DIVISIONE
. Diritto. - È ogni atto o serie di atti, che abbia per effetto l'attribuzione ai comproprietarî o ai coeredi delle quote loro spettanti. La divisione può operare, naturalmente, soltanto su di un patrimonio nel quale esista un rapporto di comproprietà dei varî aventi diritto, e non già sul patrimonio delle società commerciali e in genere delle persone giuridiche, nelle quali i soci e i partecipanti conferiscono le quote spogliandosi della proprietà. La divisione ha, nel Code Napoléon e nelle leggi da esso derivanti (fra cui il codice civile italiano, art. 1034), effetto dichiarativo: ossia la proprietà della singola quota perviene al dividente, come se l'avesse posseduta esclusivamente fin dall'inizio della comunione. I terzi, che abbiano iscritto ipoteca o vantino qualunque diritto verso il singolo condomino potranno far valere le loro pretese soltanto nei limiti della quota devoluta al condomino con cui trattarono (art. 679 cod. civ.). Tecnicamente la finzione dichiarativa, di cui all'art. 1034, la quale ha effetto non solo per i coeredi, ma per tutti i comproprietarî in genere, si configura come un caso d'incompatibilità di negozî giuridici, di cui ogni ordinamento offre una grande quantità di esempî: l'incompatibilità sussiste appunto fra atto di disposizione eccedente la quota e la divisione.
L'effetto dichiarativo della divisione è un prodotto della giurisprudenza francese del diritto comune. I Romani, invece, riguardavano la divisione come un atto traslativo, pur rimanendo in dubbio se configurarla come una vendita o come una permuta, o come un accrescimento della quota ideale spettante al condomino. Nel diritto francese per far evadere dalle ingenti tasse e dai contributi feudali gli atti di divisione si ritenne che essi non fossero di natura traslativa. La giustificazione giuridica si trovò nel considerare che ogni atto del coerede e in genere del condomino era compiuto sub onere divisionis, e quindi, se l'immobile non era assegnato alla sua porzione, la condizione doveva ritenersi venuta meno. In seguito l'effetto dichiarativo fu esteso dalle divisioni in natura a quelle per pubblici incanti, cosicché rimase unico motivo per affermare l'effetto dichiarativo la prevalenza degl'interessi dei condomini su quelli dei terzi. Tuttavia bisogna pur ricordare che tale innovazione non è passata nel codice austriaco e che la legislazione di guerra in tema di trascrizione ha ridotto anche nel nostro ordinamento le conseguenze che dal principio suddetto dovrebbero dedursi.
Divisione amichevole. - La sfiducia con cui il legislatore vede la comunione e quindi il favore con cui facilita la divisione è espressa nell'art. 681 del nostro codice secondo il quale nessuno può essere costretto a rimanere in comunione. Di contro l'art. 683 stabilisce che lo scioglimento della comunione non può esser domandato dai comproprietarî di cose che dividendosi cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate; quest'ultima disposizione è rafforzata dall'art. 994, per il quale, quand'anche la divisione non urti nel divieto dell'art. 683, si deve evitare di smembrare i fondi e di danneggiare la qualità delle coltivazioni.
Le eccezioni al principio di massima di favorire la divisione sono: a) il patto di rimanere in comunione per un tempo determinato non superiore a dieci anni, benché l'autorità giudiziaria possa, per gravi ed urgenti ragioni, ordinare lo scioglimento prima del tempo convenuto (articolo 681, commi 2° e 3°); b) la disposizione, con la quale il testatore proibisce la divisione, quando tutti gli eredi istituiti o alcuni di loro sono minori di età, e finché non sia trascorso un anno dalla maggior età dell'ultimo: l'autorità giudiziaria ha anche in questo caso il potere di sciogliere la comunione prima del tempo convenuto (art. 984, comma 2°); c) il possesso da parte d'uno dei condomini o coeredi, sufficiente ad indurre la prescrizione (art. 985). L'intento, perseguito dal legislatore, di proteggere gl'interessi dei condividenti più deboli, si palesa poi nello speciale regime d'impugnative, dettato in tema di divisione e nella garanzia per evizione. La divisione, oltreché per violenza e per dolo, può esser rescissa quando uno dei coeredi provi di essere stato leso oltre il quarto (art. 1038, comma 2°); disposizione, che è rinvigorita dal susseguente art. 1039, secondo il quale possono esser rescissi tutti gli atti, che abbiano per effetto la divisione, ancorché siano qualificati come vendita, permuta, transazione, ecc. È questo uno degli articoli in cui si prende in considerazione non soltanto la causa dell'atto giuridico, ma anche e precipuamente lo scopo indiretto che le parti possono essersi proposto, ossia di fare cessare lo stato di comunione. La disposizione legislativa appare provvida, quando si consideri che senza di essa sarebbe possibile, stipulando una transazione, defraudare alcuni condividenti a vantaggio degli altri. La diminuita quota di lesione in confronto di quella stabilita per gl'immobili (art. 1529), e la non necessità di denunciare fatti bastantemente verosimili e gravi per far presumere la lesione (art. 1532), dimostrano come nel diritto italiano la base della divisione sia l'uguaglianza, o meglio, l'uguale determinazione delle quote spettanti.
L'altro effetto già menzionato della divisione è la garanzia vicendevole per le molestie ed evizioni procedenti da causa anteriore alla divisione, sempreché la qualità dell'evizione sofferta non sia stata eccettuata con una clausola particolare ed espressa nell'atto di divisione, o se il comproprietario la soffra per propria colpa (art. 1035).
Oltre al caso già ricordato dell'art. 1039, il legislatore si allontana in tema di divisione dal regime comunemente seguito, nel garantire l'insolvenza del condividente debitore, precedente alla divisione, per i cinque anni successivi. Come si è già indicato, il decreto luogotenenziale 9 novembre 1916, n. 1525 all. H., art. 1 (trasfuso poi nel testo unico sulle tasse ipotecarie, approvato con decreto luogotenenziale 6 gennaio 1918, n. 135) ha dichiarato soggetti a trascrizione gli atti di divisione di beni immobili; permane però per essi, come per tutti gli atti, per i quali l'obbligo di trascrizione sussiste in forza delle leggi fiscali, il dubbio se la trascrizione comporti gli effetti di cui all'art. 1942 cod. civ., oppure la semplice - seppur grave - multa del sestuplo della tassa stessa. Se si ammette la prima ipotesi, l'effetto dichiarativo-retroattivo della divisione viene meno, di fronte agli atti di disposizione del condomino regolarmente trascritti. Quindi, poiché la legge speciale deve esser armonizzata con i principî generali del codice, deve darsi la preferenza alla seconda opinione; seguendo in ciò una tendenza verificatasi in dottrina di non riconoscere illico et immediate gli effetti di cui all'art. 1942 a tutti gli atti elencati dalla legge speciale, ma soltanto a quelli, per i quali tale riconoscimento non implica il sovvertimento dei principî generali.
Divisione giudiziaria. - Si addiviene ad essa, quando i condomini o coeredi non riescono ad accordarsi. È regolata dagli articoli 986-1010 cod. civ. e dagli articoli 882-895 cod. proc. civ. e deriva dalle romane actio communi dividundo e familiae herciscundae. Se l'asse dividendo non supera le 5000 lire, l'istanza si propone dinnanzi al pretore; se è superiore, dinnanzi al tribunale. Il procedimento passa per tre stadî: a) accertamento e liquidazione dell'asse ereditario. L'accertamento si compie per mezzo di periti, il cui parere non vincola peraltro, a termini dell'art. 270 cod. proc. civ., il giudice. Se gl'immobili facenti parte dell'asse sono comodamente (con questo avverbio è lasciata un'ampia discrezionalità al giudice di conguagliare le eventuali disuguaglianze con somma di danaro) divisibili, la prima fase della divisione è finita e si può procedere alla formazione dei lotti; in caso contrario, si procede alla vendita per pubblici incanti rinviando i condomini o coeredi dinnanzi al tribunale. Per i mobili, in caso d'impossibilità di divisione, si seguono per la vendita le norme per l'espropriazione, dettate negli articoli 623-658 cod. proc. civ.
b) Formazione dei lotti. - Il criterio, a cui debbono ispirarsi il coerede o condomino o la persona incaricata o il perito (art. 996 cod. civ.), è che entri possibilmente in ciascuna quota la medesima quantità di mobili, immobili, diritti o crediti di eguale natura o valore, e che i fondi non siano smembrati danneggiando la qualità delle coltivazioni.
c) Assegnazione di lotti. - Se contro la formazione dei lotti non si sporga reclamo da alcuno dei condomini, le quote vengono estratte a sorte; se però esse non siano eguali, è in potere dell'autorità giudiziaria il decidere se si debba procedere per estrazione o per attribuzione in tutto o in parte. Compiuta la divisione, si rimettono a ognuno dei condividenti i documenti, riguardanti le quote loro assegnate; mentre í documenti riguardanti l'intero asse, sono consegnati a persona scelta di comune accordo (art. 999 cod. civ.).
Divisione degli ascendenti. - Ha per scopo di evitare eventuali liti fra i coeredi, attribuendo in vita del de cuius per mezzo di donazioni, o in sua morte per mezzo di testamento, beni determinati costituenti l'asse; lo scopo non sarebbe raggiunto e non sussisterebbe quindi l'atto, se gli ascendenti (art. 1044 cod. civ.) assegnassero soltanto quote ideali.
Date le forme, in cui si esplica l'istituto, si applicano a volta a volta le regole riguardanti la donazione (necessità di accettazione, art. 1057) e il testamento (possibilità di revoca). La divisione può avere per oggetto o tutta l'eredità (compresa quindi anche la legittima) o parte di essa. Se la divisione è fatta sotto forma di donazione, può esser impugnata per lesione oltre il quarto; tale impugnativa non è invece ammessa se la forma prescelta è il testamento. Qualunque forma si assuma, la divisione è interamente nulla, se non sono in essa compresi tutti i figli che saranno chiamati alla successione e i discendenti dei figli premorti (articolo 1047); e può esser impugnata da colui, al quale non sia assegnata la quota legittima (art. 1048).
Recesso del partecipante alla comunione del pascolo (art. 682 cod. civ.). - E istituto affine alla divisione, e si applica quando non sussistendo una vera e propria servitù di pascolo, il partecipante vuole recedere in tutto o in parte dalla comunione, perdendo il diritto di pascolo nell'altrui fondo in proporzione del terreno che ha sottratto all'uso comune. Esso si effettua con denuncia notificata all'amministrazione comunale un anno prima e pubblicata nel luogo degli affissi del comune. In caso di controversia decide il tribunale, il quale può negare il recesso per un grave ed evidente motivo di utilità generale del comune e in ogni modo ne deve regolare gli effetti, qualora lo conceda.
Bibl.: C. F. Gabba, Intorno alla natura giuridica della divisione, in Nuove questioni di diritto civile, II, Torino 1906; N. Coviello, Della trascrizione, I, 2ª ed., Napoli-Torino 1914, nn. 126-135; D. Carabellese, Divisione ereditaria, in Enciclopedia giuridica italiana, XXI; M. Vita-Levi, Trattato della comunione dei beni, Torino 1884, II, p. 234 segg.; R. Luzzatto, La comproprietà nel Diritto italiano, Torino 1908, p. 137 segg.; V. Polacco, Della divisione operata da ascendenti fra discendenti, Verona 1884; E. Albertario, Lo svolgimento storico dell'actio communi dividundo, in rapporto alla legittimazione processuale, Pavia 1916; oltre ai singoli paragrafi nei trattati e manuali, fra cui: V. Polacco, Delle successioni, Roma 1929, parte 2ª, pp. 281-346; B. Windscheid, Diritto delle Pandette,Torino 1930, I, parag. 169 a) e II, parag. 608-A; R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, Messina 1929, 5ª ed., I, par. 51 e II, par. 132; E. Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile, 4ª ed., Firenze 1903, III, p. 435; C. Zachariae, Manuale del diritto civile francese (trad. Barassi), Milano 1907-1909, I, par. 181-182; F. Glück, Commentario alle Pandette, Milano 1888-1907, X; Aubry Rau, Cours de droit civil français, Parigi 1897, II, par. 221-222.