distrettamente
L'avverbio deriva dal participio ‛ distretto ' (v. DISTRINGERE). Compare una sola volta in D., in Pd VII 96 Ficca mo l'occhio per entro l'abisso / de l'etterno consiglio, quanto puoi / al mio parlar distrettamente fisso; l'intera espressione vale: " poni mente all'imperscrutabile decisione divina, seguendo il mio discorso con la massima attenzione possibile ".
S'intende che il giudizio divino è talmente insondabile che D. non potrà mai seguire ‛ distrettamente ' il discorso della sua guida; la sua mente cioè non potrà ‛ aderire ' al suo desiderio di conoscenza. La chiosa del Tommaseo cita alcuni luoghi della letteratura latina (fra cui Virgilio e Agostino) che potrebbero aver ispirato la terzina di D., ma essi non appaiono troppo convincenti; mentre più interessante è il confronto con altri passi di autori antecedenti a D. (tra cui citeremo, per la lirica, Stefano Protonotaro Assai mi placeria 33, Bondie Madonna m'è avenuto 10), in cui l'avverbio compare. In base a questi autori si può affermare che il termine, usato non troppo di rado, aveva tuttavia quasi esclusivamente un uso traslato, come vediamo in Dante.