lavoro, divisione del
Organizzazione della produzione e, in via estensiva, organizzazione sociale di una comunità.
Il primo studio dell’organizzazione della produzione appartiene alla tradizione inglese e risale ad A. Smith, con la sua dettagliata disamina della divisione del l. dell’industria degli spilli. La manifattura degli spilli era già stata analizzata in dettaglio sia da E. Chamber, nella sua Cyclopaedia, sia da D. Diderot e J.-B. D’Alembert nella Encyclopédie, e anche in precedenza erano state sviluppate analisi della complessità organizzativa di una comunità, richiamando gli esempi delle api e dell’alveare, o dell’orologio e dei suoi ingranaggi.
Smith legava l’organizzazione della produzione all’estensione del mercato e, più in generale, vedeva questa relazione produzione-mercato alla base dello sviluppo di un Paese, individuando ‘la ricchezza delle nazioni’ (An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, 1776) proprio nella capacità di strutturare le competenze dei singoli in un progetto collettivo. Lo sviluppo, per Smith, è strettamente connesso all’introduzione nella produzione manifatturiera di principi di specializzazione delle funzioni e di complementarità fra queste, in modo da permettere l’evoluzione delle potenzialità del lavoro. In Smith, si statuisce che la divisione del l., cioè l’organizzazione della produzione, deve essere limitata solo dalla estensione del mercato, e va liberata, quindi, dalla quantità di vincoli feudali e corporativi, che costringevano le attività produttive nell’ancien régime. Nell’elaborazione smithiana, l’elemento più significativo è connesso con l’aumento dei rendimenti, derivante dall’organizzazione del l., secondo il modello della manifattura: l’efficienza discende dalla relazione fra specializzazione e complementarità, cioè dalla capacità, propria dell’imprenditore, di spingere i singoli lavoratori verso una specializzazione operativa, in cui esprimere le proprie competenze, ma nel contempo di generare processi di complementarità fra questi, cosicché le diverse specializzazioni fra loro congiunte permettano di determinare un flusso continuo di produzione, riducendone i costi all’aumentare delle dimensioni complessive.
Il tema venne progressivamente ridotto nella sua centralità nell’analisi economica dove, con N.W. Senior e J.S. Mill, il fenomeno delle economie di scala (➔ scala, economie di) fu riportato ad analisi tecnica connessa con l’uso delle macchine. A. Marshall in Economics of industry (1879) introdusse, invece, il concetto di una divisione del l. non nell’ambito di un impianto o di un’impresa, ma di un contesto territoriale – il distretto industriale – in cui diverse aziende attivano congiuntamente un processo di specializzazione individuale e di reciproca complementarità. Questa intensa indagine di una realtà industriale in movimento fu ripresa, in parte, dallo stesso Marshall in Principles of economics (1890), per poi venire via via dispersa all’interno delle nuove teorie marginaliste, che ridisegnarono le condizioni di offerta in simmetria alla ben più fondata analisi della domanda, annullando, di fatto, l’esame dell’organizzazione della produzione, sviluppatosi in epoca classica.
Lo studio della divisione del l., all’interno sia dell’impresa sia della società, venne in seguito, traslato verso altre discipline aziendalistiche, sociologiche e ingegneristiche, fino a giungere a schiacciarsi su modelli di organizzazione scientifica del lavoro. Questa impostazione, avviata da F. Taylor (1911) con la ricerca della one best way nell’organizzazione del l., portò a una estrema frammentazione delle produzioni, senza nessuna evoluzione delle competenze a esse connesse, che infine si realizzò nella catena di montaggio (➔), introdotta nel 1915 da H. Ford nel suo impianto di automobili.
La pericolosità sociale di una divisione del l. intesa come estrema disumanizzazione, e quindi fonte di alienazione, venne individuata già da K. Marx, e fu all’origine di una vasta letteratura politica e sociale, che vide accaniti sostenitori delle tesi marxiane, come altrettanto appassionati critici, fra cui, per es., L. von Mises. Per estensione, si è giunti a un’analisi della divisione internazionale del l., in cui si delinea una ripartizione di attività produttive complementari fra Paesi diversi, che vede quelli ricchi dominare sui poveri, trattenendo in quelli originari le fasi a più alto valore aggiunto e di governo dell’intero ciclo produttivo.