aron avevano rilevato la debolezza emotiva degli intellettuali nei confronti dell'ideologia rivoluzionaria; il marxismo era considerato ‛l'oppio degli intellettuali', e Aron propose ‟la fine dell'epoca dell'ideologia". Gli Stati Uniti avevano attraversato, dal 1948 al 1954, quella che oggi è spesso chiamata ‛l'epoca del maccartismo'. Molti intellettuali credettero che si stesse strangolando il dissenso, ma l'intensità della repressione allora esistente viene molto esagerata. Il senatore J. E. McCarthy denunciò per parecchi anni gli intellettuali per le loro simpatie e attività presumibilmente segrete a favore del comunismo all'interno di settori del governo americano e delle università. A volte la sua documentazione era ben poco conforme alla prassi giuridica o accademica. Purtuttavia egli aveva ben poco potere politico effettivo, non controllava alcuna organizzazione politica e non aveva un gruppo organizzato di seguaci; egli era sostanzialmente una personalità isolata. Ma McCarthy ebbe una straordinaria forza d'urto poiché egli portò allo scoperto il crollo psicologico del contestatore durante il periodo che seguì la seconda guerra mondiale. A partire dal processo ad A. Hiss, e dalla sua condanna come spia al servizio dell'Unione Sovietica nel Dipartimento di Stato, divenne chiaro che elementi del dissenso americano erano venuti a patti con la propria coscienza. Hiss era uno stimato intellettuale formatosi ad Harvard, che era giunto molto in alto negli affari e nell'amministrazione governativi. Egli fu un caso tipico; come lui, molti intellettuali degli anni trenta, contestando il sistema capitalistico, diventarono membri del Partito comunista o lo servirono come compagni di strada. Il Partito comunista americano, tuttavia, costrinse i suoi membri a una linea di condotta clandestina, di segretezza; così facendo seguiva la condizione che l'Internazionale Comunista aveva imposto nel 1920 ai suoi partiti membri, secondo la quale essi ‟dovevano creare ovunque un apparato illegale parallelo". Fino ad allora in America il contestatore era sempre stato fiero e appassionato nel proclamare la propria affiliazione, spiegare la propria fede, giustificare i propri atti; fossero abolizionisti, riformatori dei costumi, socialisti, vegetariani o seguaci del libero amore, i contestatori avevano rifiutato assolutamente qualsiasi forma di mascheramento. I comunisti americani importarono però la prassi leninista, in ottemperanza alla quale la maggior parte di essi tenne nascosta la propria appartenenza al partito. La contestazione divenne subdola invece che franca. Si giunse alla diffusione di una sorta di tabù in base al quale, nei circoli della contestazione, nessuno doveva mai chiedere a qualcun altro se fosse comunista. Inoltre, i contestatori erano sempre stati, in America, degli individualisti, con posizioni personali, e pronti a opporsi a chiunque pretendesse di essere un dittatore. La contestazione era stata soprattutto espressione di un atteggiamento pluralistico. Nella loro fase comunista, però, i contestatori rinunciarono, presumibilmente in funzione di uno scopo più alto, all'individualismo, alle differenze, alla varietà pluralistica. Essi si sottomisero alla disciplina autoritaria di un partito monolitico in vista di una contestazione suprema, egemonica, storica. Essi soffocarono ogni dissenso interiore circa un infinità di questioni poiché questa disciplina era, secondo la maggior parte di loro, inviolabile. Quando nel 1937 il filosofo americano Dewey, rappresentante del vecchio tipo di contestatori, convinse un gruppo di seguaci a credere alla difesa di Trotzki contro Stalin (che lo aveva accusato di essere una spia nazista), gli intellettuali americani di sinistra lo attaccarono con asprezza. È tuttavia probabile che la maggior parte di loro condividesse il giudizio di Dewey che i ‛processi di Mosca' erano messinscene menzognere, e che fosse profondamente disgustata dal patto di Stalin con Hitler del 1939. I contestatori comunisti americani repressero le loro opinioni personali in una sorta di inconscio collettivo di partito. Solo i nuovi ‛deviazionisti' che avevano fatto la loro comparsa nelle piccole organizzazioni trotzkiste e ‛deviazioniste di destra' rivivificarono, all'interno del marxismo, la tradizione di un più libero dissenso. Il ‛deviazionista' come nuovo tipo di contestatore era tuttavia paralizzato dal suo perenne desiderio di mostrarsi più fedele alla dottrina marxista che non il Partito comunista ufficiale.
Di conseguenza i contestatori americani si trovavano psicologicamente in una condizione vulnerabile allorché, dopo il 1946, ebbe inizio il periodo della ‛guerra fredda'. Essi non riuscirono a suscitare alcun entusiasmo convincente per il blocco di Berlino nel 1948, o per il colpo di Stato manovrato dai Sovietici in Cecoslovacchia, o per l'invasione nord-coreana della Corea del Sud nel 1950. Quando essi si dovettero presentare davanti ai comitati del Congresso, erano ormai troppo divisi e dominati da un senso di colpa per difendere la loro contestazione, poiché la maggior parte di loro ne aveva infine riconosciuto l'inautenticità e l'insincerità. Essi lottarono disperatamente per conservare un po' di dignità politica e un'apparenza da martiri; invocarono il cosiddetto ‛quinto emendamento' per liberarsi dell'obbligo di difendere pubblicamente le loro opinioni e le loro azioni. Così facendo, però, il contestatore americano crollò. Il contestatore d'altri tempi avrebbe accolto con entusiasmo la possibilità di discutere con un senatore McCarthy e con dei comitati del Congresso; il contestatore comunista crollò perché egli si sentiva colpevole per gli anni della sua capitolazione di fronte ai dittatori di partito. In America, durante gli anni cinquanta, il contestatore divenne una figura melanconica. Egli non poteva avanzare alcuna pretesa di essere la coscienza dell'America.
b) La ripresa della contestazione negli anni sessanta: la protesta razziale
Il risveglio della contestazione tra gli intellettuali americani venne tuttavia affrettato da un incidente avvenuto il primo febbraio 1960 a Greensboro, nella Carolina del Nord. Quattro studenti negri si sedettero al banco di un locale e chiesero una tazza di caffè; si trattava di un ristorante che rifiutava di servire i negri. Gli studenti dettero inizio al primo sit-in di quegli anni. Nel giro di un mese il fenomeno di sit-in contro locali in cui fosse in vigore la segregazione razziale si allargò a molti campus universitari. I diritti civili divennero la questione dominante nel risveglio dell'irrequietezza generazionale.
Ciò che caratterizzava i contestatori degli anni sessanta era il fatto che essi si trovavano prevalentemente nelle università. Mentre negli anni cinquanta l'attivismo politico era stato insignificante, i nuovi contestatori divennero attivisti politici nel senso più immediato. Facendo proprie le tattiche usate con successo dagli studenti negri, i nuovi contestatori si servirono in principio soprattutto dei sit-in per impedire il funzionamento di ogni organizzazione preesistente e costringerla a venire a patti. Le nuove tattiche dirette dimostrarono la loro efficacia facendo ottenere lavoro ai negri in numerose imprese come alberghi e negozi. Anche gli studenti bianchi si unirono a quelli negri nel 1963 per partecipare ai freedom rides negli Stati del Sud, e nel 1964 presero parte alle freedom schools, che svolgevano propaganda in favore della registrazione dei negri nelle liste elettorali. Il Comitato di Coordinamento degli Studenti Non-violenti, istituito nella primavera del 1960, divenne il principale portavoce di questo tipo di contestazione della nuova generazione. In questo periodo la tradizione di contestatori del tipo di H. D. Thoreau era ancora forte. La contestazione era concepita come un appello alla coscienza della comunità tramite la violazione di alcune delle leggi, statuti, ordinanze o prassi vigenti di discriminazione razziale. Non si ammetteva comunque l'uso della forza fisica; la resistenza alla violenza fisica doveva essere puramente passiva. I contestatori, inoltre, si proponevano, nel caso di arresto o processo, di non negare le loro azioni e di non cercare di eludere le pene. Essi confidavano nel sistema costituzionale: si sarebbero appellati a tribunali di grado più elevato per verificare la costituzionalità delle leggi repressive, e soprattutto avrebbero risvegliato in tal modo la coscienza morale della comunità bianca, spingendola ad abrogare quelle disposizioni. In America, il pioniere di una resistenza non violenta per esprimere il dissenso e promuovere trasformazioni sociali fu M. Luther King jr., un sacerdote negro, che aveva guidato nel 1956 il boicottaggio dei trasporti pubblici a Montgomery, nell'Alabama. Quest'azione, che durò quasi un anno, si concluse con una vittoria allorché la Corte Suprema degli Stati Uniti decretò che la segregazione razziale sugli autobus era contraria alla legge. Per qualche anno gli studenti contestatori seguirono questo sistema di protesta non violenta.
c) La protesta contro il sistema costituito
Fino al 1964 nelle università americane i contestatori rimasero un gruppo marginale e isolato, con scarsa influenza sulla maggioranza degli studenti e sull'università nel suo complesso. Nel 1964 una fiammata di rivolta generazionale si accese nei colleges e nelle università. Ben presto l'espressione generation gap divenne un luogo comune nei giornali e nelle trasmissioni televisive americane. Preludio a questa spaccatura tra generazioni fu l'assassinio, avvenuto nell'estate del 1964 nel Mississippi, di tre giovani volontari dei diritti civili; due di loro erano studenti universitari bianchi. Poi, durante l'autunno, una questione universitaria di secondaria importanza fornì l'occasione, a Berkeley, per un ‛confronto' tra attivisti studenteschi e amministrazione dell'Università della California. In seguito l'interesse originario per i diritti civili fu dimenticato; ciò che era divenuto importante era la contestazione della ‛società impersonale', del ‛sistema costituito', della burocrazia. L'università venne descritta come un calcolatore dell'I.B.M. che mutilava le sue creature. La metafora più usata sui manifesti diceva: ‟Io sono uno studente dell'Università della California. Si prega di non piegarmi, di non ripiegarmi, di non bucarmi o mutilarmi". La contestazione divenne un atteggiamento e una disposizione emotivi, e c'era una tendenza a inscenare dimostrazioni che assunsero il carattere di un rituale di sfida generazionale. Ai primi di dicembre del 1964 più di ottocento fra studenti e non studenti occuparono l'edificio dell'Amministrazione dell'Università e furono arrestati. La loro azione era stata provocata dalla proposta di una commissione dell'Università di indagare sulle circostanze in cui il maggior dirigente studentesco, M. Savio, aveva morso un poliziotto.
Ne seguì un grande sciopero studentesco, e la Facoltà capitolò rapidamente di fronte a tutte le richieste degli attivisti. La sollevazione degli studenti di Berkeley divenne una specie di modello delle rivolte che ebbero luogo per tutto il resto degli anni sessanta. Una nuova ideologia contestataria dipingeva gli studenti come la classe sfruttata della società. Si videro scrittori di mezza età e anziani tentare di definire le basi di questa ideologia. Un articolo di P. Goodman, l'autore neo-anarchico di Growing up absurd, dichiarava: ‟Oggigiorno negli Stati Uniti gli studenti - giovani della classe media - sono la principale classe sfruttata". Goodman rimase però più legato al tipo di contestazione alla Thoreau, con la sua non-violenta disobbedienza civile, di quanto non lo fosse il movimento studentesco nel suo evolversi. Nella misura in cui gli Stati Uniti si trovavano sempre più impegnati nel Vietnam in una guerra difficile, la tattica della contestazione passava dalla non-violenza alla violenza. Gli scritti di Marcuse soppiantarono quelli di Goodman come spiegazioni razionali dell'‛esplodere' del sistema. Le opere di Marcuse ponevano l'accento sulla dialettica ‛esplosiva' latente in una società che egli definiva come la più repressiva di tutti i tempi.
L'allieva prediletta di Marcuse, A. Davis, una giovane donna negra, nel 1970 fu indiziata di essere implicata in numerosi omicidi commessi durante una fuga di prigionieri da un tribunale della California. Nel frattempo la contestazione aveva assunto la tendenza ad allargarsi in un attacco ai valori e ai metodi razionali e scientifici. Marcuse attaccò il metodo ‛operazionale' della scienza in quanto partecipe della logica del ‛contenimento'; anche la grammatica fu da lui definita ‛autoritaria', perché nelle proposizioni era attribuita al nome una funzione autoritaria in quanto ‛soggetto'. I metodi aritmetici e quantitativi subirono una condanna analoga da parte di Marcuse in quanto strumenti della logica del ‛dominio'.
Tutto ciò, e in particolare l'accentuazione della ‛negazione', trovò un pubblico ricettivo, soprattutto quello dei cosiddetti non-studenti. Oltre duecento di loro erano stati arrestati durante il primo sit-in di Berkeley; migliaia e migliaia di essi risiedevano nei dintorni dell'Università. Il non-studente era una nuova variante nella storia della contestazione; egli definiva se stesso in via negativa. Se il sistema aveva i suoi assertori, i suoi ‛uomini dell'apparato', il non-studente si considerava come un negatore totale. Non aveva lavoro né vocazione. Egli contrapponeva una ‛controvirtù', o un'‛antivirtù', a ogni virtù dell'‛etica protestante'. Se suo padre aveva attribuito valore alla sobrietà, al lavoro, al successo e alle idee chiare, il non-studente era pronto a darsi alla droga, a un mondo psichedelico, all'immediatezza, al rifiuto di ogni prospettiva, a un mondo mistico in cui l'esaltazione della violenza, della droga, o del rapimento orgiastico l'avrebbero, secondo lui, portato più vicino alla realtà dell'esistenza di quanto potesse fare qualsiasi studio scientifico. Il non-studente consacrava la sua vita a una perenne replica della sua rivolta adolescenziale contro il padre. Per questa ragione egli era incline a restare entro il contesto universitario, dove era una persona in più disponibile a pieno tempo per agitazioni e dimostrazioni contro il sistema.
d) L'irrazionalismo della nuova contestazione
Il contestatore classico, dal XVII fino al XIX secolo, aveva propugnato riforme specifiche che, a suo giudizio, avrebbero posto rimedio alle sue pene; il contestatore classico accettava le linee fondamentali del sistema vigente; i cambiamenti che egli proponeva erano in genere di carattere marginale. La nuova contestazione, invece, dichiarò con franchezza di non avere alcuna idea chiara sulla natura della nuova società cui proponeva di dar vita. Si deve per prima cosa ‛negare' il sistema presente, dichiaravano i contestatori, e quindi emergerà la nuova, imprevedibile società. Essa sarebbe stata, ne erano sicuri, un esempio di ‛comunità organica' di tipo più elevato; gli uomini non sarebbero stati divisi l'uno dall'altro; l'alienazione sarebbe stata eliminata. Per la prima volta la contestazione s'impregnò di misticismo psichedelico; se l'apoteosi della violenza aveva un gusto soreliano, l'attacco alle virtù del lavoro e del successo era qualcosa che Sorel avrebbe aborrito.
Nel corso degli anni sessanta il Comitato di Coordinamento degli Studenti Non-violenti si trasformò in un'organizzazione che propugnava esplicitamente la violenza. I nuovi dirigenti negri, St. Carmichael, E. Cleaver, R. Brown, ruppero con l'etica non-violenta di M. Luther King, in favore di una tattica basata sul terrorismo. Il loro movimento divenne però esplicitamente un movimento nazionalista rivoluzionario negro, e si separò dal filone principale della contestazione americana.
Nel contempo, la più giovane contestazione americana dette vita, in proprio, a un nuovo tipo di letteratura con autori come A. Hoffman e J. Rubin. Libri e articoli del tipo di Revolution for the hell of it (New York 1968) e Do it! Scenarios for the revolution (New York 1970) presentavano apertamente la contestazione come una rivoluzione generazionale. ‟Io penso che i ragazzi dovrebbero uccidere i loro genitori" scrisse A. Hoffman. ‟La rivolta generazionale è presente in tutto il corso della storia. [...] Noi facciamo leva sulla frattura fra generazioni" (Woodstock nation: a talk-rock album, New York 1969). ‟Il più importante conflitto politico negli Stati Uniti è oggi il conflitto tra generazioni", scrisse J. Rubin. ‟Subiamo tutti l'influenza di un inconscio storico collettivo". A suo giudizio ‟la guerra tra generazioni" superava ‟demarcazioni di classe e di razza"; egli esaltava l'assassinio come un ‟atto positivo", e vide nell'assassino del senatore R. F. Kennedy l'esecutore di un ‟atto positivo". Entrambi questi uomini erano esponenti del cosiddetto movimento Yppie (Youth party international) la cui dottrina specifica, scrisse Hoffman, consisteva ‟nel mescolare erba (marijuana) e politica". Con un altro loro slogan (‟bruceremo Chicago ai politici"), nel 1968 essi contribuirono a organizzare l'azione di disturbo durante la Convenzione Nazionale Democratica. In effetti, una ricerca medica dimostrò che quattro quinti dei numerosi dimostranti erano dediti a droghe, dalla marijuana all'eroina. In seguito i contestatori rivendicarono la responsabilità della sconfitta del candidato democratico liberale alla presidenza, il senatore H. Humphrey, che essi avevano attaccato perché aveva rifiutato di schierarsi contro il presidente L. B. Johnson e contro la guerra nel Vietnam.
In molte università si verificarono tumulti durante gli anni dal 1968 al 1970. La Columbia University rimase chiusa per diversi giorni quando varie centinaia di studenti occuparono alcuni suoi edifici; allorché la polizia intervenne si ebbero numerosi e gravi atti di violenza. Scrisse J. Rubin: ‟Quando programmate una manifestazione, prevedete sempre un ruolo per gli sbirri. La maggior parte della gente non si eccita finché non arrivano gli sbirri. Nulla radicalizza come uno sbirro". E questa era effettivamente la tattica dei contestatori studenteschi, alla Columbia University come a Harvard o alla Cornell. Sebbene la maggioranza degli studenti non approvasse la tattica dell'occupazione degli edifici, l'arrivo della polizia e la violenza che ne derivava suscitavano inevitabilmente un'atmosfera di tensione generazionale, in conseguenza della quale le autorità ritenevano prudente una temporanea chiusura dell'università per il resto del semestre. Il più tragico di questi episodi avvenne nel 1970 alla Kent State University, nell'Ohio, dove quattro studenti furono uccisi in uno scontro con la Guardia Nazionale. Quest'intervento era stato preceduto da atti di violenza e dall'incendio di un edificio; tali incidenti, che avvennero in seguito alla decisione del governo degli Stati Uniti di inviare le sue forze armate in Cambogia, provocarono manifestazioni e la chiusura temporanea di molti colleges e università.
Le motivazioni di tipo generazionale erano comunque presenti anche nelle società dell'Europa occidentale. La London School of Economics restò praticamente chiusa per un anno in seguito a episodi originati dall'opposizione alla nomina di un nuovo direttore. Nel maggio del 1968 la Francia giunse quasi sull'orlo della rivoluzione dopo uno scontro tra studenti e polizia alla Sorbona; gli incidenti iniziali erano stati di secondaria importanza e furono ben presto dimenticati, ma il ‛confronto' si inasprì fino a divenire una sfida verso il regime di De Gaulle, e agli studenti si unirono ben presto i sindacati. Il dirigente studentesco D. Cohn-Bendit formulò un insieme di rivendicazioni per una nuova società di libere comuni, per un mondo senza coercizioni e senza esami. Un'analoga avversione nei confronti della società capitalistica e burocratica si manifestò in Germania, dove gli attivisti studenteschi esercitavano un virtuale controllo sulla Libera Università di Berlino. La confusa ideologia di questo movimento era costituita da un miscuglio di anarchismo di Bakunin e di idealismo giovanile di Marx. Si trattava di un capitolo nuovo nella storia della contestazione. I contestatori erano mossi da emozioni e forze oscure. Essi fecero ogni sforzo per tradurre i loro sentimenti in un programma, ma il fatto stupefacente, che essi stessi finirono col riconoscere, fu che la loro aspirazione emotiva non trovava alcun corrispettivo in un'immagine di struttura sociale che risultasse positivamente accettabile per loro. La contestazione era irrazionale, priva di direzione, con una forte componente di teatralità. I mass media e la televisione costituivano un'onnipresente macchina da ripresa di cui si teneva sempre conto.
Era logico aspettarsi che la moderna schiera di contestatori generazionali conoscesse una profonda depressione una volta superato il primo momento di successo. In America sorsero conflitti di fazione tra le sette della contestazione, cui seguì la violenza personale; si ebbero suicidi tra coloro che, appena poco tempo prima, avevano guidato sollevazioni studentesche. In una comune del New England, il capo dello sciopero studentesco alla London School of Economics, M. Blom, si suicidò dopo essere stato picchiato dai compagni di un tempo. Suicidi e crolli nervosi di questo tipo ebbero luogo con una frequenza sconosciuta ai contestatori americani di un tempo. Ciò era indice dell'intensità dell'aggressività inconscia che era stata alla base di questa ondata di contestazione. Gli attivisti studenteschi si rifugiarono nell'occulto e nel misticismo. Furono fondate centinaia di comuni in cui i giovani contestatori vivevano in una povertà che ricordava quella dei frati mendicanti del Medioevo; ma mentre condannavano il sistema, vivevano della sua carità, e cercavano nella droga, nella vita sessuale in comune e nell'occultismo un nuovo modo di vita. In ogni libreria per giovani lettori gli scaffali dedicati all'occulto superavano di gran lunga quelli dedicati alla scienza; l'astrologia prese il posto dell'astronomia; il mito prese il posto della scienza; i guru presero il posto dei filosofi; la ‛teoria critica' di Marcuse prese il posto della scienza sociale; manuali di sadismo sessuale presero il posto della poesia d'amore; la droga e i ‛viaggi' presero il posto dello studio e del lavoro; la fantasticheria fu proclamata verità; l'irrealtà fu esaltata come realtà; la pulizia fu ripudiata in favore della sporcizia; nel vestiario, le distinzioni tra i sessi furono soppresse a vantaggio degli abiti unisex; e, per la prima volta dai tempi dei cinici di Grecia, l'omosessualità divenne un simbolo sociale di dissenso.
e) La protesta contro la civiltà
Lo storico francese Michelet ebbe una volta a definire il Medioevo come quel periodo di mille anni della storia d'Europa in cui la gente non faceva il bagno. I nuovi contestatori mostrarono una forte inclinazione a regredire verso forme di vita neomedioevali. Gli ideologi della contestazione proclamarono di essere gli araldi di una nuova civiltà, di un ‛rigoglio' di vita quale il mondo non aveva mai conosciuto. Altri, invece, si chiesero se questa ondata di contestazione emotiva non avesse aperto una crepa nella civiltà occidentale, che, approfondendosi, avrebbe portato a un declino della cultura tecnologica moderna, così come un tempo i contestatori cristiani e una combinazione di celibato, omosessualità, infecondità e rifiuto delle responsabilità civili avevano contribuito a minare l'Impero romano finché esso perse il vigore necessario per respingere i barbari. Una frazione estremista degli studenti contestatori, che aveva preso il nome di Weathermen, fece effettivamente della ‛barbarie' una parola d'ordine, e si considerò chiamata a svolgere un ruolo analogo a quello delle tribù barbare come i Vandali e i Visigoti, che avevano invaso e distrutto una Roma corrotta e decadente. I Weathermen rivendicarono la responsabilità di una serie di esplosioni avvenute in edifici legati al mondo della finanza e dell'amministrazione. Numerose esplosioni di questo tipo ebbero luogo in campus universitari, e in un caso, nell'Università del Wisconsin, con effetti letali. Nondimeno, molti osservatori credettero o sperarono che questo indulgere alla violenza fosse una fase transitoria nella storia della contestazione americana, e che non fosse né un segno premonitore del declino della civiltà occidentale né l'annunzio di un tipo di società radicalmente nuovo e imprevedibile.
L'aspetto più inquietante della nuova contestazione fu, in effetti, il sentimento di odio nei confronti dell'intera tradizione della civiltà occidentale che molti intellettuali dimostrarono di nutrire. I grandi contestatori classici, Galileo, Descartes, Spinoza, Locke, Diderot, Condorcet, Mill e invero, in gran parte, Marx, avevano avuto una fiducia incrollabile nelle conquiste della civiltà occidentale. Essi credevano che la nuova dottrina, quella della scienza, avrebbe permesso di porre termine alla miseria e all'arretratezza tribale e religiosa; essi si attendevano che le condizioni degli uomini si sarebbero ovunque elevate man mano che la dottrina della scienza si fosse diffusa dalla sua fonte europea. Attribuivano valore alla contestazione in quanto espressione di una società libera, dedita alla ricerca e al miglioramento di se stessa. I nuovi contestatori erano invece imbevuti di un singolare odio per l'intera opera di civilizzazione. Come scrisse una di loro, la giovane autrice di romanzi S. Sontag: ‟Vista in una prospettiva di storia mondiale, la storia locale che alcuni giovani rifiutano (con il loro amore per le espressioni oscene, la loro mescalina, il loro riso macrobiotico, la loro arte dadaista, ecc.) sembra assai meno piacevole e meno intrinsecamente degna di perpetuazione. La verità è che Mozart, Pascal, l'algebra booleana, Shakespeare, il regime parlamentare, le chiese barocche, Newton [...] non riscattano ciò che questa particolare civiltà ha fatto accadere nel mondo. La razza bianca è il cancro della storia umana, è la razza bianca ed essa sola - la sua ideologia e le sue invenzioni - che sradica le civiltà autoctone [...], che sconvolge l'equilibrio ecologico del pianeta, che ora minaccia addirittura l'esistenza stessa della vita..." (S. Sontag, in ‟Partisan review", inverno 1967, pp. 57-58).
Il contestatore giunse in tal modo a propugnare il primitivismo e una sorta di neotribalismo. Il suo odio verso la civiltà, verso le scienze e la tecnologia, verso le città, lo portò a identificarsi con il Terzo Mondo, con le popolazioni contadine dell'Asia, dell'Africa e dell'America del Sud, contro le nazioni sviluppate dell'Europa occidentale e dell'America del Nord. Il contestatore ammirava la figura del guerrigliero, per es. di Che Guevara, perché la solidarietà più profonda si realizzava, a suo modo di vedere, proprio nelle durezze della vita dell'accampamento guerrigliero: lì la biologia diveniva la base dell'ideologia, e le pastoie dell'esistenza borghese cadevano, cosicché (come disse R. Debray) si era finalmente liberi dall'incubatrice borghese in cui si era rimasti rinchiusi fin dall'infanzia.
La voga della contestazione emotiva sembrò affievolirsi verso la fine degli anni sessanta. All'inizio degli anni settanta gli studenti universitari in tutto il mondo tornarono alle loro attività consuete. La contestazione ‛compulsiva' è forse un fenomeno periodico, le cui ondate traggono origine dagli alti e bassi delle emozioni umane. Se così fosse gli anni settanta potrebbero significare un ritorno allo spirito della contestazione razionale; le concezioni più scettiche di uomini come Erasmo, Montaigne e Mill potrebbero allora sostituire o moderare il fanatismo del contestatore ‛compulsivo'; allora i contestatori potrebbero divenire, una volta di più, un'avanguardia alla ricerca del miglioramento piuttosto che i banditori e i profeti della violenza e della distruzione.
Con la fine della guerra nel Vietnam la contestazione assunse più frequentemente l'aspetto di ‛movimenti di liberazione'. La terminologia era mutuata dalla locuzione marxista ‛movimenti di liberazione nazionale', ma adesso era adattata a movimenti che si proponevano di rivoluzionare ‛lo stile di vita'. Il Movimento di Liberazione della Donna, il Movimento Omosessuale di Liberazione (Gay Liberation Movement), i numerosi movimenti che raggruppavano i laureati nelle diverse discipline, come per esempio il Movimento di Liberazione della Sociologia, si interessavano tutti dello stile di vita. Anche John Stuart Mill, liberale classico, aveva considerato positivamente la sperimentazione di nuovi modelli di vita e la stessa eccentricità come un modo di realizzare l'individualità. I nuovi contestatori, però, v'introducevano un carattere totalitario; la loro insistenza sulla ‛comunità organica', il loro neotribalismo, la loro ostilità verso la libertà accademica, la loro prontezza nell'interrompere le lezioni dei professori con cui erano in disaccordo, il loro odio per la democrazia liberale e per le decisioni che scaturivano dal voto, indicavano che il contestatore ‛compulsivo' portava dentro di sé il germe di un neototalitarismo.
f) Teorie relative alle cause della nuova contestazione
Sono state avanzate molte teorie per spiegare il proliferare della contestazione negli anni sessanta. La teoria di Marcuse e Goodman sosteneva che la repressione, nella moderna civiltà industriale, è più dura di quanto non sia mai stata; questa teoria era affine a quella di Freud, secondo la quale ogni progresso della civiltà comporta un'ulteriore rinuncia alla soddisfazione dei propri istinti. Teorie di questo tipo non potevano però rispondere a una obiezione fondamentale: che cioè, da qualsiasi punto di vista la si consideri, la civiltà contemporanea ha condotto la popolazione a un grado di autorealizzazione assai più elevato rispetto a tutte le società del passato. Libertà dalla carestia, comodità negli alloggi, libertà di scelta del coniuge, portentose possibilità culturali per la vita spirituale, agiatezza, - tutto ciò è frutto della civiltà; chiamarle, come ha fatto Marcuse, ‟largizione del benessere", sembra lo stratagemma disperato di un neomarxista pronto a violare il rasoio di Occam, il principio della semplicità del metodo scientifico, e a moltiplicare le ipotesi ausiliarie per riuscire a salvare la propria. Un'altra teoria indicò nella guerra del Vietnam la causa principale della nuova contestazione; e tuttavia la guerra di Corea, dieci anni prima, aveva suscitato problemi analoghi, ma senza dar vita a nulla di paragonabile alla contestazione suscitata dalla guerra nel Vietnam. Un'altra teoria ancora riteneva che la contestazione nascesse dall'alto grado di opulenza raggiunto dalla nostra società e dalla sua morale ‛permissiva'. In una società di questo tipo, infatti, gli istinti e le tendenze aggressive dell'uomo vengono frustrate; non esistono ostacoli né grandi impedimenti, non ci sono territori selvaggi da conquistare; ciò che rimane, come per esempio la conquista dello spazio, è un obiettivo concesso soltanto a pochi. In particolare, si dice che i giovani sono ‛alienati' perché il loro potenziale di energia aggressiva non riesce a trovare alcun obiettivo. Di conseguenza, queste energie si rivolgono contro i valori della società oppure si ripiegano in se stesse; di qui nascono l'odio verso la civiltà, caratteristico della contestazione moderna, e gli aspetti autodistruttivi della ‛cultura della droga'. Un'altra teoria sottolinea il formarsi di una vasta classe d'intellettuali e semi-intellettuali, prodotto di un'eccezionale espansione delle istituzioni scolastiche; ma questa classe intellettuale è una ‛intellighenzia' di stampo umanistico o sociologico e in quanto tale si sente obsoleta in una civiltà scientifica e industriale, poiché è essenzialmente una classe di dilettanti non qualificati, che tuttavia, come tutti gli intellettuali dai tempi di Platone in poi, possiedono una volontà di potenza, e pretendono di governare in qualità di re-filosofi. Dietro la nuova contestazione, si dice, ci sono le motivazioni di una nuova classe che cerca ogni appiglio che possa contribuire a portarla al potere politico. La teoria generazionale della contestazione, d'altro canto, ha sottolineato come il conflitto di generazioni, pur essendo un fatto perenne, si sviluppi, entro una società ‛permissiva' e affluente, in una protesta che assume un carattere nichilista e primitivo, e come gli intellettuali contestatori abbiano trovato la loro base principale nei movimenti studenteschi dei colleges e delle università. La tattica di questi movimenti, spesso piena di impulsi autodistruttivi e mirante a épater le bourgeois, rivela di nuovo come la rivolta generazionale ne sia la latente forza motrice; dietro il bourgeois lo studente proveniente dalla classe media vede generalmente suo padre. Nessuna teoria della contestazione ha incontrato un'unanime accettazione; la contestazione, forza insieme di progresso e di regresso, è ancora oscura quanto la stessa natura dell'uomo.
g) La crisi della contestazione
È chiaro che attualmente l'idea di contestazione è nel suo complesso in crisi nel mondo occidentale. La sua filosofia, i suoi fini, il suo campo di validità, i suoi metodi vanno tutti riesaminati. Perché è un fatto che le linee di demarcazione tra contestazione, resistenza civile, frattura violenta e guerra di guerriglia si sono confuse. Può forse sembrare che l'odierno contestatore, quando rivendica il diritto di ‛farsi i fatti propri', esprima in forma colloquiale il liberalismo di Mill. Però quei ‛fatti propri' significano l'imposizione della propria volontà alla maggioranza tramite la forza dirompente della minoranza. La concezione liberale della contestazione in Mill era un ita a una difesa della democrazia rappresentativa. Il neocontestatore, col suo atteggiamento da ‛nuova sinistra', respinge la democrazia rappresentativa e propone una ‛democrazia fondata sulla partecipazione' in base alla quale un'attiva minoranza di contestatori può intervenire per negare le decisioni scaturite dal voto degli elettori, e per imporre la propria ‛legge superiore'. I neocontestatori oscillano, per ciò che concerne il loro atteggiamento verso i principî etici fondamentali, tra nichilismo e rivendicazione di una moralità più elevata. Essi hanno giustificato lo ‛scippo', la pratica del furto come un mezzo per capovolgere il ‛sistema'. Essi hanno perpetrato il furto con scasso, introducendosi negli uffici del Federal Bureau of Investigation (FBI) per trafugarne gli incartamenti. Lo stesso spirito ha mosso sacerdoti cattolici e protestanti, scienziati di Harvard, monache e praticanti della promiscuità. Un sacerdote cattolico, Padre D. Berrigan, discusse con i suoi seguaci la possibilità di metter bombe in edifici pubblici e di rapire H. Kissinger, collaboratore del Presidente. Uno studioso di Harvard, D. Ellsberg, che svolgeva funzioni di consulente del governo, riprodusse in numerosi esemplari dei documenti segreti relativi alla guerra nel Vietnam, e ne consegnò una copia al ‟New York Times". Quel giornale, animato dallo spirito della contestazione, la pubblicò, sebbene numerosi magistrati della Corte Suprema degli Stati Uniti ritenessero che, così facendo, esso violasse le norme etiche del giornalismo. Si è verificata una convergenza tra contestazione e amoralità. Si è visto declinare il livello accademico delle università nella misura in cui i contestatori sostenevano la possibilità di comprare tesine d'esame da parte degli studenti. Nell'esercito degli Stati Uniti il morale e la disciplina dei soldati si abbassarono in seguito alla diffusione di propaganda ‛contestatrice' nelle basi militari. L'appello a una ‛legge superiore' era una dottrina che poteva diffondersi dalla sinistra alla destra. In Italia, nel 1919-1920, l'occupazione illegale delle fabbriche da parte dei lavoratori e la propaganda marxista per una ‛dittatura del proletariato' avevano spianato la strada a Benito Mussolini e ai metodi illegali dei fascisti. Quando infatti la contestazione si sente libera di violare le regole proprie di una società democratico-liberale, il timore può spingere la cittadinanza nel suo complesso a reagire e ad accettare una autorità dittatoriale. Questa fu una delle tragiche verità dell'esperienza fascista italiana. Negli Stati Uniti, nel 1970, l'amministrazione fu intimorita dall'uso di ordigni esplosivi, da dimostrazioni violente e da minacce di morte. Alti funzionari dello Stato, facendo propria la dottrina della ‛legge superiore', programmarono o permisero violazioni di domicilio e controlli illegali diretti contro i loro avversari politici. L'America dovette far fronte a un disgregarsi della coscienza civile cui aveva contribuito uno sfrenato spirito di contestazione. Sorge il dubbio di un certo fariseismo del contestatore. Si pone, tormentoso, questo interrogativo: quanta parte di un Tartuffe si cela dietro chi propone una ‛legge superiore'?
h) Le conseguenze della nuova contestazione
L'ondata di contestazione iniziata nel 1960 ha lasciato tracce profonde. I contestatori esercitarono un'influenza decisiva nell'indebolire l'appoggio dell'opinione pubblica all'impegno americano nella guerra del Vietnam; in quel periodo le loro visite amichevoli nel Vietnam del Nord, le loro dimostrazioni, i roghi di cartoline-precetto, e una propaganda incessante contribuirono a indebolire la volontà di continuare la guerra, sia nell'apparato statale che nell'esercito.
La contestazione ottenne successi particolari nel campo delle relazioni individuali. La Corte Suprema degli Stati Uniti, in una sua sentenza del 22 gennaio 1973, stabilì che la donna gode di un diritto illimitato all'aborto durante i primi tre mesi di gestazione. Questa sentenza fece seguito ad anni e anni di propaganda condotta dai contestatori e, specialmente nell'ultima fase, dal Movimento di Liberazione della Donna. La diffusa libertà nel campo della morale sessuale, il modificarsi, nei film, nella televisione e nel teatro, dei modi di trattare le questioni sessuali, affrontate ormai con una franchezza naturalistica che non si era mai vista, furono fattori determinanti nella trasformazione del clima sociale. La Chiesa Cattolica Romana non riuscì a impedire tali mutamenti sociali, in quanto la sua stessa disciplina era stata parzialmente corrosa: molti giovani sacerdoti approvarono sistemi artificiali di controllo delle nascite, richiesero per preti e monache il diritto di sposarsi e sostennero l'opportunità di organizzarsi in sindacati.
Le linee direttive della contestazione furono quasi sul punto di divenire la nuova ortodossia. Per di più, regnava una profonda incertezza circa le conseguenze che, a lungo termine, avrebbero comportato i nuovi rilassati modelli morali. Secondo le teorie psicoanalitiche di S. Freud la costruzione della civiltà si fonda sulla parziale rinuncia alla soddisfazione degli istinti; tanto le energie sessuali quanto quelle aggressive, sublimandosi, vengono incanalate costruttivamente in quest'opera. Da questo punto di vista la contestazione assolve la funzione di protestare contro le forti tensioni di una moralità civile, limitandone allo stesso tempo la riforma ad aspetti marginali. La contestazione contemporanea, però, ha attaccato alla base ciò che veniva considerato come moralità civile. L'etica del lavoro e del successo, sulla quale è stata fondata la nostra civiltà, ne sarà di conseguenza minata alle fondamenta? Si sa poco da un punto di vista scientifico circa i fini e le conseguenze della contestazione; problemi, questi, assolutamente cruciali. Infatti, tanto i sostenitori quanto i critici della contestazione sono stati inclini a discuterne i fini ultimi nei termini di una filosofia dei ‛diritti', o con la vaga terminologia dell'‛alienazione'.
Anche a proposito della tecnologia industriale si è sviluppato un importante filone di contestazione. I contestatori hanno chiesto di porre un freno alle attività industriali che inquinano l'atmosfera; essi hanno posto sotto accusa le petroliere, le installazioni per la produzione di energia atomica e gli insetticidi che inquinano mari e terre. Si è avuta un'importante attività legislativa tesa a salvaguardare l'ambiente della comunità. E tuttavia i contestatori ecologici sembrano spesso nutrire un'ostilità emotiva verso la tecnologia; la loro ideologia ha una tendenza primitivista, e a volte essi sembrano meno interessati a riforme specifiche che a giungere a un sistema sociale in cui l'élite dirigente sia composta di intellettuali-ecologi. I contestatori non hanno ancora dato vita a un movimento per la rinuncia volontaria alle automobili, ai condizionatori d'aria e ai frigoriferi. La prossima ondata di contestazione sarà forse un reflusso di neopuritanesimo. Intanto, secoli e secoli di contestazione hanno scritto le pagine più aspre e, ultimamente, le più tormentate della storia umana.
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