dogmatismo
Atteggiamento del pensiero rispetto alla verità analogo a quello del credente rispetto al dogma: l’accettazione di un principio o di una proposizione è determinata dal riconoscimento di un’autorità divina o umana e non dalla dimostrazione del suo fondamento razionale. Il d. si contrappone in tal modo allo spirito critico e al riconoscimento del valore della discussione razionale.
L’uso filosofico del termine dogmatico risale agli scettici, i quali opponevano i filosofi «dogmatici» (da δόγμα «decisione», «decreto»), che esprimevano opinioni ben definite su ogni argomento, ai filosofi «scettici» (da σκέψις «indagine»), che ritenevano di non possedere alcuna certezza e quindi sospendevano il giudizio (ἐποχή «sospensione»). Anche Platone contrappose il termine dogma, inteso come opinione o credenza, al termine epochè, inteso come rinuncia a definire un’opinione in un senso o nell’altro. In ambito latino, con Cicerone e Seneca, il termine dogma – nel suo significato di ‘decisione’, ‘giudizio’ – passò a indicare le principali tesi delle varie scuole filosofiche. In questa accezione il termine passò in ambito cristiano, dove venne usato – a partire dal 2°-3° sec. – per indicare le decisioni prese dai concili e dalle autorità ecclesiastiche in materia di fede. Nell’ambito della dottrina cattolica il dogma indica le verità contenute nei testi sacri e di cui la Chiesa dà la definizione: esso presuppone la rivelazione e il magistero della Chiesa e va quindi creduto fide divina et catholica. A tale concezione la Riforma opporrà il principio secondo cui unico fondamento dogmatico dotato di validità, per il cristiano, è la Sacra Scrittura (sola Scriptura).
Con Kant il termine assume un significato specifico: per il filosofo tedesco il d. consiste nella convinzione di poter progredire nella metafisica senza aver prima individuato quali siano gli ambiti e i limiti entro i quali la ragione è in grado di produrre un sapere valido. Tale atteggiamento di acritica fiducia nella ragione era confermato, secondo Kant, dal ‘d. comune’, consistente nel «ragionare alla leggera di cose di cui non si comprende nulla e di cui nessuno al mondo intenderà mai nulla» (Critica della ragion pura, prefaz. alla 2a ed.). Con Fichte ed Hegel il d. assume nuovi significati: per Fichte esso coincide con l’atteggiamento gnoseologico del realismo, secondo il quale la rappresentazione è prodotta dal mondo esterno e non dall’io, mentre per Hegel consiste nell’incapacità di cogliere la struttura dialettica del reale: dogmatico è pertanto colui il quale, di fronte a due affermazioni opposte, ritiene che se una è vera l’altra sia necessariamente falsa. Il significato antico di d. è stato ripreso da Husserl, secondo il quale esso coincide con l’atteggiamento prefilosofico delle scienze empiriche, che mettono consapevolmente «da parte ogni scetticismo insieme con ogni filosofia della natura e ogni teoria della conoscenza» e assumono «i dati conoscitivi dove effettivamente si trovano» (Idee per una fenomenologia pura, I, par. 26). La ricerca filosofica, invece, deve mettere tra parentesi i giudizi e i pregiudizi propri del senso comune e delle teorie scientifiche: soltanto praticando l’epochè essa potrà attingere la pura essenza dei fenomeni.