sillabe, divisione in [prontuario]
I fonemi di ogni ➔ sillaba formano una struttura analizzabile in tre parti: l’attacco, il nucleo e la coda. Il nucleo, costituito sempre da una sola vocale, è l’elemento cruciale, necessario e sufficiente di una sillaba. L’attacco e la coda, costituiti da una o più consonanti, possono rispettivamente precedere e seguire il nucleo. Si possono pertanto avere le seguenti combinazioni (di ogni esempio si prenda in considerazione la prima sillaba, di cui si evidenziano gli elementi con un punto): (a) nucleo (e-tà); (b) attacco / nucleo (r-e.te, tr-e.no); (c) nucleo / coda (e-n.te); (d) attacco / nucleo / coda (Tr-e-n.to).
Siccome il nucleo di una sillaba può essere formato da una sola vocale (solo le interiezioni e gli ideofoni possono formare una sillaba anche quando completamente consonantiche: pss, brrr, zzz; ➔ onomatopee e fonosimbolismo), si può affermare che in italiano il numero delle sillabe di una parola corrisponde al numero delle sue vocali. Invece spesso, dovendo spezzare una parola per andare a capo, la divisione in sillabe può porre problemi in presenza di ➔ iato, ➔ dittongo, ➔ digramma, consonanti doppie (➔ doppie, lettere) e altri gruppi consonantici particolari, soprattutto quando l’ortografia non rispecchia in maniera trasparente la qualità fonetica delle parole.
La divisione in sillabe segue convenzionalmente le seguenti regole.
(a) Una vocale sola all’inizio della parola costituisce sillaba a sé, salvo che non sia una liquida (a.go, ma al-bero).
(b) Le vocali contigue che formano uno iato contano ognuna per una sillaba (po.e.si.a); le vocali contigue che formano invece un dittongo (o un ➔ trittongo) fanno parte di un’unica sillaba, in quanto le semiconsonanti (o ➔ semivocali) i ed u di un dittongo, foneticamente, non rappresentano i suoni vocalici [i] e [u] bensì i suoni consonantici approssimanti [j] e [w] (mie.le, fuo.ri; zai.no, Eu.ro; miei, tuoi).
(c) Non va inoltre separata dalla successiva vocale la i diacritica usata per rendere graficamente un suono palatale (scien.za, rag.gio, a.ran.cia, so.gnia.mo; ma far.ma.ci.a perché la i, essendo tonica, mantiene il suo valore fonetico).
(d) Una consonante sola costituisce sillaba con la vocale che segue (ca.sa, na.ve, ta.vo.lo). Questa regola vale, necessariamente, anche per la x (ta.xi), che rappresenta [ks], e per l’affricata alveolare sorda intervocalica (foneticamente sempre intensa) quando è scritta con una sola z (a.zio.ne [aˈtːsjone]).
(e) Una sequenza di due consonanti, generalmente, si separa (sal.to, ser.pen.te), così come si separano le coppie di grafemi che rappresentano le cosiddette consonanti doppie, ovvero intense (bal.lo, non.no, goc.cia, piog.gia, paz.zo, raz.zo, ot.tet.to, a cui si aggiunge anche il digramma cq: ac.qua, sciac.qua.re).
Si tengono però unite le sequenze formate da s + consonante (co.spi.ra.re, co.sto) e quelle tradizionalmente indicate come muta cum liquida, cioè b, c, d, f, g, p, t, v + l oppure r (ca.bla.re, li.bro, ci.clo, a.cre, qua.dro, ri.fles.so, A.fri.ca, ne.gli.gen.te, re.gres.so, du.pli.ce, a.tle.ta, ne.vro.si), come anche i digrammi ‹gl›, ‹gn› e ‹sc›, usati per rendere i suoni palatali, quasi sempre intensi [ʎː], [ɲː] e [ʃː] (rac.co.gli.to.re, ra.gno, fa.sci.co.lo), e i digrammi ‹ch› e ‹gh› usati per mantenere il valore velare di ‹c› e ‹g› davanti a vocale palatale (ri-chie-de-re, nu-ra-ghe).
(f) Una sequenza di tre (o, raramente, più) consonanti richiederà la separazione della prima consonante (con.trol.lo, im.pres.sio.ne, rim.brot.ta.re, sol.sti.zio) tranne quando questa sia una s (co.stret.to, di.sprez.za.re).
La nota questione della s impura, che foneticamente si unisce con la sillaba precedente e graficamente con quella seguente, trova spiegazione nel criterio generale, consigliato dalle grammatiche, di non fare iniziare una sillaba con un nesso consonantico che la fonetica italiana rifiuterebbe all’inizio di parola, ovvero di ‘agganciare’ a sinistra del nucleo sillabico tutte le consonanti possibili fino a formare un attacco riscontrabile in una qualche parola del repertorio lessicale italiano.
Accade così che parole, ad es., di etimo greco come psicologia, pneumatico e tmesi, rendano possibili le seguenti divisioni sillabiche: bio.psi.a, ca.psu.la, a.pne.a, i.pno.si, ri.tmo, ari.tme.ti.ca, i cui nessi ‹ps›, ‹pn› e ‹tm›, diversamente, dovrebbero essere scissi. Per contro, tungsteno – esempio di analoghe parole, per lo più di ambito scientifico, con sequenze consonantiche eccezionalmente lunghe – si divide in tung.ste.no, e non tun.gsteno perché in italiano non esiste nessuna parola che inizi per ‹gst›.
La divisione in sillabe per andare a capo segue anche consuetudini di carattere estetico: ad es., si evita di andare a capo con la seconda vocale di uno iato (poe.sia e non po.esia) o con la sola ultima sillaba di una parola lunga. È invece sempre più diffusa l’➔elisione alla fine del rigo (l’.isola, dell’.amico) evitando il ripristino della vocale elisa (la.isola, dello.amico), ma le soluzioni più eleganti rimangono, per questi esempi, l’i.sola o l’iso.la e del.l’amico).