DOIDALSAS (Δοιδάλσης, Δάιδαλος, Doedalses)
Scultore greco, di Bitinia, della seconda metà del III sec. a. C., autore della statua di culto di Zeus Stratios a Nicomedia (Eustath., ad Dion. Perieg., 793) e di un'Afrodite sese lavantem (Plin., Nat. hist., xxxvi, 35). L'àgalma di Zeus, commissionatogli probabilmente dal re Nicomede (270-250 a. C.) per il tempio di Zeus a Nicomedia - città fondata nel 264 - è stato riconosciuto dall'Overbeck nella raffigurazione di monete di Bitinia del tempo di Prusia I e dei suoi successori (v. Cat. of Gr. Coins in the British Museum, Pontus, 37-39; Newell, Gr. Portraits Coins, p. 37, tav. III, fig. 1) e dal Laurenzi in una piccola riproduzione in marmo trovata a Camiro nell'isola di Rodi (v. Ann. Sc. Arch. It. di Atene, xxiv-xxvi, 1946-48, p. 169, f. 2). Zeus stante, in un ritmo ascensionale di straordinario vigore, aveva lo scettro nella sinistra e una corona di ulivo nella destra; il mantello attorcigliato alla vita, saliva alla spalla sinistra e scendeva sullo stesso lato con ampia cascata di pieghe. Il volto, dalle magre guance scavate, sotto il forte rilievo degli zigomi, aveva una mimica nervosa. Magro, nervoso e fortemente modellato era anche il nudo. Il simulacro era una bella sintesi di dinamismo e colorismo rispondente al gusto del periodo iniziale dell'ellenismo di mezzo, cioè prima della maggiore affermazione del gusto "barocco". Lo Zeus Stratios era in bronzo. Si noti che il nome in Eustazio appare erroneamente come Daidalos, che il Brunn identificava con l'omonimo di Sicione. L'identificazione col Doedalses pliniano è invece sicura; una prova che in Bitinia era in uso questa forma di nome ci è fornita dall'iscrizione che appare sotto un rilievo proveniente da Kermasli (Asia Minore) con la raffigurazione di varie divinità (v. Ath. Mitt., 1889).
L'Afrodite al bagno (incerto se àgalma o anàthema) che Plinio ricorda al suo tempo a Roma, nel tempio di Giunone presso il portico di Ottavia, era una replica in marmo dell'originale in bronzo, commissionato a D. dal re Nicomede, e che pare esistesse ancora nel tardo Impero nella capitale orientale (appare infatti su tarde monete asiatiche); e che l'originale fosse in bronzo si può provare sia perché nella traduzione in marmo si è dovuto ricorrere, per assicurare la stabilità, a puntelli che sono di forma diversa nelle varie repliche, sia perché esiste anche una copia in bronzo (da Beirut, v. Syria, vi, 1925, p. 312). La statua ci è nota da varie repliche (v. elenco diviso in varî gruppi in Klein, Praxiteles) con variazioni dovute ai copisti: la dea è accovacciata in un atteggiamento comune alle donne greche, le quali si lavavano in piccole vasche facendosi versare l'acqua sul corpo da un'ancella. L'artista dal realismo dell'impostazione non è stato indotto alla ricerca di effetti sensualistici, anzi è riuscito a togliere qualsiasi carattere di volgarità alla figura creando un ritmo mirabilmente concentrato che corregge la pienezza esuberante delle forme, quasi nascondendola, e pure permette incontri angolari e diagonali di volumi ricchi di colore. Alla splendida anatomia si aggiunge la grazia del volto, che non ha più la bellezza ideale della dea di Prassitele, ma una freschezza molto simile a quella campagnola della "Fanciulla d'Anzio", cui l'Afrodite è contemporanea. L'espressione psicologica rivelata dal divergere dello sguardo dallo spettatore e dal socchiudere della bocca per mostrare i bei denti, è spensierata, ma non volgare e tanto meno impudica; bellissime le grosse ciocche attorte che erano annodate sulla sommità del capo e cinte da una benda che doveva essere smaltata, mentre i capelli erano probabilmente dorati. Il grande artista ha sentito il gusto del suo tempo, ossia dell'ellenismo di mezzo, per il reale e per il raffinato, conservando una grande compostezza, acquisita evidentemente dallo studio dei classici.
In alcune repliche Afrodite è in gruppo con Eros. Non è da pensare che egli esistesse anche nell'originale, perché nelle copie l'atteggiamento e la posizione del bambino sono sempre diversi.
Dal tipo studiato deriva una variante classicheggiante in marmo, dell'ellenismo tardo, che ha formato una serie molto apprezzata nell'età imperiale romana. Nella copia migliore, del Museo Vaticano, si osserva come nella rielaborazione del tipo per la traduzione in marmo, il corpo sia divenuto più esile e il ritmo sia stato alterato, poiché il ginocchio destro è stato maggiormente abbassato, per conferire staticità al ritmo.
Un'altra variante è stata concepita nel II sec. a. C., in marmo, probabilmente ad Alessandria; essa risulta dalla fusione di due motivi; dall'atteggiamento dell'Afrodite di D., come di donna accovacciata, e da quello dell'Afrodite Anadiomene di Apelle rappresentata in atto di strizzare le chiome bagnate. L'esemplare migliore di questa serie (probabilmente buona copia del I sec. a. C.) fu rinvenuto a Rodi e si trova nel museo di quella città (v. alessandrina, arte).
Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2045; H. Brunn, Geschichte d. gr. Künstl, I, Stoccarda 1889, p. 17; Th. Reinach, in Bull. Corr. Hell., XIII, 1889, p. 314; C. Cichorius, in Ath. Mitt., XIV, 1889, p. 249, n. 19; Th. Reinach, in Gaz. d. Beaux Arts, XVII, 1897, p. 165, 583 ss.; W. Klein, Praxiteles, Lipsia 1898, pp. 270-273; C. Robert, in Pauly-Wissowa, V, 1903, c. 1266, s. v.; W. Klein, Geschichte d. gr. Kunst, III, Lipsia 1906, p. 54 ss.; W. Amelung, in Thieme-Becker, IX, 1913, p. 380, s. v.; A. Maiuri, in Boll. d'Arte, III, 1924, p. 386; A. W. Lawrence, Later Greek Sculpture, Londra 1927, p. 17 ss.; 109, tav. 25 a; id., Classical Sculpture, Londra 1929, p. 290; A. Della Seta, Il nudo nell'arte, p. 460 ss.; Ch. Picard, Manuel, II, Parigi 1939, p. 654, nota 8; A. Adriani, in Ann. Serv. Ant. de l'Égypte, XLIV, 1945, p. 37 ss.; L. Laurenzi, in Ann. Sc. Arch. It. d'Atene, XXIV-XXVI, 1946-8, p. 167 ss.; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 241; G. Lippold, Die Plastik, in Handb. d. Arch., Monaco 1950, p. 319; A. Adriani, in Bull. Soc. Royale d'Arch. Alexandrie, XXXIX, 1951, p. 144; A. Giuliano, in Rend. Pont. Accad. Rom. d'Arch., XXVII, 1952-54, p. 222, n. 8, fig. 18; R. Lullies, Die kauernde Aphrodite, Monaco 1954; M. Bieber, The Sculpt. in the Hell. Age, New York 1955, p. 82 ss.