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distrezza

di Luigi Vanossi - Enciclopedia Dantesca (1970)
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distrezza

Luigi Vanossi

Riproduce il francese antico destrece ed è esclusivo del Fiore, con sei occorrenze (v. anche DISTRETTA).

La voce si trova adoperata sempre nelle locuzioni ‛ tenere, avere d. ', ‛ mettere a d. ', e tende a disporsi lungo determinati filoni tematici. Indica " privazione di libertà ", " clausura ", in XXXI 4 ad una vecchia l'ebbe accomandata / che la tenesse tuttor in distrezza, riferita alla prigionia di Bellaccoglienza; è ripresa poi nel senso di costrizione giuridica cui è sottoposta la donna nella società organizzata (in contrapposizione alla libertà teologica primordiale) nel discorso della Vecchia: CLXXXIII 6 ed halle messe a si gran distrezza, / che ciascheduna volontier s' adrezza / come tornar potesse a franchitate (cfr. " non per distretta di legge o per forza ", B. Latini Rettorica XVI; ediz. F. Maggini, Firenze 19682, 176). A stato di privazione, angustia economica, è applicata in LXXXIII 14 ma non ch'ancor vedesse / che Povertà non m'avesse in distrezza (" Quant Povreté l'a en destrece ", Roman de la Rose 10823; e cfr. 5871, 7953); e probabilmente anche in XLI 11 Ch'i' ti farò più ricco che Ricchezza, / sanza pregiar mai rota di Fortuna, / ch'ella ti possa mettere in distrezza. È infine riferito allo stato di privazione del benessere amoroso, col senso di " pena ", " angustia ", che appartiene al francese antico destrece, in XXI 13 e lungo tempo mi tenne in distrezza, e XLV 13 ma non Amor che ti tenga 'n distrezza.

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