Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Django Reinhardt, chitarrista zigano attivo tra gli anni Trenta e i primi anni Cinquanta, è stato uno dei maggiori solisti della storia del jazz. Emerso dalla cultura zigana di Parigi, Reinhardt con il suo partner, il violinista Stephane Grappelli, ha guidato uno dei gruppi di jazz più popolari tra le due guerre, imponendosi come virtuoso dallo stile unico e originale. La singolarità, l’alto esito artistico e l’influenza ancora attuale della musica di Reinhardt e Grappelli hanno sollevato la questione problematica dell’identità del jazz europeo quale musica distinta per stile e carattere dal jazz americano.
Reinhardt, Grappelli e la formazione del Quintette de Hot Club de France
Django Reinhardt (1910-1953) è stato non solo il più importante jazzista nato e vissuto in Europa, ma anche uno degli artisti più influenti della cultura gitana. Nato il 23 gennaio 1910 in una comunità nomade a Liberchies, in Belgio, figlio di un pianista e violinista itinerante passa la sua infanzia in un accampamento nei dintorni di Parigi. Dotato di un orecchio e una memoria musicali fuori del comune, muove i primi passi professionali a dodici anni suonando valzer zigani e bal musette con la chitarra-banjo. A diciotto anni rimane ustionato nell’incendio della sua roulotte, perdendo anche l’uso del mignolo e dell’anulare della mano sinistra. Completamente analfabeta, assorbe la ricca tradizione musicale gitana dell’area parigina – con le sue ramificazioni e scambi tra musica colta e popolare, tra città e campagna – nonché le danze in voga del momento come il valzer e il bal musette. A questa miscela si aggiunge il jazz: praticato fin dai primi anni Trenta, diviene presto il suo stile principale, maturato al fianco dei migliori musicisti francesi del momento come Jean Sablon, André Ekyan, Alix Combelle e il violinista Stephane Grappelli, quest’ultimo destinato a diventare il suo partner ideale.
Grazie anche al sostegno degli appassionati parigini legati all’Hot Club de France, che ne colgono le grandi doti di improvvisatore, Reinhardt ha sempre più occasioni per fare conoscere la sua fantasia e il suo stile originale. In quel periodo frequenta pure l’orchestra del bassista Louis Vola – che già lo ha aiutato a muovere i primi passi nel jazz – per improvvisare liberamente con il chitarrista Roger Chaput e Grappelli. Con l’aggiunta di un terzo chitarrista, il fratello Jospeh Reinhardt, il gruppo con Django, Grappelli, Caput e Vola si costituisce nel 1934 come Quintette de Hot Club de France, nome derivato dall’associazione di critici e appassionati a cui è legato. Già negli anni Venti il sodalizio tra il violinista Joe Venuti e il chitarrista Eddie Lang ha proiettato sulla scena del jazz americano una sonorità rurale e da ballo, caricandola di acrobazie moderniste, urbane e in qualche misura futuriste. Nonostante questo precedente, un ensemble con violino, tre chitarre (di cui una sola solista) e contrabbasso suona del tutto nuovo nel jazz: esso deriva da una tradizione, quella zigana, più urbana che contadina, rinnovata in chiave jazzistica.
Il quintetto, che diviene il gruppo europeo di jazz più popolare tra le due guerre, ha effettivamente un suono unico. Stephane Grappelli e Django Reinhardt ne sono i solisti principali e complementari: pur nella diversità di stili condividono un’ispirazione improvvisativa inesauribile, un gusto per l’invenzione lucida e spericolata, animata da una tensione competitiva perfettamente integrata negli equilibri del gruppo. Il loro fraseggio attraversa i registri modulandoli attraverso una vasta gamma dinamica; il gioco degli abbellimenti è rigoglioso, i vibrati e glissando contribuiscono a generare lo swing più trascinante e vario che il jazz europeo abbia espresso. In particolare lo strumento di Reinhardt esibisce una qualità “vocale” impressionante: attraverso l’attacco e il legato ogni nota acquista un’incisività inedita, esaltata da un vibrato e un portamento palpitanti. Le frasi si proiettano su ampie arcate frammentate nei ritmi ma sostenute da una lucida architettura formale. Nel disegno solistico di Reinhardt acquistano particolare rilievo gli accordi percussivi, energici che spezzano il fraseggio a note singole, cui gli occasionali tremoli “a mandolino” imprimono vertiginose fughe in avanti. A causa della menomazione della mano sinistra, tutte queste soluzioni sono ottenute grazie a una tecnica non ortodossa, del tutto personale, sviluppata attraverso un felice processo intuitivo. L’approccio di Stephane Grappelli, a sua volta anche buon pianista, è altrettanto spregiudicato. Il fraseggio è acrobatico, ritmicamente più continuo, l’invenzione melodica più astratta, meno lirica, l’articolazione delle note più regolare. Non a caso nelle ballad – di regola prese a tempo di andante swing, di rado più lentamente – Grappelli si mantiene espressivamente più asciutto, di contro al romanticismo debordante di Reinhardt.
Le due chitarre di Joseph Reinhardt e Roger Chaput e il contrabbasso di Louis Vola costituiscono l’ideale tappeto timbrico dei due virtuosi: gli accordi perfettamente sincronizzati e il basso generano una trama sonora potente, compatta, ricca di armonici che abbracciano e arricchiscono i due solisti. Il trio ha un impatto ritmico potente, dallo swing nitido ed elastico, di cui Reinhardt e Grappelli appaiono come un’emanazione solistica.
Il repertorio del gruppo si basa essenzialmente su canzoni americane, occasione di improvvisazioni spesso chiuse da passaggi arrangiati. Reinhardt e Grappelli incidono anche con grandi ospiti americani come Eddie South e Coleman Hawkins, dimostrando di essere all’altezza dei maggiori solisti neri. Non mancano le composizioni originali: su questo terreno Reinhardt, a volte in collaborazione con Grappelli, ha lasciato pagine memorabili, entrate nel repertorio del jazz. In particolare nelle ballad Nuages, Nocturne, Manoir de mes reves, Reinhardt manifesta una sensibilità melodico-armonica evocativa, sospesa, vagamente impressionista, di grande suggestione atmosferica. In Appel direct e nel singolare Bolero de Django utilizza i modi al posto del consueto giro armonico, anticipando una prassi divenuta usuale nel jazz quasi vent’anni dopo.
Le strade si dividono
Durante la seconda guerra mondiale Grappelli si trasferisce in Inghilterra e il quintetto si disgrega; Reinhardt suona con varie formazioni e nel 1946 ingaggia il clarinettista Hubert Rostaing; poco dopo passa alla chitarra elettrica. Nello stesso anno fa un tour negli Stati Uniti sostenuto da Duke Ellington che ottiene un grande successo. Tornato in Francia, si rimette al lavoro con il nuovo quintetto, comprendente clarinetto, una sola chitarra d’accompagnamento, basso e batteria. La musica di Reinhardt, pur rimanendo di altissimo livello, si sposta in parte verso il più moderno be-bop. L’adozione della chitarra elettrica non comporta sostanziali mutamenti di stile, ma il suono meno flessibile del nuovo strumento priva il fraseggio di qualcuna delle nuances caratteristiche. In compenso la sua produzione compositiva si arricchisce di ulteriori perle. Reinhardt continua a suonare con vari gruppi a suo nome, inclusa una formazione con Grappelli e musicisti italiani che registra a Roma tra il 1949 e il 1950. Muore a Fontainebleau il 16 maggio 1953. Grappelli, che è nato a Parigi nel 1908, gli sopravviverà con una carriera brillantissima terminata nel 1997.
Gli astri di Django Reinhardt e di Stephane Grappelli hanno posto agli storici del jazz due questioni fondamentali. Una concerne la possibilità che in altri Paesi al di fuori degli Stati Uniti possano emergere personalità geniali in una musica squisitamente americana come il jazz. La risposta è ovviamente positiva: le cause sono complesse e vanno cercate in certi tratti universali del linguaggio jazz, che toccano gli equilibri tra ritmo e corpo, progettazione ed estemporaneità, abbandono istintuale e controllo creativo. Tutti aspetti che appartengono anche alla cultura zigana e che sono riconducibili a moduli espressivi arcaici di origine africana. L’altro tema cruciale tocca l’identità del jazz in Europa, ovvero se esso non sia altro che jazz americano suonato da europei o se esista un jazz europeo distinto per stile e carattere da quello americano. In effetti la musica di Reinhardt e Grappelli è jazz europeo, anzi è la prima grande manifestazione di una musica europea fondata sul jazz americano, che nasce come espressione di sintesi e sovrapposizioni, in cui agiscono spinte stilistiche e culturali ora convergenti ora divergenti.
Reinhardt sarà assunto come modello irraggiungibile di originalità ancora fino agli anni Sessanta, quando la questione dell’identità del jazz europeo sarà riproposta con forza in una nuova prospettiva. Oggi l’eredità di Reinhardt, pur continuando ad alimentare le nuove generazioni di chitarristi, trascende il jazz e alimenta un fortunato e vitale revival di musica manouche che, partito dalla Francia, ha assunto proporzioni europee.