DISSESTO IDROGEOLOGICO
In geologia il concetto di d. i. venne introdotto da A. Hofmann (1936) riferendosi allo stato di disordine proprio dei pendii a precaria stabilità, perché colpiti dall'azione combinata di movimenti franosi e dell'azione erosiva delle acque di dilavamento. Più precisa è la definizione di V. Cotecchia (1968), per il quale d. i. è ogni situazione di disordine e squilibrio del suolo e del sottosuolo dovuta all'azione dell'acqua. Ne sono fattori predisponenti: le caratteristiche geologiche, geotecniche, morfologiche e climatiche dell'area dissestata, e l'acqua d'imbibizione e di percolamento presente nel suolo e nel sottosuolo; cause determinanti sono: il regime e l'intensità delle precipitazioni, e le modalità di deflusso delle acque superficiali e di drenaggio di quelle d'infiltrazione.
Lo studio di una situazione di d. in atto o potenziale richiede, oltre al riconoscimento dei fattori predisponenti e della dinamica dei processi determinanti, l'analisi delle forme risultanti dal loro impatto sul territorio e l'indicazione dei possibili interventi atti a favorire il riequilibrio dell'area dissestata.
Astraendo dai vincoli di ordine economico, il problema del recupero di aree in stato di disordine idrogeologico parrebbe quasi sempre potenzialmente risolubile, per cui sconcerta il constatare, nella prassi, la diffusa non corrispondenza tra previsioni e realtà degli eventi, e l'inadeguatezza di molti interventi bonificatori, pur progettati dopo un'attenta valutazione della situazione locale. In molti di questi casi, un'accurata verifica di tutte le premesse porta a concludere che, alla base delle discordanze rilevate, c'è una carenza di ordine metodologico: l'aver letto e interpretato i processi naturali e le forme risultanti riferendosi ai concetti di ordine e disordine, equilibrio e squilibrio, così come sono da noi intesi. In natura, infatti, non esistono stati di squilibrio o disordine, ma stati successivi di assetto instabile, coincidenti con temporanee condizioni di stato stazionario, ognuno più prossimo del precedente alla condizione di equilibrio definitivo tra fattori, processi, energia in gioco, geometria delle forme risultanti.
Constatazione generale è che, ammesso che una condizione di equilibrio si realizzi, ogni eventuale variazione di uno dei fattori che la controllano porta gli altri ad adeguarsi nella direzione che tende ad assorbirne gli effetti. Ne deriva che un intervento di stabilizzazione realizzato in un settore di un bacino idrografico, se non è in sintonia con la dinamica evolutiva di tutto l'insieme, può risultare a medio e lungo termine causa di squilibri altrove, per cui spesso il metodo della difesa passiva (non acquisizione di aree dissestate o potenzialmente dissestabili) può apparire preferibile a quello dell'intervento attivo. Caso emblematico è l'indubbia relazione esistente tra la riduzione del trasporto solido dei corsi d'acqua alpini e appenninici, come riflesso degli interventi di bonifica montana effettuati in questi ultimi decenni, e l'arretramento delle spiagge in molti tratti delle coste venete, romagnole e marchigiane, dove l'azione erosiva del mare non è più bilanciata dagli apporti delle torbide fluviali. Da un lato si è avviato a soluzione il grave problema del d. i. della montagna, dall'altro si è aperto quello della salvaguardia delle coste.
I processi di demolizione. − I fattori naturali predisponenti situazioni di d. i. possono essere di ordine climatico e di ordine geologico (composizione chimica e mineralogica del substrato roccioso, suo grado di coesione, suoi rapporti di giacitura col versante). L'azione combinata dell'acqua e della temperatura sulle rocce ne favorisce il disfacimento attraverso i processi di alterazione chimica e di disgregazione fisica, il cui esito finale è una coltre di vario spessore (da qualche cm a decine di metri) di prodotti eluvio-colluviali a coesione bassa o nulla, facile esca per i movimenti gravitativi e le varie forme del dilavamento superficiale.
I processi di alterazione chimica a maggior rilevanza geomorfologica sono la dissoluzione dei carbonati (processo carsico) e l'idrolisi dei minerali silicatici. Quest'ultimo, in particolare, è tanto più attivo quanto più il clima è caldo e umido, e comporta il formarsi di nuovi aggregati mineralogici la cui coesione è sempre inferiore a quella della roccia originaria. I processi di disgregazione fisica portano invece alla frammentazione della roccia, e sono prevalentemente in relazione col succedersi dei cicli gelo-disgelo, l'alternarsi di imbibizioni ed essiccamenti nelle rocce porose, elevate escursioni termiche giornaliere (aree desertiche continentali, alta montagna). L'uomo può favorire questi processi (uso eccessivo di concimi chimici in agricoltura, immissione nel sottosuolo di acque aggressive, dissodamenti profondi), ma non contrastarli, perché dipendenti da fattori (clima e litologia) sui quali non è possibile un efficace controllo esterno.
I movimenti gravitativi sono invece processi determinanti il disordine idrogeologico. In un pendio la presenza di un movimento franoso è indicativa della rottura dell'equilibrio prima esistente tra momento agente: forza di gravità, e momento resistente: forza di coesione e di attrito interno (fig. 1): sarà quindi motivo di destabilizzazione di un pendio ogni evento (naturale o artificiale) che favorisce la diminuzione della coesione e dell'attrito interno, o esalta l'azione della gravità.
Tali sono: l'aumento del peso specifico del terreno per assorbimento d'acqua o sovraccarico dovuto alla costruzione di manufatti pesanti; l'accentuazione della pendenza del versante per erosione dal piede e per tagli artificiali (strade, cave); la riduzione della coesione del substrato a opera dell'acqua assorbita, che può intaccare il cemento che lega tra loro i costituenti le rocce clastiche (arenarie, conglomerati), ammollire i terreni argillosi, allargare le fessure esistenti (dissoluzione delle rocce carbonatiche); la diminuzione dell'attrito tra materiali di copertura e substrato in posto e tra formazioni sedimentarie di diversa permeabilità, per il formarsi di veli lubrificanti; la pressione interstiziale in terreni e rocce porose sature d'acqua. La maggior parte dei processi gravitativi possono essere previsti, molti controllati, ma pochi impediti. Anche dove gli interventi stabilizzatori paiono validi, esistono quasi sempre precisi limiti temporali alla loro efficacia.
Processi gravitativi in cui l'acqua è, a un tempo, fattore predisponente e causa determinante, sono quei lenti colamenti superficiali, noti come soliflusso e reptazione (creeping), che non modificano in modo appariscente la topografia dei pendii coinvolti, limitandosi a movimentarli con una tipica successione di ondulazioni (fig. 2). La reptazione si distingue dal soliflusso perché il movimento, invece che coinvolgere ampie porzioni della coltre eluvio-colluviale nel loro insieme, avviene granulo per granulo, tanto che la massa in moto può aggirare, senza danneggiarli, ostacoli ben ancorati. Questi processi si possono contrastare favorendo il deflusso delle acque superficiali e il drenaggio di quelle assorbite; anche il rimboschimento con piante ad apparato radicale robusto e profondo può mostrarsi valido fattore di stabilizzazione del pendio, quando la coltre instabile non ha uno spessore eccessivo.
Quasi sempre correlati a un'accentuata imbibizione d'acqua da parte di terreni a prevalente matrice argillosa, sono i colamenti rapidi (lame e colate di fango) e le smotte (fig. 3). Caratterizzati da un elevato grado d'imprevedibilità, questi episodi non mostrano quasi mai dimensioni vistose, ma poiché tendono a essere repentini e accompagnati dal rapido fluire del materiale franato, possono provocare danni notevoli. Talora vengono colpite da smottamenti le ''onde'' di reptazione e soliflusso: in questi casi sarà vano ogni intervento stabilizzatore, se prima non si sarà provveduto alla sistemazione del pendio nel suo complesso.
Dilavamento o erosione pluviale. − Viene così definita l'erosione delle acque che scorrono al di fuori di alvei e solchi ben definiti (ruscellamento). Nel ruscellamento (runoff) diffuso, l'acqua di pioggia dilava il suolo per l'azione di un insieme di filetti liquidi che si fondono, s'intrecciano, si ricreano.
Ne deriva un processo di erosione laminare (sheet erosion) che intacca la parte superficiale del suolo mobilizzando una gran quantità di materiale minuto, che va ad alimentare il carico solido fluviale o ispessisce le coltri colluviali. La capacità erosiva della lama d'acqua è bassa, per cui può bastare una buona cotica erbosa continua per contrastarla. Il processo viene esaltato nei terreni dissodati o privi di copertura vegetale, dove il distacco dei granuli è favorito dall'azione battente della pioggia (splash). L'erosione per rivoli (rill erosion) è legata al ruscellamento concentrato, che si sviluppa dove il suolo ostacola in modo disomogeneo l'erosione laminare, favorendo il formarsi di incisioni embrionali che, attirando altra acqua, finiscono col dare vita a un reticolo idrografico in miniatura. Anche l'erosione per rivoli colpisce soprattutto i pendii dissodati o con vegetazione rada o discontinua; essa va tenuta sotto controllo, perché può evolversi verso la ben più catastrofica erosione per solchi (gully erosion) che attacca in profondità, e in modo difficilmente reversibile, i pendii modellati in rocce poco coerenti o argillose. Morfologie risultanti, emblematiche di uno stato di d. i., sono quelle a calanchi, tipiche dell'Appennino, o a bad lands, diffuse nel Dakota (USA). Il nesso tra processi di ruscellamento e uso del suolo è sempre evidente. Scelte agricole azzardate (abbattimento del bosco per far legna o per far posto al pascolo e al seminativo) possono attivare meccanismi erosivi che inducono nel versante uno stato di d. tale da renderne impossibile o problematico il recupero.
Processi complessi, che merita di sottolineare per la loro diffusione in coincidenza con nubifragi insistenti, sono quelle forme di decorticamento che colpiscono le coltri eluviali e colluviali, quando a un processo di rapido colamento, spesso innescato dalla pressione dell'acqua interstiziale che rompe la cotica erbosa, viene a sovrapporsi l'azione dilavante del ruscellamento e della pioggia battente. Questi d. possono sconvolgere interi versanti, contribuendo ad alimentare in modo notevolissimo il carico solido dei corsi d'acqua in piena favorendo, in caso di esondazione, il fenomeno dell'alluvionamento.
Azione erosiva delle acque incanalate. − Il problema del deflusso delle acque incanalate (erosione fluviale, piene, alluvionamenti) va ricondotto a quello della tendenza evolutiva dei reticoli idrografici, indirizzata alla realizzazione di tracciati e alvei con una geometria tale per cui la corrente fluviale si limiti alla sola azione di trasporto, indicativa di raggiunto equilibrio tra materiale staccato dal letto e materiale in esso deposto. Una delle conseguenze di questa tendenza è che, dove la pendenza del profilo di fondo supera quella di compensazione (condizione di quasi equilibrio), il fiume tende a erodere, mentre dove il profilo ha una pendenza inferiore il corso d'acqua tende a sedimentare.
Le condizioni di equilibrio predette dipendono dalla capacità erosiva e di trasporto della corrente, a sua volta funzione della portata e della velocità di deflusso; ne può conseguire pertanto che in un settore si può osservare una certa tendenza in regime di portate normali (per es. deposito), e una tendenza opposta (erosione) in regime di portata piena (o viceversa). Le tendenze naturali sono difficilmente modificabili con interventi esterni che non coinvolgano il bacino idrografico nel suo insieme. Un'analisi attenta e obiettiva di un evento fluviale calamitoso porta il più delle volte a concludere che esso è la risposta del corso d'acqua ai vincoli imposti dall'uomo alla naturale evoluzione della sua geometria fluviale. Per es., in un cono di deiezione attivo, che si forma dove i torrenti di montagna sfociano su un fondovalle alluvionato o sul piano per la brusca riduzione di pendenza loro imposta, l'instabilità del tracciato e della forma dell'alveo è una costante naturale, che diventa situazione di d. solo se valutata in funzione di un'acquisizione dell'area per l'insediamento umano. Lo stesso può dirsi per quelle parti di un fondovalle sovralluvionato, che appartengono al letto maggiore (alveo di massima piena) del fiume o torrente che le attraversa. Quando l'uomo decide di acquisirle per le sue attività, egli cercherà di difenderle dal rischio di periodiche inondazioni con adeguate arginature, che però tenderanno a favorire il formarsi di un alveo pensile, accrescendo il rischio di esondazioni disastrose e di alluvionamenti per deposito dell'abbondante carico solido presente in ogni evento di piena. Anche in questi casi, più che di situazioni di squilibrio naturale, è opportuno parlare di disordine idrogeologico indotto dall'uomo.
Nei confronti della realtà dei processi fluviali causa di d. del territorio, ogni approccio, per essere corretto, non potrà prescindere da un attento studio della tendenza evolutiva dei diversi elementi del reticolo idrografico, così da rispettare le situazioni naturali in rapida evoluzione e operare con la massima prudenza dove lo stato di fatto esistente obbliga a intervenire. Si tratta di indagini capillari, che non sempre trovano una risposta adeguata per l'oggettiva difficoltà che s'incontra nella rilevazione di tutti i dati necessari. Per es., la valutazione dei coefficienti di deflusso (rapporto tra afflussi piovosi e deflussi superficiali in un bacino) e dei tempi di corrivazione (tempo impiegato dalle acque di pioggia cadute in un luogo a raggiungerne un altro), fondamentale per la previsione delle piene, richiede un insieme di dati che le apparecchiature di rilevazione non sempre riescono a fornire integralmente.
Bibl.: A. Hofmann, La sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, Torino 1936; B. Franceschetti, La degradazione accelerata nei bacini montani del fiume Astico e dei torrenti Lavarda e Longhella (prov. di Vicenza), Padova 1962; AA.VV., Le scienze della natura di fronte agli eventi idrogeologici, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1968; V. Cotecchia, Le alluvioni e la difesa del suolo, Milano 1968; S. Belloni, Il clima della Valtellina in relazione alla difesa del suolo, ivi 1969; B. Franceschetti, C. Merlo, Analisi del paesaggio fisico dell'Astigiano meridionale con particolare riguardo ai suoi riflessi sull'attuale paesaggio agrario, Torino 1972; G. Botta, Difesa del suolo e volontà politica. Inondazioni fluviali e frane in Italia: 1946-1976, Milano 1977; G. C. Parea, Dinamica delle spiagge in rapporto agli apporti solidi fluviali, in La programmazione della difesa attiva del suolo, tutela risorse: piani di bacino idrografico, Modena 1980; P. Migliorini, Calamità naturali, Roma 1981; R. Neboit, L'homme et l'érosion, Clermont Ferrand 1983; N. Benedini, G. Gisotti, Il dissesto idrogeologico, Roma 1985; M. Panizza, Geomorfologia applicata, ivi 1988.