DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA
. È del massimo interesse, per lo statistico e per il sociologo, conoscere in qual modo la ricchezza sia distribuita fra gl'individui di una collettività o di uno stato, intendendo per ricchezza il complesso dei beni materiali che sono disponibili in quantità non superiore al fabbisogno. Importa specialmente sapere se la distribuzione della ricchezza varii col mutare dei tempi e degli ordinamenti sociali, o se sia abbastanza stabile per poterne inferire che essa è prevalentemente espressione di una caratteristica comune alle società umane. Teoricamente il grado di ricchezza, come sopra intesa, di un ente singolo o collettivo, si potrebbe avere moltiplicando ciò che si dice l'utilità finale di ciascun bene per il numero delle sue dosi disponibili, e facendo la somma dei prodotti così ottenuti. Ma poiché è praticamente impossibile misurare, con un termine di riferimento costante, il grado finale di utilità dei beni, così per misurare la ricchezza di un certo ente conviene ricorrere a indici che rappresentino approssimativamente le variazioni di essa. Se s'intende per reddito di un ente quella parte dei beni che esso acquisisce nell'unità di tempo mediante la sua attività economica e che esso può consumare senza diminuzione dei beni che già possiede, si riconosce che, con sufficiente approssimazione, il grado di ricchezza di questo ente si potrà desumere dall'ammontare del suo reddito. In conformità a tale concezione del reddito, vengono, in quasi tutti i paesi, colpiti dal fisco i soli redditi superiori a certi redditi minimi, ritenuti necessarî per la conservazione delle persone a cui essi spettano. E perciò lo studio della distribuzione dei redditi globali che vengono rilevati a scopo fiscale costituirà il mezzo migliore, a disposizione dello statistico, per illuminarlo su quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, nonostante che le denunce di tali redditi possano essere affette da gravi reticenze e omissioni. Giovera, naturalmente, integrare l'indagine ricercando, in quei pochi casi in cui le statistiche ne diano la possibilità, in qual modo si distribuiscano i patrimonî, specie quelli censiti, avendo i patrimonî ereditarî, per il diverso grado di mortalità dei ricchi e dei poveri e per altre ragioni, una tendenza a figurare nelle successioni con una frequenza diversa che nelle rilevazioni fiscali.
La distribuzione dei redditi globuli può studiarsi con tutti quei mezzi che valgono per le distribuzioni dei caratteri statistici in generale. Se le statistiche disponibili permettono di scindere la collettività dei redditieri in classi, a seconda delle diverse categorie di redditi, sarà anzi tutto opportuno formarsi un'idea della distribuzione dei redditi mediante un diagramma (istogramma) costruito segnando sull'asse delle ascisse i limiti delle singole categorie, e tracciando sul segmento indicativo di ognuna di queste il rettangolo di area proporzionale al numero di redditieri della classe corrispondente. I lati di tali rettangoli, opposti all'asse delle ascisse, daranno complessivamente un'immagine della distribuzione dei redditi, tanto più fedele - se la collettività è distribuita in tutto l'intervallo di variazione dei redditi - quanto minore sia l'ampiezza di ciascuna categoria di redditi. Se si potesse considerare tutta una popolazione, l'istogramma sarebbe generalmente costituito da tanti rettangoli consecutivi (a partire da un reddito minimo h > o, necessario per vivere), le cui altezze andrebbero rapidamente crescendo fino a un'altezza massima (corrispondente alla categoria di reddito normale m) e successivamente decrescendo, ma con minore rapidità, fino ad annullarsi. Se invece l'istogramma fosse costruito in base a una statistica fiscale, sparirebbero dal precedente i primi elementi rettangolari, e rimarrebbero soltanto gli ultimi, a partire dal minimo k dei redditi imponibili; e poiché è generaìmente k > m, quei rettangoli sarebbero ad altezze decrescenti. Il profilo dell'istogramma potrebbe essere lo spigolo laterale di una specie di piramide, e in questo senso appunto si parla talora di piramide sociale, per indicare la decrescenza degli strati corrispondenti a redditi sempre più elevati. Immaginando la distribuzione continua, cioè immaginando che ogni classe continuasse a contenere dei redditieri, pur tendendo a zero l'ampiezza massima delle categorie di reddito, si avrebbe al limite una curva di distribuzione dei redditi di equazione
in cui ϕ(x) sarebbe la densità della distribuzione e quindi ϕ(x) dx il numero dei redditieri aventi un reddito compreso tra x e x + dx, cosicché
rappresenterebbe il numero dei redditieri con un reddito ≥ h. In pratica, la (1) sarà una curva che, approssimativamente, interpolerà i lati superiori dell'accennato istogramma. Ciò posto, lo studio della distribuzione dei redditi potrà essere condotto in diverse direzioni.
1. Anzitutto, indipendentemente anche dalla determinazione della ϕ(x), e subordinatamente soltanto alla disponibilità di statistiche che forniscano la classificazione dei redditieri per categorie di reddito, ci si può proporre di studiare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito; a ciò giorno gli ordinarî indici di variabilità che si applicano in generale alle distribuzioni di caratteri statistici quantitativi. Ricordando che il reddito medio è quello che risulterebbe attribuito a ciascun individuo della collettività se il reddito totale venisse ugualmente distribuito, e che il reddito mediano è quello rispetto al quale risultano ugualmente numerosi i redditieri con un reddito superiore o uguale e i redditieri con un reddito non superiore a esso, si potranno calcolare gli scostamenti medî, semplice e quadratico dalla media e gli scostamenti medî, semplice e quadratico dalla mediana. Un altro indice di variabilità si ottiene facendo la media aritmetica di tutte le possibili differenze fra i redditi spettanti a due redditieri qualunque, distinti o no, e si dice differenza media dei redditi (Gini). Si hanno così cinque indici di variabilità (assoluti) 1SA, 2SA, 1SM, 2SM, ΔR, che godono genericamente della proprietà di crescere al crescere della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. A questi indici assoluti giova, però, sostituire, specialmente quando si vogliano paragonare le variabilità di diverse distribuzioni, indici relativi che si ottengono dividendo i primi per i rispettivi valori massimi che si avrebbero nel caso di massima disuguaglianza nella distribuzione, cioè nel caso che l'ammontare totale dei redditi venisse attribuito a un solo redditiero. Si può dimostrare che tali massimi sono rispettivamente
essendo n il numero dei redditieri e A la media aritmetica dei redditi, o praticamente, poiché quel numero n è molto rilevante:
cosicché gl'indici relativi di variabilità
potranno praticamente variare da 0 a1, secondo che la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi sia meno o più grande.
2. Un altro modo di studiare la distribuzione dei redditi è quello di osservarne la concentrazione attraverso appropriati indici, fra i quali uno è costituito dal rapporto di concentrazione R. Così come potrebbe essere fatto per qualunque carattere quantitativo, si dirà che in una popolazione il reddito è molto concentrato quando buona parte di esso spetta a pochi individui. Se, ordinati i redditieri per valori crescenti del reddito, si portano sull'asse delle ascisse le percentuali pi dei redditieri che godono un reddito inferiore a i, e sull'asse delle ordinate le percentuali qi che sull'ammontare totale dei redditi rappresentano i redditi inferiori a i, e si considera il luogo dei punti determinati dalle coppie di coordinate corrispondenti pi e qi, tale luogo costituisce la curva di concentrazione dei redditi (Lorenz). Questa curva è convessa rispetto all'asse delle ascisse, compreso fra i punti di ascisse 0 e 1, a ordinate continuamente crescenti da o a 1; per tanto, costruito il quadrato su quel segmento unitario dell'asse delle ascisse compreso fra le ascisse o e 1, e condotta la diagonale uscente dall'origine degli assi, la curva di concentrazione si stenderà da un estremo all'altro di tale diagonale, restandole continuamente inferiore. La curva stessa coinciderebbe con la detta diagonale nel caso che il reddito fosse ugualmente distribuito fra tutti i redditieri (concentrazione nulla), e coinciderebbe, invece, coi due lati del quadrato inferiori alla diagonale, se tutto il reddito spettasse a un solo individuo (concentrazione massima). L'area compresa fra la curva di concentrazione e la diagonale (area di concentrazione) ragguagliata al suo massimo valore possibile, cioè all'area del triangolo o mezzo quadrato che rimane da una parte della diagonale, fornisce un quoziente R che si dice rapporto di concentrazione dei redditi (Gini). Evidentemente tale rapporto può variare tra 0 e 1, ed è tanto maggiore quanto maggiore sia la concentrazione dei redditi; si potrebbe poi dimostrare che esso non è altro che ΔR: 2A, e cioè uno di quegl'indici relativi di variabilità ai quali si è precedentemente accennato. Si noti che a diverse forme di distribuzione può corrispondere uno stesso rapporto di concentrazione, ma ciò non toglie che il rapporto stesso sia, in forma sintetica, atto a ragguagliarci sulla maggiore o minore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Diamo più oltre il valore di R per alcune distribuzioni di redditi.
3. Il problema della distribuzione dei redditi in una collettività sarebbe teoricamente risoluto in ogni sua particolarità qualoia si conoscesse l'equazione (1), e i parametri di questa si potrebbero assumere come indici caratteristici della distribuzione stessa. E poiché la (1) rappresenta una curva interpolatrice dell'istogramma di cui si è fatto cenno in principio, si tratterà anzitutto di fissare la forma dell'equazione (1), in relazione alla struttura delle statistiche disponibili, in modo che l'adattamento della curva interpolata all'istogramma sia soddisfacente, e senza perdere di vista il requisito, essenziale per le pratiche applicazioni, della semplicità dell'equazione stessa. Il Pareto ha proposto di assumere in prima approssimazione
e in seconda approssimazione
o, poiché β risulta nella maggioranza dei casi molto prossimo allo zero:
Tali forme si prestano, tuttavia, a rappresentare il solo ramo discendente della curva dei redditi, al di sopra di un certo reddito; e in particolare si prestano alla rappresentazione dei redditi accertati a scopo fiscale, al di sopra di un minimo imponibile. Più recentemente (Amoroso) è stato proposto di prendere
forma di grande importanza teorica in quanto permette di rappresentare con ottima approssimazione la curva dei redditi in tutta la sua estensione e che comprende, come casi particolari, la prima e la terza forma date da Pareto. È ovvio osservare che l'impiego pratico di queste curve diviene tanto più laborioso quanto maggiore sia il numero dei parametri che figurano nelle rispettive equazioni.
4. Per lo studio della distribuzione dei redditi giova frequentemente sostituire alla curva dei redditi altre curve che se ne deducono facilmente. Una di queste potrebbe essere la curva integrale della ϕ(x), cioè la curva ottenuta segnando in corrispondenza a ciascun reddito x l'ordinata indicatrice del numero di persone a cui spetta un reddito non superiore a x. Un'altra curva, che si potrebbe dire complementare di quella integrale, si avrà, invece, segnando per ciascun reddito x l'ordinata indicatrice del numero di persone che hanno un reddito superiore a x. In quest'ordine d'idee il Pareto ottenne dalla (2) l'equazione
ossia log y = log A - α log x, dove y denota appunto il numero dei censiti con reddito globale superiore a x, essendo A e α due parametri da determinarsi caso per caso. Il parametro A significa semplicemente la quantità per cui debbono essere moltiplicate le ordinate della curva y = x-α per ottenere quelle della curva in esame, mentre α ha un significato ben più importante, in quanto al crescere di α cresce anche la convessità della curva stessa verso l'origine degli assi x, y, cioè al crescere di a diminuisce il numero dei redditieri aventi un reddito superiore a (x > 1). Si può anche dire (Benini) che, contrariamente a quanto riteneva il Pareto, tanto maggiore è a, tanto minore è la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Per tale ragione è il solo valore di α che si assume per caratterizzare o descrivere la distribuzione dei redditi nel senso spiegato: e a si dice appunto indice di distribuzione dei redditi (di Pareto). L'effettiva determinazione di α si può facilmente eseguire mediante l'equazione logaritmica log y = log A - αlog . x, la quale, ponendo log y = Y, log x = X, log A = H, si scrive Y = H − aX, equazione di una retta di coefficiente angolare − α. Disponendo di carta a doppia scala logaritmica si potranno segnare i punti che hanno come ascisse i logaritmi dei redditi che limitano le successive categorie di reddito, p. es. 1000, 2000, 5000.... e come ordinate i logaritmi dei numeri dei redditieri che posseggono un reddito rispettivamente superiore a 1000, 2000, 5000, ecc.: questi punti si disporranno, nella maggioranza dei casi, approssimativamente in linea retta, e il coefficiente angolare di questa retta (che ne determina l'inclinazione rispetto all'asse delle ascisse) sarà, cambiato di segno, l'indice di distribuzione cercato. Riportiamo dal Pareto il seguente prospetto:
Esso mostra come i ralori di α si aggirino intorno a 1,50: il che sembrava autorizzare la conclusione, non esatta, come vedremo, che la distribuzione della ricchezza di uno stato fosse indipendente, o quasi, dalla sua struttura economica. L'uso di altri indici, più sensibili di α, mette infatti in evidenza notevoli differenze nella distribuzione dei redditi, al variare dei tempi e dei luoghi, ossia a piccole variazioni di α corrispondono in realtà grandi variazioni nella disuguaglianza della distribuzione dei redditi. Il Pareto ha anche mostrato che la distribuzione dei redditi potrehbe, partendo dalla (4), essere descritta con maggiore precisione da una curva di equazione y = A (x + a)-α, nella quale oltre ad A, appaiono due parametri a e α che si potrebbero assumere come costituenti un indice complesso di distribuzione dei redditi; e ha infine osservato che il parametro a è negativo quando si considerino i soli redditi da lavoro, positivo per la distribuzione dei patrimonî, nullo o generalmente piccolissimo quando si consideri il reddito globale come sopra si è fatto. Si noti poi, che tutti gl'indici di variabilità considerati nel § i crescono o diminuiscono col diminuire o col crescere di α, e quindi α ha un comportamento opposto a quello che riteneva il Pareto.
5. Dalla curva di distribuzione dei redditi è anche possibile dedurre un'altra curva che bene si presta a sintetizzare la concentrazione dei redditi, attraverso quello che si dice indice di concentrazione. Indicando con y il numero dei redditieri che hanno un reddito globale superiore a x ed essendo ξ il loro reddito complessivo si è trovato (Gini) che vale con molta approssimazione la relazione
da cui si deduce che se Y è il numero totale dei redditieri e X l'ammontare totale del reddito si avrà pure
relazione che si può così interpretare: se si dispongono gli Y redditieri per ordine di reddito crescente, accadrà, a meno che il reddito non sia ugualmente distribuito, che il reddito medio di qualunque gruppo terminale di y redditieri sarà maggiore del reddito medio del gruppo totale, così che il reddito ξ globalmente posseduto da quel gruppo terminale starà al reddito totale X in un rapporto che è maggiore del rapporto fra il numero y del gruppo terminale e quello del totale. Cioè
e quanto più tale disuguaglianza sarà spiccata, tanto maggiore dovrà dire la concentrazione del reddito. L'esponente δ da attribuirsi al rapporto
per ottenere il rapporto
è l'indice di concentrazione dei redditi. I punti di coordinate Y e X sono, salvo una diversa orientazione rispetto agli assi, quelli della curva di concentrazione di cui al § 2; perciò il dire che per un conveniente valore di δ si verifica la (6), equivale ad ammettere che la curva di concentrazione del redditi sia interpolata con sufficiente approssimazione della curva (6). Il parametro δ, che è tanto maggiore quanto maggiore sia la concentrazione, è dunque un indice descrittivo della curva di concentrazione dei redditi: mentre il rapporto R sintetizza la concentrazione, senza per altro determinare l'andamento di quella curva. La (6) permette immediatamente di esprimere la frazione di redditieri rispetto al numero totale dei redditieri, in funzione della frazione di reddito a essi spettante rispetto all'ammontare totale del reddito e viceversa. Se, p. es., la totalità dei redditieri, disposti sempre per ordine di reddito crescente si spezzasse in quattro gruppi ugualmente numerosi e si considerassero i rapporti degli ultimi tre, degli ultimi due e dell'ultimo gruppo alla totalità, allora si potrebbero, supponendo noti δ e X, risolvere le equazioni
e i valori ξ3, ξ2, ξ1 costituirebbero i redditi complessivamente posseduti dagli ultimi tre quarti, due quarti, un quarto di quei redditieri. Di qui si potrebbero trarre immediatamente i redditi posseduti dal primo, secondo, terzo e ultimo quarto dei redditieri, e cioè X − ξ3, ξ3 − ξ2, ξ2 − ξ1, ξ1 e anche i rispettivi redditi medi, e, infine, i rapporti fra questi e il reddito medio generale (densità media del reddito in ciascun gruppo, secondo il Mortara). Si potrebbero altresì determinare il primo, secondo, terzo e ultimo quartile del reddito; e si capisce come, in modo del tutto analogo, si potrebbe anche pervenire alla determinazione dei successivi centili del reddito. La determinazione effettiva di δ si potrà effettuarc in più modi, per es., con lo stesso metodo tenuto per α; difatti, passando ai logaritmi si avrà log y = δ log ξ − log k, equazione la quale, assumendo log ξ come ascissa e log y come ordinata, rappresenta una retta di coefficiente angolare δ; così che segnando su carta a doppia scala logaritmica i punti che hanno per ascisse i logaritmi dei redditi spettanti complessivamente all'ultima, alle due ultime, alle tre ultime... classi di redditieri, e per ordinate i logaritmi dei rispettivi numeri di redditieri, questi punti si disporranno, almeno approssimativamente, in linea retta, e il coefficiente angolare di questa retta costituirà il valore δ cercato. Benché gl'indici α e δ abbiano diversi significati, in quanto il primo dipende dalla forma della curva integrale della distribuzione e il secondo dalla forma della curva di concentrazione del reddito, pur tuttavia essi possono essere tra loro paragonati rispetto al comune requisito di denotare la maggiore o minore disuguaglianza nella distribuzione dei reddito. Intanto, dal punto di vista numerico, gl'indici α e δ sono legati teoricamente dalla relazione involutoria αδ − α −δ che può dedursi facilmente dalle equazioni (2) e (7). Difatti dalla (2) si deduce che il numero dei redditieri con reddito superiore a x è y = Ak-α, e il numero totale dei redditieri, essendo k il minimo imponibile, è Y - Ak-′i. Dalla stessa (2) si trae pure che il reddito complessivo spettante ai redditieri con reddito superinre a x è
cosicché l'ammontare totale del reddito sarà
Dividendo membro a membro le prime due e le ultime due di queste relazioni si trova:
che è quanto si voleva dimostrare.
S'intende che le distribuzioni di redditi che si presentano effettivamente nella pratica si possono più o meno allontanare da quelle che sono le ipotesi essenziali per il sussistere di questa relazione - 1igorosa validità delle (2) e (7) - e perciò il calcolo di α non esonera dal calcolare direttamente anche δ o viceversa, quando le statistiche si prestino al calcolo dell'una e dell'altra costante. Quella relazione è tuttavia adatta a mettere in evidenza il diverso grado di sensibilità dei due indici α e δ. Difatti i punti doppî dell'involuzione αδ − α − δ = 0 sono le radici dell'equazione ε2 − 2ε = 0 cioè, ε1 = 0 e ε2 = onde l'involuzione stessa fa corrispondere ai valori compresi fra 0 e 2 i valori esterni a questo intervallo, e, in particolare, ai valori di α compresi fra 1 e 2, i valori di compresi fra ∞ e 2. A piccole variazioni di α corrispondono notevoli variazioni di δ; al crescere di α corrisponde il decrescere di δ; e per quanto la relazione stessa nella pratica si verifichi soltanto approssimativamente, e in generale con approssimazione tanto maggiore quanto più ampia sia la collettività considerata, tuttavia questo diverso grado di variabilità di α e δ sempre sussiste. L'indice δ, come indice della concentrazione dei redditi, è dunque più sensibile di quanto non lo sia α come indice di distribuzione; entrambi possono dare idea della disuguaglianza della distribuzione dei redditi, ma quando vengano impiegati nella comparazione di diverse distribuzioni non si dovrà riguardare la poca variabilità eventuale di α come denotante il fatto che anche le distribuzioni dei redditi siano di poco variate. Oltre la maggiore sensibilità, altra ragione di preferenza per l'indice δ, quando si voglia avere idea della disuguaglianza della distribuzione, può trovarsi nel fatto che tale indice ha un signifieato statistico meglio determinato di α, tanto è vero che le lievi variazioni di questo erano state erroneamente interpretate come significative di molta stabilità nelle distribuzioni dei redditi. Notiamo, infine, che anche tra gl'indici R e δ sussiste, sotto certe ipotesi a cui i casi effettivi più o meno si approssimano, una semplice relazione, e cioè R (δ + 1) = δ − 1, a proposito della quale va osservato, come già si fece per α e δ, che praticamente il calcolo di R non esonererà da quello di δ. Ricerche comparative sulla bontà delle approssimazioni conseguite mediante l'impiego degl'indici α e δ, vennero eseguite dal Savorgnan, con la conclusione che l'indice δ è più significativo e più sensibile dell'indice α. Dallo stesso autore riportiamo, per un opportuno confronto, i seguenti valori degl'indici α, δ e R relativamente alla distribuzione dei redditi globali accertati a scopo fiscale nelle diverse provincie e nell'Austria intera per l'anno 1910.
La distribuzione dei patrimonî puo essere studiata con strumenti analoghi, se non sempre uguali, a quelli impiegati per la distribuzione dei redditi. Volendo adoperare come formula interpolatrice per la curva di concentrazione dei patrimonî la (6) y = ξδ: k, già considerata per i redditi (intendendo, ora, che y sia il numero dei patrimonî di valore superiore a x, e ξ l'ammontare totale di questi patrimonî) si trova che essa non si presta a descrivere quella curva altrettanto bene che per i redditi. L'indice δ conserva la proprietà di crescere quando aumenta la disuguaglianza nella distribuzione dei patrimonî, e, come es., si trovano i seguenti valori di δ per i patrimonî censiti nei paesi e tempi sottoindicati:
Un altro indice α di concentrazione per i patrimonî si deduce (Benini) da un'equazione della forma (2″) y = Ax -α′logx, essendo y il numero dei patrimonî di valore superiore a x. Ma il mezzo più adatto per lo studio della concentrazione dei patrimonî è costituito dal rapporto di concentrazione R, di cui al § 2, perché esso può calcolarsi qualunque sia la forma della curva di distribuzione del carattere considerato; attraverso la determinazione di R si sono esaminate (Gini) molteplici seriazioni di patrimonî, censiti ed ereditarî, in tempi e luoghi diversi.
Le più importanti conclusioni che, relativamente alla distribuzione della ricchezza, si sono tratte dall'indagare le distribuzioni dei redditi e dei patrimonî, facendo uso dei diversi indici sopra definiti, sono le seguenti: 1. la diffusione della proprietà e la concentrazione della ricchezza fra gli abbienti sono molto variabili da paese a paese; 2. la concentrazione stessa è molto variabile da regione a regione di uno stesso stato, ed è più forte nelle regioni più ricche; 3. circa la dinamica della diffusione e concentrazione della ricchezza, le conclusioni che si possono trarre dai dati sui patrimonî ereditarî sono alquanto incerte, ma i dati di più sicura interpretazione, per quanto meno numerosi, sui patrimonî censiti, accusano quasi dappertutto nei tempi più recenti una diminuzione della diffusione e un aumento della concentrazione della ricchezza; 4. la concentrazione della ricchezza è maggiore nelle città che nelle campagne, e fra le città è maggiore in quelle più grandi, e segnatamente in quelle industriali; 5. la concentrazione e l'ammontare medio dei patrimonî risulta sempre maggiore per i maschi che per le femmine; 6. la concentrazione dei patrimonî risulta più elevata nelle classi di età più avanzate, e varia dall'una all'altra categoria professionale, presentando valori maggiori per quelle categorie nelle quali sia più elevato il patrimonio medio.
Bibl.: V. Pareto, Cours d'économie politique, II, Losanna 1897; M. O. Lorenz, Methods of measuring the concentration of wealth, in Publications of Amer. Stat. Assoc., giugno 1905, n. 70; R. Benini, Principî di statistica metodologica, Torino 1906; C. Bresciani-Turroni, Sull'interpretazione e la comparazione di seriazioni di redditi e di patrimoni, in Giorn. degli econ., 1907; C. Gini, Il diverso accrescimento delle classi sociali e la concentrazione della ricchezza, in Giorn. degli econ., 1909; Indici di concentrazione e di dipendenza, in Biblioteca dell'economista, s. 5ª, XX, 1910; G. Mortara, Note di economia induttiva; sulla distribuzione dei redditi, in Giornale degli econ., 1911; V. Furlan, Neue Literatur zur Einkommensverteilung in Italien, in Jahrbuch für Nationalökonomie und Statistik, s. 3ª, XLII (1911); C. Gini, Variabilità e mutabilità, in Studi economico-giuridici della Regia Università di Cagliari, 1912; E. Porru, La concentrazione della ricchezza nelle diverse regioni d'Italia, in Studî economico-giuridici della R. Università di Cagliari, 1912; F. Savorgnan, La distribuzione dei redditi nelle provincie e nelle grandi città dell'Austria, Trieste 1912; C. Gini, Sulla misura della concentrazione e della variabilità dei caratteri, in Atti del R. ist. ven. di S. L. A., 1913-1914; E. Czuber, Beitrag zur Theorie statistischer Reihen, Vienna 1914; F. Savorgnan, Intorno all'approssimazione di alcuni indici della distribuzione dei redditi, in Atti del R. Ist. ven. di S. L. A., 1914-15; A. De' Stefani, Studio statistico dei ruoli organici, in Atti del R. Ist. ven. di S. L. A., 1914-1915; G. Pietra, Delle relazioni tra gli indici di variabilità, in Atti del R. Istituto ven. di S. L. A., 1915; U. Ricci, L'indice di variabilità e la curva dei redditi, in Giorn. degli econ., 1916; H. Dalton, The measurement of the inequality of incomes, in Economic Journal, 1920; A. De' Stefani, La dinamica patrimoniale nell'odierna econ. capitalistica, Padova 1921; L. Amoroso, Ricerche intorno alla curva dei redditi, in Ann. di matem. pura ed appl., 1925; E. J. Gumbel, Ein Mass der Konzentration bei pekuniären Verteilungen, in Arch. für Sozialwiss. und Sozialpolitik, LVIII (1927); R. D'Addario, La distribuzione dei redditi mobiliari in Terra di Bari, in Archivio scientifico, III, Bari 1928-29.