Abstract
L’istituto, con cui si rende possibile la temporanea cessione della prestazione lavorativa a favore di un soggetto diverso dal datore di lavoro, ha avuto origine nel settore dell’impiego pubblico ed ha ricevuto per la prima volta regolamentazione nel settore privato con l’art. 30 del d.lgs. 10.9.2003, n. 276. Questa disposizione non disciplina la diversa fattispecie del distacco che si realizza nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi regolata nel diritto interno dal d.lgs. 25.2.2000, n. 72, attuazione della direttiva 96/71/CE.
Il distacco avrebbe avuto origine secondo alcuni nel settore del pubblico impiego rappresentando che una «variante semantica del comando», istituto in base al quale il lavoratore pubblico è chiamato a svolgere servizio presso un’amministrazione o un ente differenti da quelli di appartenenza, per un tempo determinato e in via eccezionale «per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza». Entrambe le fattispecie «non comporterebbero infatti la creazione di un nuovo rapporto di impiego lasciando inalterato quello originario» e sarebbero accomunate dall’obiettivo di realizzare un interesse dell’amministrazione di appartenenza del lavoratore comandato/distaccato (Mainardi, S., D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e riforma del mercato del lavoro: l’esclusione del pubblico impiego, in Lav. pub. amm., 2003, 1091).
Trovando il “comando” denominazione e disciplina negli artt. 56 e 57 del d.P.R. 10.1.1957, n. 3 (Testo unico degli impiegati civili dello stato) e artt. 31, 43 e 50 del d.lgs. 3.2.1993, n. 29, secondo altri, il distacco integrerebbe invece una «mera situazione di fatto, concretata dallo svolgimento delle proprie funzioni di istituto presso uffici dipendenti da altre amministrazione» creata dalla prassi amministrativa (Rusciano, M., L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 248; Carinci, M.T., Art. 2127, La fornitura di lavoro altrui, in Codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 2000, 195 ss., 177; Esposito, M., Comando e fuori ruolo (mobilità temporanea tra amministrazioni diverse: comando, distacco e collocamento fuori ruolo), in Carinci, F.-Zoppoli, L., a cura di, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2004, 750). Mentre secondo altri ancora, il distacco sarebbe caratterizzato dal fatto che l’impiegato è destinato a prestare servizio non presso un’altra amministrazione statale bensì preso un ente diverso, con oneri retributivi e retributivi a carico dell’ente distaccatario (Virga, P., Il pubblico impiego, Milano, 1973, 655; Sepe, O., Ancora in tema di comando e distacco di impiegati, in Foro amm., 1959, I, 299; De Simone, G., Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza, Milano, 1995, 282).
La fattispecie del distacco, e la sua eventuale distinzione dal comando, nel settore del pubblico impiego non può dunque dirsi a tutt’oggi pacifica. Purtuttavia, la disciplina pubblicistica del comando, nel suo nucleo essenziale, ha continuato a costituire il referente privilegiato dell’istituto, anche successivamente agli interventi normativi di privatizzazione del settore: l’art. 43 del d.lgs. n. 29/1993 si è limitato infatti a menzionare il comando, senza ridisciplinarlo; l’art. 14, co. 14-17, l. 15.5.1997, n. 127 ha invece modificato gli artt. 56 e 57, così confermandone la vigenza; il d.lgs. 30.3.2001, n. 165 infine ha dedicato al tema un accenno all’art. 70, co. 12, nonché ammesso ulteriori ipotesi di mobilità temporanea all’art. 23 bis. Ed il quadro normativo non è cambiato con l’emanazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, in ragione della circoscritta applicazione della norma al solo settore privato.
Nel settore privato, l’istituto del distacco, sebbene da tempo diffuso nella pratica commerciale, ha trovato per la prima volta una espressa e generale regolamentazione con l’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003 (Lunardon, F., Il distacco del lavoratore nel d.leg. n. 276/2003, in Giur. piem., 2006, 177).
La disposizione fa propria la ricostruzione del distacco (cd. “proprio”) elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina sul modello del comando di diritto pubblico.
La fattispecie del distacco ai sensi dell’art. 30 si configura «quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa».
Il distacco deve considerarsi manifestazione del potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro che modifica temporaneamente le modalità di esecuzione degli obblighi del prestatore di lavoro derivanti dal vincolo contrattuale. La fattispecie è costruita infatti sul presupposto che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante ed in modo tale che il distacco realizzi uno specifico interesse imprenditoriale che consenta di qualificarlo come atto organizzativo dell’impresa che lo dispone (Grandi, M., Le modificazioni del rapporto di lavoro. I. Le modificazioni soggettive, Milano,1972, 218; Magrini, S., La nuova disciplina del distacco, in Lav. prev. oggi, 2003, 12,1883; Vallebona, A., La riforma dei lavori, Padova, 2004, 110; Del Punta, R., La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004, 176; Scarpelli, F., Art. 30. Distacco, in Gragnoli, E.-Perulli, A., a cura di, La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Padova, 2004, 446; Corso, I., Il distacco del lavoratore, in Carinci, F., diretto da, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, Torino, 2007, 1577; Zoli, C., Articolo 30, Distacco, in Pedrazzoli, M., coordinato da, Il nuovo mercato del lavoro, Bologna, 2004, 329; in giurisprudenza cfr. Cass., S.U., 13.4.1989, n. 1751).
Non sono mancati invero tentativi di inquadrare l’istituto come una forma di somministrazione a tempo determinato caratterizzata dalla non professionalità del soggetto distaccante (Chieco, P., Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro del terzo, in Curzio, P., a cura di, Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Bari, 2004, 110) od in base alle categorie generali del diritto civile, quali la cessione del credito (Alleva, P., Art. 30. La nuova disciplina dei distacchi, in Ghezzi, G., a cura di, Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n. 276/2003, Roma, 2004, 180) ed il contratto a favore di terzo (Mazzotta, O., Divieto di interposizione e pubblico impiego, in Foro it., 1980, 780; Magno, P., Le vicende modificative del rapporto di lavoro, Padova, 1976, 218; Mazzini, M.T., Riflessi del collegamento societario sulla continuità del rapporto di lavoro, in Riv. dir. lav., 1979, I, 491; De Simone, G., Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza, Milano, 1995, 287; Esposito, M., op. cit., 95; Cessari, A., L’interposizione fraudolenta nel diritto del lavoro, Milano, 1959, 118).
Ricostruendo l’istituto come esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, la dottrina ha sempre escluso la necessità del consenso del lavoratore al distacco, mentre la giurisprudenza si mostrava divisa: l’orientamento più recente della S.C. non richiedeva il consenso del lavoratore in ragione del dovere di obbedienza gravante sul prestatore (Cass., 7.11.2000, n. 14458, in Orient. giur. lav., 2000, I, 968); il consenso era imprescindibile invece in quanto finalizzato ad impedire che il lavoratore subisse una modificazione non prevista all’atto della stipula del contratto secondo l’orientamento opposto (Cass., 6.6.1990, n. 5406); altre decisioni infine hanno ritenuto necessario il consenso solo quando nella prestazione di lavoro vi fosse una qualificazione intuitus personae, tipica delle mansioni impiegatizie ed estranea a quelle meramente esecutive (Cass., 26.5.1993, n. 5907).
La soluzione recepita dall’art. 30 media tra tali orientamenti richiedendo al co. 3 «il consenso del lavoratore» laddove «il distacco che comporti un mutamento di mansioni».
Se il consenso del lavoratore è richiesto solo quando al distacco si accompagni un «mutamento di mansioni», a contrario, la regola generale sarà dunque che tale tipo di mobilità costituisce espressione del potere direttivo del datore di lavoro.
Secondo la circolare del Ministero del lavoro 15.1.2003, n. 4, il consenso del lavoratore vale in questo caso a ratificare l’equivalenza delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione della specializzazione dell’attività effettivamente svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore.
Escludendo a priori che il legislatore, continuando a vietare la dequalificazione consensuale all’interno dell’unità produttiva, possa con tale disposizione consentirla al di fuori di essa (Tosi, P., Appalto, distacco, lavoro a progetto. Appunti da una conferenza, in Lav. giur., 2004, 237), parte della dottrina conclude nel senso che la definizione di distacco («messa a disposizione» del lavoratore distaccato «per l’esecuzione di una determinata attività») può comprendere le sole ipotesi di esecuzione presso il distaccatario di una “predeterminata” attività, ossia determinata dal contenuto delle mansioni già svolte in precedenza dal lavoratore presso il distaccante, o con questo pattuite al momento in cui il distacco viene disposto, configurando dunque l’istituto non come semplice prestito di manodopera ma come una specifica missione, circoscritta nei suoi contenuti di apporto lavorativo a tal punto da impedire al distaccatario di disporre od imporre qualsiasi mutamento di mansioni (Alleva, P., Art. 30. La nuova disciplina dei distacchi, in Grezzi, G., a cura di, Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n. 276/2003, Roma, 2004, 180-181).
Nel caso in cui il distaccatario utilizzi il dipendente in mansioni superiori, la promozione così ottenuta potrà essere opposta al datore distaccante quando sia stato rispettato il requisito dell’omogeneità di mansioni di destinazione (Cass., 20.6.1990, n. 6181, in Foro it., 1990, I, 3157) e nel caso in cui costituisca la giustificazione del comando (Cass., 16.4.1984, n. 2471, in Giur. it., 1985, I, 1, 802); diversamente, non influenzerà il ritorno alle mansioni anteriori, seppure inferiori (Cass., S.U., 15.2.1979, n. 392).
Nella sola ipotesi del distacco all’estero la giurisprudenza ha ravvisato in più occasioni la necessità del consenso del lavoratore, in considerazione del fatto che l’invio all’estero è estraneo «all’assetto di interessi prefigurato e prefigurabile al momento dell’assunzione» comportando una «modalità del tutto inusuale della prestazione» che deve formare oggetto di uno «specifico regolamento che viene ad integrare il contenuto originario del rapporto di lavoro», come tale «insuscettibile di essere modificato unilateralmente dal datore di lavoro» (fin da Trib. Pisa, 24.2.1978, in Riv. giur. lav., 1978, 575).
Il distacco nel settore privato, si è detto, trova la sua prima regolamentazione in una costante ed autorevole giurisprudenza in funzione normativa.
I giudici, preoccupati di legittimare il fenomeno a fronte del divieto di qualsiasi forma di dissociazione tra titolarità formale del contratto ed esercizio effettivo dei poteri di organizzazione della prestazione di lavoro sancito dalla l. 23.10.1960, n. 1369 elaborarono in origine una definizione della fattispecie a contrario rispetto a quella della intermediazione ed interposizione di manodopera, i cui requisiti caratterizzanti sono stati successivamente formalizzati nell’art. 30: l’interesse del datore di lavoro al distacco e la temporaneità del provvedimento.
In relazione al requisito dell’interesse, l’art. 30, co. 1, non aggiunge alcuna specificazione al concetto di origine giurisprudenziale, limitandosi a statuire che il distacco deve essere finalizzato a soddisfare un interesse proprio del distaccante coincidente con una qualsiasi motivazione tecnica, produttiva ed organizzativa, purché effettivamente lecita, esistente e rilevante (Cass., 10.6.1999, n. 5721, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 36). L’interesse, nella elaborazione giurisprudenziale che ne è stata fatta, dovrà possedere i caratteri della specificità (Cass., 7.6.2000, n. 7743), rilevanza, concretezza e persistenza per tutta la durata, e dovrà essere oggetto di accurata indagine circa la sua esistenza (Cass., 18.8.2004, n. 16165).
Ne consegue che l’interesse non può essere valutato astrattamente, ma richiede di volta in volta un’indagine di merito, con riferimento all’attività in concreto espletata dal datore di lavoro e, nel caso di società, al suo scopo sociale (Cass., 2.11.1999, n. 12224, in Not. giur. lav., 2000, 39). In particolare, l’interesse deve essere rilevante, cioè volto a soddisfare esigenze produttive o organizzative dell’impresa distaccante (Cass., S.U., 13.3.1989, n. 1751, in Dir. lav., 1989, II, 467); può essere anche solo parziale, purché non sia del tutto secondario (Cass., 26.5.1993, n. 5907, in Giur. it., 1996, I, 1, 848); deve essere concreto, in quanto coincidente con quello tipico che ha trovato la sua realizzazione nella costituzione del rapporto di lavoro (Cass., 18.8.2004, n. 16165); e diretto, cioè consistente in vantaggi omogenei al contenuto delle prestazioni le quali devono corrispondere alle esigenze del distaccante (Cass., 23.4.1992, n. 4851, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 428).
L’assenza di qualsivoglia specificazione impone di ritenere sufficiente anche il solo interesse a sgravarsi del costo del personale distaccato mantenendolo peraltro legato all’impresa (cfr. la circ. Ministero del lavoro 24.6.2005, n. 28 sull’utilizzo del distacco per evitare il ricorso alla Cassa integrazione o l’art. 8 l. 19.7.1993, n. 236 per evitare riduzioni di personale) in vista di un suo pronto utilizzo non appena superata la fase di contrazione produttiva (Tosi, P., Appalto, distacco, lavoro a progetto, cit., 236).
Non vi è invece uniformità di vedute in dottrina circa l’ammissibilità di un interesse meramente solidaristico al distacco (in senso positivo cfr. Carinci, M.T., Art. 2127, La fornitura di lavoro altrui, in Codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 2000, 407, Esposito, M., L’incerta collocazione del “comando” e del “distacco” nelle fattispecie interpositorie, in De Luca Tamajo, R.-Rusciano, M.-Zoppoli, L., a cura di, Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30 al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, Napoli, 2004, 164 e Monaco, M.P., Il distacco del lavoratore, in Carinci, M.T.-Cester, C., Sommnistrazione, comando, appalto, trasferimento di azienda, Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Milano, 2004, 214; contra Vidiri, G., L’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003: una norma di difficile lettura, in Mass. giur. lav., 2004, 569) mentre la giurisprudenza ha ritenuto inesistente un distacco qualora sussista la prevalenza dell’interesse del datore di lavoro distaccatario nelle fattispecie di mera collaborazione tra imprese operanti nello stesso settore (Cass., 7.6.2000, n. 7743, in Not. giur. lav., 2000, 769) o di imprese affini per far fronte a improvvisi carichi di lavoro (Cass., 8.10.1991, n. 10556, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 936) e alla necessità di personale con peculiari competenze (Cass., 23.4.1992, n. 4851, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 428).
L’esistenza di un “gruppo di imprese” è al contrario considerato un elemento indiziario dell’esistenza di un interesse al distacco (in questo senso anche la circ. Ministero del lavoro 15.1.2004, n. 3), in quanto verosimile che l’impresa che presta un proprio dipendente ad una collegata sia mossa dalla previsione di trarne un qualche vantaggio (De Simone, G., Servo di due padroni: note a margine di un caso di distacco presso una consociata estera, in Riv. it. dir. lav., 1988, I, 393 ss.). Tale vantaggio può essere diretto ed immediato, ma anche indiretto: disponendo il distacco, l’impresa di provenienza collabora alla strategia del gruppo per godere alla fine di quello derivante dall’intera politica, cosicché a legittimare il provvedimento è sufficiente anche un interesse in sé e per sé riferibile all’intero gruppo societario (Cass., 12.8.1992, n. 9517, in Not. giur. lav., 1992, 647). Lo stesso deve dirsi qualora il distacco avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete ai sensi dalla l. 9.4.2009, n. 33, in quanto, per espressa previsione normativa, l'interesse della parte distaccante sorge in questo caso automaticamente in forza dell'operare della rete (art. 30, co. 4-ter, aggiunto dall'art. 7, co. 2, l. 9.8.2013, n. 99).
Quanto al secondo requisito, la temporaneità del provvedimento non equivale a brevità, ma ad assenza di definitività (Cass., 7.11.2000, n. 14458, in Orient. giur. lav., 2000, I, 968): la durata non deve essere predeterminata al momento di adozione del provvedimento o più o meno lunga, ma connessa al perdurare dell’interesse a disporlo, donde la legittimità del provvedimento adottato contestualmente all’assunzione o la cui durata si protragga sino all’estinzione del rapporto (Cass., S.U., 13.4.1989, n. 1751).
Temporaneità può ancora essere sinonimo d’eccezionalità e sporadicità della prassi sì da escludere ogni situazione ricorrente.
Ai sensi della seconda parte del co. 3 dell’art. 30, il distacco che comporti il trasferimento ad un’unità produttiva sita a distanza superiore ai 50 chilometri è consentito solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive, sostitutive.
La previsione opera un incongruo accostamento del distacco al trasferimento (sollevando dubbi di costituzionalità secondo Vallebona, A., La riforma dei lavori, Padova, 2004, 581; Scarpelli, F., Art. 30. Distacco, in Gragnoli, E.-Perulli, A., a cura di, La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Padova, 2004, 447), e, sostanzialmente sovrabbondante, entra in conflitto con le condizioni di legittimità della fattispecie: l’interesse del distaccante e la temporaneità del distacco sono intrinsecamente connessi a dati oggettivi, organizzativi e produttivi, i quali per definizione integrano ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, con ciò rendendo difficile distinguere tra gli elementi oggettivi che sorreggono le condizioni di liceità e quelli che giustificano lo spostamento geografico oltre una certa misura.
Analogamente tuttavia a quanto si è sempre ritenuto in tema di trasferimento, per il distacco vige il principio della libertà di forma con la necessità della comunicazione dei motivi del provvedimento di distacco soltanto allorquando il lavoratore lo richieda. La prova delle ragioni giustificatrici, parimenti, deve essere fornita dal datore di lavoro e l’intervento giudiziario deve rimanere circoscritto all’accertamento della reale sussistenza delle ragioni addotte.
Il co. 2 dell’art. 30 stabilisce che il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore distaccato. Nondimeno, sulla scorta della precedente elaborazione giurisprudenziale (cfr. Cass., S.U., 13.4.1989, n. 1751) si ammette pacificamente la possibilità di una diversa regolamentazione, nel senso che l’impresa utilizzatrice può assumere direttamente l’obbligo di retribuire il lavoratore o, in alternativa, di rimborsare le spese del distaccante (nei limiti di quanto effettivamente corrisposto al lavoratore, senza comprendere eventuali costi aggiuntivi che il distaccante sostiene a seguito e per effetto del distacco).
L’esercizio dei poteri facenti capo al datore di lavoro può essere disciplinato di volta in volta con specifiche pattuizioni tra le parti. In generale, essendo il lavoratore inserito nella nuova impresa ed operando alle dipendenze gerarchiche del terzo che, ricevendo la prestazione, è in grado di organizzarla ai fini produttivi, il potere direttivo e disciplinare spettano per delega automatica al distaccatario (Cass., 2.11.1999, n. 12224) mentre il potere di licenziamento e di ricevere le dimissioni spettano al datore di lavoro distaccante in quanto titolare del rapporto di lavoro. Resta controversa l’identificazione del soggetto su cui incombono gli obblighi in materia di salute e sicurezza, più recentemente identificato nel datore di lavoro distaccante (Cass., 11.1.2010, n. 215) in ragione dell’interesse all’esecuzione della prestazione presso il terzo, nonostante il t.u. in materia di salute e sicurezza configuri tutti gli «obblighi di prevenzione e protezione a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per la quali egli viene distaccato». La soluzione giurisprudenziale svela tutta la sua criticità nell’ipotesi di distacco all’estero configurando una responsabilità prevenzionistica in capo al datore di lavoro distaccante ai sensi della normativa antinfortunistica dei paesi comunitari così come extracomunitari.
La mancanza dei requisiti previsti dall’art. 30, co. 1 – temporaneità ed esistenza di un rilevante interesse del distaccante – cui faccia seguito l’ “effettiva utilizzazione” del lavoratore da parte del datore distaccatario, configura un distacco illecito.
Ai sensi dell’art. 30, co. 4-bis, «quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal co. 1, il lavoratore interessato può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze» dell’effettivo utilizzatore, trattandosi di una ipotesi di annullabilità e non di nullità.
Ai sensi dell’art. 18, co. 5-bis, poi, nel caso di «distacco privo dei requisiti di cui all’art. 30, co. 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena dell’ammenda (…) per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione» (sul sistema sanzionatorio, cfr. Carinci, F., Una svolta fra ideologia e tecnica: continuità e discontinuità nel diritto del lavoro di inizio secolo, in Miscione, M.-Ricci, M., Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, Milano, 2004, LXXXVI).
Diversa è la disciplina delle ipotesi di illegittimità del distacco, ai sensi del co. 3 dell’art. 30, in caso di mutamento di mansioni. Non si tratta in questo caso della violazione dei requisiti costitutivi della fattispecie, bensì della violazione di limiti legali posti al distacco, le cui conseguenze non possono che essere di tipo ripristinatorio: l’immediato rientro del lavoratore presso il distaccante nonché il diritto alle differenze retributive se la variazione delle mansioni sia accompagnata da una riduzione del trattamento retributivo. Qualora invece il distacco venga attuato nel pieno rispetto della normativa legale e il patto consensuale risulti pertanto valido, il lavoratore distaccato non può rivendicare – proprio perché manca qualsiasi condotta datoriale illegittima – alcuna pretesa al risarcimento danni (Tosi, P., Appalto, distacco, lavoro a progetto, cit., 237).
Pur essendo applicabile nella sua interezza ai distacchi operati all’estero (Proia, G., Il lavoro italiano all’estero, in Santoro Passarelli, G., a cura di, Diritto e processo del lavoro, Milano, 2009, 1223), la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 30 è di dubbia esigibilità nei riguardi della società estera poiché la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del soggetto distaccatario non può che configurarsi una conseguenza meramente eventuale, lasciata alla valutazione del lavoratore.
Il d.lgs. 25.2.2000, n. 72 ha inteso dare attuazione alla dir. 96/71/CE relativa al «distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi» (sulla direttiva, v. Santini, F., Distacco [dir. lav.] 2. Diritto comunitario, in Diritto online Treccani, 2015), con disposizioni in alcuni casi divergenti ed integrative rispetto a quelle del provvedimento d’origine, di cui non può dunque dirsi semplice trascrizione.
Il legislatore italiano interviene così a disciplinare le prestazioni temporanee di servizi effettuate da lavoratori dipendenti da imprese comunitarie non stabilite in Italia in tre diverse ipotesi: nell’ambito di un appalto di servizi, di un gruppo societario e di una fornitura di mere prestazioni di lavoro. Fattispecie queste niente affatto coincidenti con quelle elencate nella direttiva, ma che ben si coordinano con la disciplina del distacco contenuta dall’art. 30 d.lgs. n. 276/2003. Non si creano infatti sovrapposizioni tra gli ambiti di applicazione dei due complessi normativi nazionali poiché le fattispecie considerate nel d.lgs. n. 72/2000 all’art. 1, co. 1 hanno ad oggetto ipotesi che non configurano comunque un distacco in senso proprio ai sensi dell’art. 30.
Alla prima categoria, cui si riferisce l’art. 1, co. 1, d.lgs. n. 72/2000, sono riconducibili il distacco disposto da imprese straniere a favore di imprese stabilite in Italia tra loro non collegate e il distacco infragruppo – presso una consociata italiana – ovvero “introaziendale” – presso un’unità produttiva in Italia di una medesima impresa – posto in essere «per conto proprio e sotto la propria direzione» (cd. distacco “improprio”).
Nel distacco infragruppo, invece, uno o più dipendenti di un’impresa collegata devono essere distaccati presso un’altra impresa del gruppo allo scopo di realizzare un’opera o un servizio, realizzando una fattispecie collocabile in una «zona di confine tra distacco e appalto». In quest’ultimo caso, solo l’attribuzione da parte di un’impresa straniera dell’esercizio del potere direttivo all’impresa collegata italiana consentirebbe di realizzare un distacco vero e proprio da ricondursi nell’ambito di applicazione della normativa interna.
Anche nell’ipotesi in cui beneficiaria del distacco sia una filiale di un’impresa non si potrebbe parlare di distacco in senso vero e proprio bensì a seconda dei casi, di trasferta o trasfertismo.
In tutti e tre i casi permane la titolarità del rapporto di lavoro in capo all’impresa distaccante e la temporaneità del provvedimento, che deve ritenersi sussistente secondo l’art. 2, co. 2, quando la durata del medesimo sia «sin dall’inizio predeterminata o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo».
Per quanto concerne il trattamento applicabile ai lavoratori distaccati ex art. 1, co. 1, per il periodo in cui operano in Italia, l’art. 3, co. 1 provvede a garantire loro «le medesime condizioni di lavoro applicabili ai lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui i lavoratori distaccati svolgono la propria attività in posizione di distacco», previste dalle «disposizioni legislative, regolamentari o amministrative» nonché dai «contratti collettivi». La disposizione deve ritenersi applicabile anche nel caso di lavoratori extracomunitari dipendenti da un’impresa extracomunitaria che abbia una propria filiale in Italia (o di lavoratori extracomunitari inseriti in una filiale, operante al di fuori dell’Unione europea, di un’impresa italiana) sebbene teoricamente soggetti alle norme di diritto internazionale (cfr. Interpello 27.6.2011, n. 28).
Mentre il legislatore comunitario indica un elenco non tassativo di materie rispetto alle quali deve essere garantita la parità di trattamento fra lavoratori locali e lavoratori in distacco, il legislatore italiano provvede ad adottare una previsione onnicomprensiva: «le medesime condizioni di lavoro» applicabili ai lavoratori nazionali.
L’ampiezza della portata regolatoria della disposizione opera limitando significativamente l’applicazione del diritto straniero, che non potrà comunque prevedere trattamenti meno favorevoli rispetto a quanto previsto dal diritto interno.
Imporre purtuttavia alle imprese straniere l’osservanza dell’intero diritto del Paese ospitante «oltrepassa(to) il contenuto definito dalla legislazione comunitaria» che «non permette assolutamente agli Stati di estendere ai lavoratori distaccati nel loro territorio tutte le loro disposizioni legislative e/o i contratti collettivi che disciplinano le condizioni di lavoro» (Commissione CE, L’applicazione della dir. 96/71/CE, COM (2003) 458 def. Bruxelles, 25.7.2003, 14) realizzando, altresì un «contrasto con il principio comunitario di libera prestazione di servizi di cui all’art. 49, ex art. 599 del Trattato» (TAR Bolzano, 19.4.2005, n. 140, in Mass. giur. lav., 2005, 658). La giurisprudenza della Corte di giustizia e della Suprema Corte hanno invero concluso per l’infondatezza della questione. La prima indicando tra le ragioni imperative di pubblico interesse che legittimano restrizioni alla libera prestazione di servizi la tutela del lavoratore; la seconda in quanto «il principio di favore nei confronti del prestatore di lavoro, fondamentale nel nostro ordinamento giuridico, derivando nel suo substrato etico-sociale dall’art. 3 Cost., informa tutta la legislazione costituzionale ed ordinaria in materia di lavoro e ai sensi dell’art. 31 preleggi, costituisce un limite di ordine pubblico internazionale all’introduzione nel nostro ordinamento … di una legge straniera che contenga una disciplina del rapporto di lavoro dedotto in giudizio meno favorevole al lavoratore rispetto alla legge italiana» (Cass., 27.3.1996, n. 2756, in Foro it., 1996, I, 2427).
Resta che la garanzia di eguali condizioni di lavoro è riferita anche ai contenuti dei contratti collettivi applicabili, sollevando delicati problemi di compatibilità con i vincoli posti dall’art. 39 Cost. (realizzando in tal modo una estensione ex lege dell’efficacia generale del contratto collettivo) e con il principio di non discriminazione (laddove onera le imprese straniere di vincoli non incombenti sulle imprese italiane).
D.lgs. 10.9.2003, n. 276, art. 30; d.lgs. 25.2.2000, n. 72.
Carinci, M.T., Art. 2127, La fornitura di lavoro altrui, in Codice civile, Commentario diretto da Schlesinger, Milano, 2000, 195 ss.; Cessari, A., L’interposizione fraudolenta nel diritto del lavoro, Milano, 1959, 118; Del Punta, R., La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004, 176; De Simone, G., Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza, Milano, 1995, 282; Esposito, M., Comando e fuori ruolo (mobilità temporanea tra amministrazioni diverse: comando, distacco e collocamento fuori ruolo), in Carinci, F.-Zoppoli, L., a cura di, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2004, 750; Grandi, M., Le modificazioni del rapporto di lavoro. I. Le modificazioni soggettive, Milano,1972, 218; Lunardon, F., Il distacco del lavoratore nel d.leg. n. 276/2003, in Giur. piem., 2006, 177; Magnani, M., I rapporti di lavoro con elementi di internazionalità, in Mass. giur. lav., 2004, 291; Magrini, S., La nuova disciplina del distacco, in Lav. prev. oggi, 2003, 12,1883; Mainardi, S., D. lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e riforma del mercato del lavoro: l’esclusione del pubblico impiego, in Lav. pub. amm., 2003, 1091; Monaco, M.P., Il distacco del lavoratore, in Carinci, M.T.-Cester, C., Sommnistrazione, comando, appalto, trasferimento di azienda, Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Milano, 2004, 204; Orlandini, G., Considerazioni sulla disciplina del distacco dei lavoratori stranieri in Italia, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, 59 ss.; Proia, G., Il lavoro italiano all’estero, in Santoro Passarelli, G., a cura di, Diritto e processo del lavoro, Milano, 2009, 1223; Rusciano, M., L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 248; Scarpelli, F., Art. 30. Distacco, in Gragnoli, E.-Perulli, A., a cura di, La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Padova, 2004, 446; Sepe, O., Ancora in tema di comando e distacco di impiegati, in Foro amm., 1959, I, 299; Tosi, P., Appalto, distacco, lavoro a progetto. Appunti da una conferenza, in Lav. giur., 2004, 236;Vallebona, A., La riforma dei lavori, Padova, 2004; 110; Vidiri, G., L’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003: una norma di difficile lettura, in Mass. giur. lav., 2004, 569.