DITIRAMBO (διϑύραμβος, dithyrambus)
È una delle principali forme della poesia corale greca. La non ben chiara etimologia della parola ebbe da parte degli antichi spiegazioni abbastanza curiose alludenti al doppio parto di Dioniso, il parto immaturo della madre Semele e il maturo di Zeus; poiché in origine il dirambo fu il canto corale dionisiaco per eccellenza. Tra le spiegazioni moderne la più probabile è quella proposta dal Wilamowitz, secondo cui la parola significa "un divino canto trionfale".
La patria del ditirambo è tutt'altro che sicura. Nell'età classica lo vediamo fiorire a Corinto, a Sicione, a Tebe, a Nasso, ad Atene: in quasi tutti pertanto i principali centri ove si svolse la poesia greca. Le prime fra le località nominate si disputavano la gloria di averlo veduto nascere, e uno degli scolî pindarici racconta che il grande poeta tebano avrebbe a volta a volta, secondo la città della quale era ospite, sostenuto i diritti di tutte. Ma, qualunque sia stato il paese della Grecia che per primo abbia fatto eseguire ditirambi, sembra che la vera origine di quel canto corale sia da ricercare fuori della Grecia, o nella Tracia, che tanto contribuì alla diffuione del culto di Dioniso, o nella Frigia, a cui richiama l'indole appassionata del ditirambo e più di un particolare nell'esecuzione di esso, come l'uso del flauto e dei toni frigio e ipofrigio.
La prima menzione del ditirambo è in Archiloco: la tradizione ne attribuiva l'invenzione ad Arione, il quale gli avrà semplicemente dato, posto ch'egli non sia una figura del tutto mitica, politura letteraria. La materia del ditirambo venne da principio fornita, come dicevamo, dalle drammatiche vicende della vita di Dioniso. Ma ben presto vi introdussero altri soggetti a Dioniso del tutto estranei: Simonide compose un ditirambo dal titolo Europa e un altro dal titolo Memnone; con Simonide dunque l'alterazione è già avvenuta. E all'epoca in cui la tragedia nasce dal ditirambo (col distaccarsi del corifeo dalla massa e col dialogizzare di lui col coro: cfr. il Teseo di Bacchilide) i conservatori possono dire con ragione che in esso non v'è più nulla che si riferisca a Dioniso.
I ditirambi si eseguirono con solennità press'a poco pari a quella delle rappresentazioni drammatiche. Nell'Attica sí eseguivano alle Grandi Dionisie, alle Dionisie rurali, alle Panatenee, alle Targelie, alle Lenee. In antico al vincitore si donava un bue, al secondo un'anfora, al terzo un capro; dal sec. V in poi il premio fu abitualmente un tripode. Come per le tragedie così pel ditirambo fu in uso il sistema delle coregie (v.): il corego oltre a sostenere le spese della rappresentazione, doveva raccogliere il coro e farlo istruire. Il coro fu dapprima composto di cittadini, ma col tempo la parte musicale venne a prevalere sulla poetica, e perciò si richiese nei coristi un'abilità tecnica assai maggiore, e allora (sec. IV) si ricorse a professionisti, cantanti, sonatori di flauto, danzatori; tanto che il nome del flautista fu, in questa epoca, posto innanzi a quello del poeta. Il coro del ditirambo si disponeva in forma circolare, non rettangolare come il drammatico, onde ebbe l'appellativo di ciclico. Poteva essere composto di uomini o di fanciulli. Talora lo troviamo denominato anche tragico, il che è da intendere con riferimento ai satiri (coreuti coperti di pelli di capro) che in origine composero il coro ditirambico, il quale si modificò in seguito, quando gli argomenti del ditirambo divennero estranei al culto di Dioniso, secondo l'opportunità. Il numero dei coreuti fu da principio di cinquanta e probabilmente durò inalterato sino al 300 a. C. circa; in seguito venne considerevolmente ridotto.
La danza ditirambica, di carattere tumultuoso, ebbe il nome di tirbasia: l'accompagnamento musicale, fatto prima con la cetra, fu ben presto eseguito dal flauto, e quando poi la istrumentazione raggiunse maggiore complessità, dal flauto e dalla cetra riuniti. I metri usati furono da principio anche il tetrametro trocaico e forse l'esametro, ma, specialmente in seguito, quelli più adatti a esprimere violenta commozione, e quindi in particolar modo i dattilo-epitriti e i metri cretici e bacchiaci. Le soluzioni furono nel ditirambo più abbondanti che in ogni altra specie di carmi. Il ditirambo amò per eccellenza parole composte assai arditamente e talora addirittura in modo stravagante. La disposizione dei versi sembra essere stata sino a Melanippide di preferenza quella in triadi: Melanippide abbandonò ogni sorta di raggruppamento. Un'altra modificazione nel ditirambo fu dovuta a Filosseno di Citera (435-380 a. C.), che v'introdusse degli a solo. I modi preferiti dalla poesia ditirambica furono il frigio e l'ipofrigio.
Bibl.: A. Taccone, Melica Greca, Torino 1904, pp. 13-17; id., Bacchilide, Torino 1907, p. 174 segg.; G. Fraccaroli, I lirici greci (Poesia melica), Torino 1913, p. 34 segg. con trad. it. dei frammenti ditirambici conservati; O. Crusius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 1203 segg.; F. Castets, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquités grecques et romaines. II, p. 286 segg.