divellere
Latinismo, che ricorre in due luoghi della Commedia, in violenta accezione metaforica. In If XXXIV 100 Prima ch'io de l'abisso mi divella, e in Pd XXVII 98 la virtù che lo sguardo m'indulse, / del bel nido di Leda mi divelse, il verbo esprime un moto di allontanamento: ma mentre nel primo caso tale moto è legato chiaramente a un'idea di sforzo (il poeta dovrà staccarsi a fatica dal fondo dell'abisso infernale, contrastando fisicamente con la forza di gravità), nel secondo caso, più che lo sforzo, è significata la rapidità di quell'allontanamento, effetto della potenza sovrumana dello sguardo di Beatrice, e in tal senso il divelse va integrato con l'impulse del verso successivo: e nel ciel velocissimo m'impulse (" mi lanciò "). Il verbo è attestato per es. nella Cronica fiorentina del sec. XIII (Schiaffini, Testi 132 " si levò sì grandissimo vento, che non lassciò padilglone né trabaccha che della terra non divellesse "). V. anche DISVELLERE.