mobili, dittonghi [prontuario]
Si dicono mobili i dittonghi (➔ dittongo) ie e uo per la possibile alternanza, nell’ambito di una stessa famiglia lessicale o di uno stesso paradigma verbale, di forme con dittongo ie [ˈjɛ] e uo [ˈwɔ] in sillaba tonica e forme con vocale semplice e [e] / [ɛ] e o [o] / [ɔ] in sillaba atona oppure in sillaba tonica chiusa. Come esempio, si considerino i processi di derivazione e alterazione cuò-re → ac-co-rà-re, ruò-ta → ro-tà-ia, uò-mo → o-mì-no, uò-vo → o-vét-to e le voci dei verbi tenere e potere: tu tiè-ni, voi te-né-te, loro tèn-go-no; tu può-i, voi po-té-te, loro pòs-so-no.
Sono interessati dal dittongo mobile verbi come cuocere (io cuocio, io cossi ...), dolere (duole, doleva ...), muovere (tu muovi, tu movesti ...), nuocere (io nuoccio, noi nociamo ...), morire (muore, morì ...), potere (io posso, tu puoi ...), sedere (siede, sedette ...), solere (tu suoli, tu soglia), tenere (io tengo, tu tieni...), venire (viene, verrebbe ...), volere (tu vuoi, tu volessi ...).
Storicamente, il fenomeno del dittongo mobile trova origine nel processo di dittongamento spontaneo in sillaba libera per cui, nel passaggio dal latino all’italiano e fino all’VIII secolo circa, hanno sviluppato i dittonghi ie e uo solamente le vocali toniche ĕ (compresa ĕ < ae) e ŏ in sillaba aperta: hĕri > i[ɛ]ri, saepem > si[ɛ]pe, fŏcum > fu[ɔ]co, vĕnit > vi[ɛ]ne, mŏvet > mu[ɔ]ve.
Il fenomeno del dittongo mobile è soggetto a oscillazioni, sicché non si manifesta con regolarità in tutti i contesti. È accaduto, ad es., che per analogia il dittongo si sia esteso a tutte le forme di un paradigma verbale, come per i verbi allietare, chiedere, mietere, presiedere, suonare, vietare, ecc.; per alcuni verbi avrà influito anche la necessità di differenziarsi da omofoni: nuotare ~ notare, vuotare ~ votare. All’inverso, vi sono anche verbi che hanno optato per il monottongamento delle forme dittongate: levare e negare (anticamente si erano sviluppate le forme io lievo, tu lievi, ecc.; io niego, tu nieghi; io priego, tu prieghi, ecc.; ➔ monottongo).
Tendono a estendere il dittongo i derivati degli aggettivi: ad es., lieto → lietamente, nuovo → nuovissimo (la forma monottongata novissimo è ormai desueta). Il mantenimento del dittongo è poi costante nei composti: per es.: buonafede, fuoristrada, piedistallo (ma c’è stato chi preferiva bongiorno a buongiorno). Nell’ambito di una stessa famiglia lessicale, ad es. di ruota, si potranno avere elementi con dittongo (ruotino, ruotare, costantemente coniugato sulla radice ruot-) ed elementi senza dittongo (arrotare, arrotino, rotaia, rotativo, rotatoria, roteare, ecc.). I primi, in genere, sono i più moderni. Lo stesso vale per le forme del verbo: muovere → movente; suonare → sonante, tuonare → tonante.
L’italiano novecentesco infatti ha progressivamente ridotto l’uso del dittongo mobile, anzitutto nelle forme verbali, dove ha prevalso l’➔analogia (abbiamo suonare, come suono, e non sonare; muovendo, come muovo, è più frequente di movendo), e si sono prodotte differenze di significato (levitare e lievitare). Anche nei derivati, si possono confrontare i più antichi sonata, sonaglio e sonetto, con il più recente suoneria.