DISSOCIAZIONE
. chimica fisica. - S'indica col nome dissociazione la scissione di molecole in parti più semplici. Dissociazione termica nei gas. - Nel 1857, quasi contemporaneamente, Cannizzaro, Kopp, Kekulé e Sainte-Claire Deville stabiliavano, in base a misure di densità di vapore, che con l'elevarsi della temperatura molte sostanze gassose si dissociano. Tra gli esempî più comuni di dissociazione si ha il caso della molecola biatomica di iodio che verso i 450° comincia a dissociarsi in atomi (J2 = J + J); il pentacloruro di fosforo che si dissocia in tricloruro e cloro (PCl5 = PCl3 + Cl2); l'ammoniaca che si dissocia in azoto e idrogeno (NH3 = 1/2 N2 + 3/2 H2). Un prticesso qualunque di dissociazione può rappresentarsi mediante un'equazione del tipo: A = n1 A1 + n2 A2 + ..., la quale esprime che 1 gr.-molecola della sostanza A si dissocia dando origine a m gr.-molecole della sostanza A1, n2, gr.-molecole di A2 ecc. Si chiama grado di dissociazione il rapporto tra il numero di molecole dissociate e il numero delle molecole esistenti prima della dissociazione. Per es., nella dissociazione del tetrossido di azoto in ipoazotide (N2O4 = 2NO2), alla pressione di mm. 261,37 di Hg., e alla temperatura di 49°, 7 C., il grado di dissociazione è 0,630; ciò significa che su 1000 molecole di N2O4 che si avevano prima della dissociazione, 630 si sono dissociate in 2NO2, mentre le rimanenti 370 molecole sono ancora indissociate. Il numero totale delle molecole è perciò uguale a 2 × 630 + 370 = 1630. Nel caso generale, in cui A = n1A1 + n2A2 + ..., in corrispondenza al valore a del grado di dissociazione e ad una gr.- molecola di A esistente prima della dissociazione, si hanno 1-αgr.- molecole di A ancora indissociate, n1α gr.-molecole di A1, n2α gr.-molecole di A, ecc. Denotando con n la somma n1 + n2 + ... si hanno quindi in tutto 1 − α + nα; cioè 1 + (n − 1) a gr.-molecole. Per es., nel caso della dissociazione dell'ammoniaca (NH3 = 1/2 N2 + 3/2H2) si ha n1 = 1/2, n2 = 3/2 = 2 e quindi per ogni molecola di ammoniaca esistente prima della dissociazione si hanno complessivamente 1 + a molecole delle varie sostanze (NH3, N2 e H2). La densità di vapore Δ del miscuglio gass0so risulta evidentemente minore di quella δ che si aveva prima della dissociazione, anzi le due densità stanno nel rapporto inverso dei corrispondenti numeri di molecole; si ha cioè δ/Δ = 1 + (n − 1) α, che permette di ricavare α dalla misura di δ e Δ α = (δ − Δ)/Δ (n − 1).
Le reazioni di dissociazione sono particolari reazioni di equilibro cosicché un miscuglio delle sostanze A, A1, A2, ecc., prese in proporzioni arbitrarie a temperatura costante T si va trasformando in modo che le concentrazioni molecolari [A], [A1,] [A2] (numero di gr.-molecole di A, A1, A2, .., contenute in un cmc.) soddisfino alla condizione [A1]α1 [A2]α2.... /[A] = K, essendo K una quantità dipendente soltanto dalla temperatura chiamata anche costante di diseociazione. Osservando che le pressioni parziali pi dei varî gas sono proporzionali alle rispettive concentrazionî [Ai], si può anche scrivere p1α1 p2α2... ./p = K. Un'altra forma interessante della relazione di equilibrio si ottiene facendo intervenire il grado di dissociazione α; indicando con v il volume occupato da una gr.-molecola del gas che si dissocia si ha
Questa relazione mostra che il grado di dissocíazione deve crescere col crescere del volume; inoltre mentre l'aggiunta di un gas indifferente (che non reagisce cioè con i gas del miscuglio) fatta a volume costante non muta il grado di dissociazione, questo cresce se l'aggiunta si fa con aumento di volume. Aggiungendo a volume coltante uno dei prodotti della digsociazione, α diminuisce sempre; se però quest'amiunta si fa con aufflento di volume (per es., a pressione costante) si ha contemporaneamente una diluizione e questo fatto tenderebbe ad aumentare la dissociazione, cosicché a seco1ida dei casi rI può diminuire o anche crescere.
Al variare della temperatura (assoluta) T, varia K e quindi anche α, precisamente: se U denota la tonalità termica relativa al nostro processo di dissociazione ed R denota la costante universale dei gas perfetti, la cosiddetta isocora del Van 't Hoff dà:
Se - come ordinariamente avviene - la dissociazione è accompagnata da un assorbimento di calore (U > o), la quantità K (e per conseguenza il grado di dissociazione α) cresce con la temperatura.
Dissociazione termica dei solidi. - Alcuni solidi nel passare allo stato aeriforme si decompongono (per es., il carbonato di calcio si decompone in ossido di calcio e anidride carbonica). La trattazione teorica si può fare in maniera analoga a quella della dissociazione gassosa, col particolare che nella relazione di equilibrio basta tener conto soltanto delle concentrazioni delle sostanze gassose.
Dissociazione elettrolitica. - Le molecole di molte sostanze (elettroliti) si decompongono, in soluzione, in parti cariche di elettricità, che prendono il nome di ioni e che si distinguono in cationi (carichi positivamente) e in anioni carichi negativamente. Ogni ione possiede o una sola carica elementare (4,77.10-10 unità assolute elettrostatiche) e allora si dice monovalente, ovvero una carica doppia, tripla, .... e in corrispondenza si dice bivalente, trivalente, .... Ai varî ioni sono associate un certo numero di molecole del solvente, numero variabile, con la loro natura, da qualche unità a qualche centinaio. Gli ioni si denotano con i simboli (o formule) chimici corrispondenti sormontati da tanti puntini (o da tanti segni +) quante sono le cariche elementari positive che lo ione porta, ovvero da tanti apici (o segni −) quante sono le cariche elementari negative. A seconda, poi, del numero di ioni cui una molecola può dare origine, si parla di elettroliti binari, ternarî, ecc. Per es., HNO3 è un elettrolita binario perché si decompone nei due ioni: H3 (catione) e NO3′ (anione); H2SO4 è un elettrolita ternario perché si può decomporre secondo l'equazione H2SO4 = H• + H• + SO4″. È da notare che mentre negli elettroliti binarî è perfettamente determinato il tipo di dissociazione, nel caso invece di un elettrolita più complesso si possono avere diversi stadî di dissociazione. Così, per es., per l'elettrolita ternario H2SO4 si ha un primo stadio di dissociazione corrispondente all'equazione: H2SO4 = H• + HSO4′ e un secondo stadio corrispondente alla dissociazione completa: H2SO4 = 2H• + SO4″. È da notare che di solito gli stadî più avanzati della dissociazione hanno il predominio soltanto a forti diluizioni. Una stessa sostanza si dissocia in misura più o meno rilevante - a parità di altre condizioni - a seconda della natura del solvente; precisamente la dissociazione è tanto più forte quanto più elevata è la costante dielettrica del solvente. Dato il grande valore che la costante dielettrica ha nell'acqua si spiega il suo forte potere dissociante rispetto agli altri solventi più comuni. Le misure di conducibilità hanno poi mostrato che con l'elevarsi della temperatura la dissociazione elettrolitica ordinariamente decresce. Le prime idee sulla dissociazione risalgono a Grotthus (1805) che però la riteneva provocata dal passaggio della corrente; Clausius (1857) ammetteva già un processo dinamico di dissociazione e riassociazione preesistente a questo passaggio. Le ricerche di Raoult (1884) preludono alla teoria organica sviluppata da Arrhenius (1887).
Teoria di Arrhenius. - Era noto che le particelle del soluto presenti in soluzione dànno origine a una pressione osmotica che trova esatto riscontro nella pressione esercitata dalle molecole di un gas. Addirittura il Van 't Hoff aveva stabilito che una gr.-molecola di soluto sciolta in un volume di soluzione v dà origine a una pressione osmotica eguale alla pressione che eserciterebbe una gr.-molecola di gas racchiusa in un recipiente dello stesso volume v e tenuto alla stessa temperatura. Questa legge è stata trovata valida per molte sostanze organiche (per es., zucchero di canna); altre sostanze però e tra queste particolarmente gli acidi e basi forti e sali relativi dànno valori per la pressione osmotica notevolmente superiori a quelli previsti. Ora, come le densità (e quindi pressioni gassose) anormali riscontrate nei gas si erano spiegate con l'ipotesi della dissociazione, così Arrhenius ha pensato di spiegare queste anomalie della pressione osmotica mediante l'ipotesi della dissociazione elettrolitica. Il grado a di dissociazione elettrolitica si definisce (come per i gas) mediante il rapporto tra il numero di molecole dissociate e il numero delle molecole esistenti prima della dissociazione. Il rapporto tra la pressione osmotica effettiva P e quella P0 che si avrebbe secondo Van 't Hoff (cioè in assenza di dissociazione) è uguale al rapporto tra il numero totale d'individui (del soluto) presenti in soluzione e il numero di molecole prima della dissociazione. Questo rapporto (analogamente al caso della dissociazione gassosa) è uguale ad 1 + (n − 1) α essendo n il numero di ioni originati dalla decomposizione di una singola molecola. Esso si suole denotare con i e prende il nome di coefficiente di Arrhenius. Dalla relazione P/P0 = i e dalla conoscenza delle pressioni osmotiche P, P0 si può ricavare i e quindi a. È opportuno notare però che in pratica le pressioni osmotiche non si misurano direttamente ma ci si riferisce piuttosto ai cosiddetti abbassamenti crioscopici (v. crioscopia) proporzionali a quelle. Precisamente denotando con ϑ l'abbassamento crioscopico effettivo e con ϑ0 quello che si avrebbe in assenza di dissociazione (e che si sa calcolare caso per caso) si ha la relazione ϑ/ϑ0 = 1 + (n -1) a, da cui a = (ϑ − ϑ0)/ϑ0 (n -1). D'altra parte la misura della conducibilità elettrica dà un altro metodo per ricavare il grado di dissociazione. Denotando con Δ e Δ∞, rispettivamente, la conducibilità equivalente e la conducibilità equivalente limite della soluzione, si ha a = Δ/Δ∞ L'accordo tra i valori ottenuti per α col metodo crioscopico e col metodo della conducibilità è in molti casi soddisfacente; non mancano però le discordanze. Ma dove la teoria di Arrhenius è caduta in evidente difetto è stato nell'applicazione che se ne è voluta fare (Ostwald, 1888), agli equilibrî tra ioni e molecole indissociate. Secondo questo autore nel processo di dissociazione di un elettrolita binario, detto v ìl volume occupato da una gr.-molecola di soluto, si ha la reazione di equilibrio: α2/(i − a) v = K, ovvero:
Quest'ultima condizione, nota col nome di legge della diluizione di Ostwald, è soddisfatta abbastanza bene dagli elettroliti deboli (cioè poco dissociati) ma non vale più nel caso degli elettroliti forti (cioè fortemente dissociati).
Nuove teorie sugli elettroliti forti. - Per spiegare il comportamento anormale di questi elettroliti si sono proposte delle teorie elettrostatiche, delle teorie cioè che tengono in giusto conto le azioni mutue derivanti dalle cariche che i singoli ioni posseggono e che nella teoria di Arrhenius vengono completamente trascurate. Si sono avute così le teorie di Sütherland, Bjerum, Hertz, Milner, Gosh e infine quelle di Debye e di Hückel. La teoria di Debye degli elettroliti forti si fonda sull'ipotesi che essi siano praticamente dissociati anche a forti concentrazioni. Le azioni mutue si opporrebbero però in certo modo, all'azione direttrice di una forza elettromotrice applicata, cosicché la conducibilità elettrica è diminuita come se gli ioni fossero in minore proporzione. In modo analogo l'abbassamento crioscopico risulterebbe minore di quello che si potrebbe dedurre dalla concentrazione degli ioni presenti: le azioni elettrostatiche avrebbero qui una funzione analoga a quella che le forze attrattive molecolari hanno nella teoria di Van der Waals. La teoria di Debye permette infine il calcolo delle cosiddette attività degli ioni, cioè di quelle quantità che debbono sostituirsi alle concentrazioni effettive dei varî ioni, affinché la relazione di equilibrio tra ioni e molecole venga soddisfatta. Hückel ha perfezionato la teoria di Debye tenendo conto della variabilità delle proprietà dielettriche del solvente per effetto degli ioni. L'accordo tra i risultati della teoria di Debye-Hückel e l'esperienza si è mostrato in generale molto soddisfacente; recentemente però il Nernst in base a misure di calori di diluizione è pervenuto alla conclusione che, anche negli elettroliti forti, la frazione di molecole non dissociate, sebbene piccola, non sia del tutto trascurabile, a diluizioni moderate. Altre esperienze eseguite utilizzando l'effetto Raman sembrano condurre allo stesso risultato. Concludendo, la concezione che oggi pare più vicina alla realtà è che, anche per gli elettroliti forti, e insieme alle azioni elettrostatiche della teoria di Debye-Hückel, si debba tener giusto conto del fatto che la dissociazione degli elettroliti è sempre incompleta.
Dissociazione del solvente. - Anche un liquido può essere parzialmente dissociato in ioni. L'acqua che è il solvente più comune è essa stessa debolmente dissociata. Più precisamente a 25° C. in 10 milioni di litri di acqua c'è soltanto una gr.-molecola dissociata in ioni H• e OH′. La seconda dissociazione 2H• e O″ è da ritenersi addirittura trascurabile.
Altri tipi di dissociazione. - I sali fusi (e anche alcuni solidi in vicinanza del punto di fusione) presentano una conducibilità di natura elettrolitica, sicché debbono pensarsi anch'essi dissociati in ioni. Oltre a quelli trattati si hanno ancora altri tipi di dissociazione; per quella degli atomi in ioni ed elettroni, v. ionizzazione; per la dissociazione provocata dalle radiazioni, v. fotochimica.
Si può vedere qualunque libro di chimica fisica (v. per es. Campetti, Milano 1927; A. Mazzucchelli, Torino 1923). Per ciò che riguarda le teorie degli elettroliti forti si può consultare l'articolo di A. Orthmann, in Ergebnisse der exakten Naturwiss., VI, Berlino 1927.