DIVARIO TECNOLOGICO
La locuzione "divario tecnologico" cominciò a essere usata dal 1965 dagli uomini politici europei per indicare la disparità fra i notevoli livelli raggiunti dalla perfezione e dalla sofisticazione della scienza applicata e dalla produttività dell'industria negli Stati Uniti, e i livelli molto più modesti della scienza applicata e dell'industria in Europa. Il primo ministro britannico H. Wilson espresse a Strasburgo nel 1966 il timore "di una nuova schiavitù industriale, per la quale gli europei a partire dagli anni Settanta avrebbero fabbricato solo i prodotti convenzionali dell'economia moderna, diventando sempre più dipendenti dal sistema industriale statunitense per i prodotti della tecnologia avanzata". Il distacco fra gli Stati Uniti e l'Europa appariva particolarmente sensibile nel campo dei calcolatori elettronici, dell'elettronica avanzata e dei componenti allo stato solido (transistori), degl'impianti e delle tecniche nucleari, delle ricerche spaziali - particolarmente dopo il fallimento dell'ELDO (European Launcher Development Organisation), l'organizzazione europea per lo sviluppo di un vettore atto a mettere in orbita satelliti scientifici e, naturalmente, nel campo delle innovazioni militari.
L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), in un rapporto del 1965, confermò questi timori, definendo, fra l'altro, la bilancia tecnologica dei pagamenti come differenza fra le somme pagate per acquisire conoscenze tecnico-scientifiche e per compensare lo sfruttamento di brevetti e licenze e le somme ricevute da un paese agli stessi titoli. Per gli Stati Uniti le somme ricevute erano all'epoca otto volte maggiori di quelle pagate, mentre, per es., per Francia e Rep. Fed. di Germania le somme pagate erano tre volte maggiori di quelle ricevute. Un altro aspetto dell'egemonia industriale statunitense veniva indicato nel 1967 da J. J. Servan-Schreiber, nel suo libro Le défi américain, nella crescente penetrazione delle industrie americane in Europa per mezzo della fondazione di società-figlie, dell'acquisizione di società industriali esistenti o dell'entrata in compartecipazione in esse.
Una possibile spiegazione del primato industriale americano è che negli Stati Uniti gl'investimenti in ricerca e sviluppo sono stati molto più alti che in Europa. Prendendo a confronto le otto nazioni europee pìù avanzate (Gran Bretagna, Francia, Rep. Fed. di Germania, Italia, Olanda, Belgio, Norvegia, Svezia), si riscontra che negli anni dal 1959 al 1965 il loro reddito nazionale lordo complessivo fu pari al 65% di quello degli Stati Uniti nello stesso periodo. Però nei sei anni indicati gli Stati Uniti investivano in ricerca e sviluppo il 3,3% del loro reddito nazionale lordo, mentre la cifra corrispondente per le otto nazioni europee era solo dell'1,48%. In termini assoluti, quindi, gl'investimenti europei erano uguali a meno di un terzo di quelli statunitensi. Tale situazione non è mutata negli anni seguenti; nel 1970 solo l'URSS ha investito in ricerca e sviluppo una percentuale (4,2%) del reddito nazionale lordo maggiore di quella degli stati Uniti, sebbene naturalmente in termini assoluti l'investimento sovietico fosse pari a poco più del 40% di quello americano. Nei paesi sottosviluppati la percentuale del prodotto nazionale lordo investita in ricerca e sviluppo raramente supera lo 0,5%. Corrispondentemente ai maggiori investimenti in ricerca e sviluppo anche il numero degl'ingegneri e degli scienziati ivi impiegati è maggiore negli Stati Uniti che in Europa, sebbene, almeno negli anni Sessanta, in misura meno marcata a causa del fatto che i livelli medi dei salari erano maggiori negli Stati Uniti che in Europa. Altro fattore rilevante, che influisce sul livello qualitativo della produzione industriale, è costituito dal sistema educativo. È noto che, per es., gli Stati Uniti (con una popolazione circa 4 volte maggiore dell'Italia) hanno 1370 università, contro 71 in Italia (19 volte di più), nelle quali nel 1973 erano iscritti 8.265.000 studenti, contro 802.000 in Italia (10 volte di più) e dalle quali nello stesso anno si sono diplomate 1.147.000 persone, contro 62.900 in Italia (18 volte di più). Servan-Schreiber (op. cit.) riporta, da D. Chorafas, i seguenti dati sulla percentuale della popolazione, nel 1966, in età fra 20 e 24 anni iscritta a istituti d'istruzione:
Ma un fattore ancora più importante è il livello delle capacità organizzative, gestionali, amministrative, di pianificazione e di controllo, che ovviamente hanno influenza diretta sui livelli qualitativi della tecnologia e dell'industria. R. McNamara, P. Drucker e J. J. Servan-Schreiber hanno sostenuto, dunque, che il d. t. trae origine soprattutto da un divario manageriale. Negli Stati Uniti, infatti, le procedure di pianificazione e di gestione aziendale sono razionalizzate e standardizzate anche nelle aziende minori, in misura raramente uguagliata in Europa. Particolarmente noti sono il PPBS (Planning-Programming-Budgeting System) introdotto da McNamara al dipartimento della Difesa americano e, quindi, esteso alle altre branche del governo statunitense, e il PERT (Program Evaluation and Review Technique) applicato con successo alla pianificazione e alla gestione dei programmi di ricerca e di imprese innovative (la produzione di nuovi sistemi bellici, le imprese spaziali).
Uno dei sintomi, che ha accompagnato il fenomeno del d. t., è stato il così detto drenaggio dei cervelli (brain drain) o emigrazione di specialisti - soprattutto scienziati e ingegneri - dai paesi europei e da quelli meno sviluppati verso gli Stati Uniti. Tale fenomeno, però, si è andato attenuando negli ultimi anni anche in conseguenza della recessione economica e degli aumentati livelli di disoccupazione, anche di specialisti, negli Stati Uniti, oltre che dei notevoli tagli apportati dall'esecutivo ai bilanci della NASA. Lo dimostra la seguente tabella (desunta da dati della United States National Science Foundation).
Una visione abbastanza diversa della realtà si ottiene, se si osserva che la netta maggioranza degl'investimenti statunitensi in ricerca e sviluppo è stata fatta nei campi nucleare, spaziale e bellico. Se prescindiamo da essi e consideriamo, di nuovo per il periodo 1959-65, i soli investimenti in ricerca e sviluppo volti a scopi civili e industriali (con esclusione dei campi citati), troviamo che gli Stati Uniti hanno investito nel periodo considerato una media annua di 7,7 miliardi di dollari, superiore solo del 26% alla cifra corrispondente di 6,1 miliardi di dollari relativa agli otto paesi europei, precedentemente elencati. Si osserva anche che nel 1965 il numero totale di scienziati e ingegneri attivi in ricerca e sviluppo per scopi civili e industriali (di nuovo prescindendo dai campi nucleare, spaziale e bellico) era di 232.000 negli Stati Uniti, mentre era complessivamente di 478.000, se agli otto paesi europei già citati si aggiunge il Giappone. Ciò indicherebbe che, se il d. t. esiste, esso sta cambiando di segno e si sta rovesciando a sfavore degli Stati Uniti.
Indicazioni in accordo con quest'ultimo punto di vista si possono ottenere dalla considerazione di altri dati statistici. Per es., dal 1967 al 1974 le esportazioni statunitensi di prodotti finiti sono cresciute del 303%, mentre nello stesso periodo le importazioni di prodotti finiti sono cresciute del 369% (dati del Bureau of the Census degli Stati Uniti). Indicativa è al riguardo la tabella seguente (desunta dalla stessa fonte).
Si vede chiaramente che nei 14 anni considerati le importazioni negli Stati Uniti sono cresciute molto più rapidamente delle esportazioni. Per le forniture industriali, mentre le importazioni uguagliavano le esportazioni nel 1960, esse le superavano del 75% nel 1974. Le importazioni negli Stati Uniti di macchine e macchinari nel 1960 erano pari al 20% delle esportazioni, mentre nel 1974 erano arrivate al 72% delle esportazioni. Si nota, quindi, una tendenza degli Stati Uniti verso una maggiore dipendenza dall'estero proprio nel settore dei prodotti a più alto contenuto tecnologico, mentre è noto che alla metà degli anni Settanta una delle voci più importanti delle esportazioni statunitensi è costituita dai prodotti agricoli, sia a causa delle carenze ormai croniche in questo settore in Europa orientale e nell'Asia del sud, sia a causa degli alti livelli produttivi raggiunti dall'agricoltura statunitense altamente meccanizzata. Su tale situazione influisce di nuovo, ovviamente, il livello qualitativo e quantitativo raggiunto dall'industria, specialmente chimica.
Si è già notata la circostanza che uno degli effetti del d. t., o, più propriamente, della disparità d'iniziativa e di capacità d'investimento industriale, è costituito dal volume degl'investimenti fatti all'estero. Secondo il Bureau of Economic Analysis degli Stati Uniti, il volume degl'investimenti diretti di industrie americane in altri paesi sviluppati era di 19 miliardi di dollari nel 1960 e di 64 miliardi di dollari nel 1972. Gl'investimenti esteri in industrie americane erano, invece, di 6,9 miliardi di dollari nel 1960 e di 14 miliardi di dollari nel 1972. Appare, quindi, che il bilancio sotto questo aspetto, è di nuovo favorevole agli Stati Uniti, il che confermerebbe l'esistenza di un d. t.-imprenditoriale, segno del primato di quel paese, che tenderebbe a crescere ulteriormente in conseguenza delle recenti, sensibili diminuzioni di produttività in alcuni paesi europei e particolarmente in Gran Bretagna e in Italia.
Il concetto di d. t., in conclusione, non appare definibile in modo scientifico, tecnico od operativo; data la mancanza di criteri universalmente accettati e la moltitudine di parametri che possono essere assunti e interpretati allo scopo di fornirne una quantificazione. Detto concetto appare, quindi, avere un carattere essenzialmente politico, in conformità con la sua origine già citata, e opinabile.
Esiste, invece, un d. t. innegabile e drammatico, che si aggiunge a divari di ogni altro tipo, fra i livelli raggiunti dai paesi sviluppati (Stati Uniti, URSS, Europa, Giappone, ecc.) e i paesi sottosviluppati. Si è già citata la scarsa percentuale del prodotto nazionale lordo, investita da questi ultimi in ricerca e sviluppo. Pur riconoscendo la scarsa adeguatezza dello stesso concetto di prodotto nazionale lordo, vale la pena di confrontare, con J. Tinbergen, il prodotto nazionale lordo pro capite del 10% della popolazione mondiale ai livelli superiori (3700 $/anno nel 1970) con quello del 10% della popolazione mondiale ai livelli più bassi (320 $/anno nel 1970): il loro rapporto è di 11,5:1. Il Tinbergen e altri sostengono ragionevolmente la necessità di abbassare tale rapporto onde conseguire una distribuzione più equa delle risorse mondiali e una maggiore stabilità delle condizioni socio-economiche e politiche della Terra. A tale scopo sarebbe necessario: stabilizzare la popolazione dei paesi avanzati al livello del 1970 (1089 milioni di ab.) e ridurre per quanto possibile l'incremento della popolazione nei paesi in via di sviluppo, onde non superare nel 2010 i 4800 milioni di ab.; raggiungere e mantenere un tasso annuale d'incremento della produzione annuale di alimenti del 3% (detto tasso dal 1956 al 1966 è stato in media del 2,7% e dal 1966 al 1974 è stato circa nullo); limitare gl'inquinamenti; pianificare l'uso delle risorse non rinnovabili e prevederne il riciclaggio e la surrogazione. A tale proposito, v. sviluppo, limiti dello, in questa Appendice. L'equalizzazione del citato divario fra paesi avanzati e paesi sottosviluppati, verso la quale appare necessario almeno tendere, pone problemi formidabili, i quali presentano difficoltà probabilmente superiori di alcuni ordini di grandezza a quelle derivanti dal d. t. fra diversi gruppi di paesi avanzati.
Bibl.: C. Freeman, A. Young, The research and development effort in Western Europe, North America and the Soviet Union, Parigi 1965; J. J. Servan-Schreiber, Le défi américain, ivi 1967; N. Calder, Technopolis, Londra 1969; P. F. Drucker, The age of discontinuity, ivi 1969. In Annuario della Enc. della scienza e della tecnica, Milano 1974, i contributi di: A. King, Scienza e sviluppo delle società: la necessità di una prospettiva globale; R. Kaplinsky, Tecnologia per lo sviluppo: l'offerta dei paesi sviluppati, la richiesta dei paesi sottosviluppati e alcuni problemi significativi; G. Rufo, Azione bilaterale e multilaterale: una valutazione critica; S. Okita, S. Tamura, La doppia esperienza del Giappone: da acquirente a offerente; P. M. Henry, La scienza e la tecnologia al servizio di un nuovo equilibrio globale fra le zone temperate e le zone tropicali. Inoltre: J. Tinbergen, Assigning world priorities: theory and application, in Environment and society in transition: world priorities, Annals of the New York Academy of sciences, CCLXI (1975).