divorare
Con valore proprio è adoperato in Rime LXXXIII 33 Qual non dirà fallenza / divorar cibo, dove significa " mangiare con ingordigia, oltre misura, senza freno alcuno "; e quindi, in Pd XXVII 131 Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, / che poi divora, con la lingua sciolta, " senza tenere conto delle prescrizioni ecclesiastiche ". Il verbo indica perciò l'azione viziosa dei golosi, ai quali è trasferito per similitudine dal cane, come notò già Benvenuto (" Et hic nota, lector, quod comparatio est optima canis ad gulosum "), nel commento a If VI 30 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, / e si racqueta poi che 'l pasto morde, / ché solo a divorarlo intende e pugna.
Nel Fiore, per estensione, significa " dilacerare ", " far morire ", e con similitudine tratta dal lupo che divora le pecore (XCVII 4 credete voi, perché monton paresse, / che de le pecore e' non divorasse?), indica in senso figurato (come si ricava dal v. 11 tutto vad'io le genti divorando) l'azione propria dell'ipocrita, che con il lupo viene identificato, in CXXIII 8 ma egli è dentro lupo per natura, / che divora la gente; figurato anche in If XXXI 142 Antëo... / al fondo che divora / Lucifero con Giuda, ci sposò: vale " ingoia ", " inghiotte " e, per estensione, " tiene in sé e tormenta ".