dolciada
L'aggettivo, dal tardo latino dulciatus documentato dalle glosse (cfr. Battisti-Alessio, Dizionario), compare una sola volta, in VE II VII 4 sola vocabula nobilissima in cribro tuo residere curabis. In quorum numero neque puerilia propter sui simplicitatem, ut mamma et babbo, mate et pate, neque muliebria propter sui mollitiem, ut dolciada et placevole. D. esclude l'aggettivo dal volgare illustre come molle ed effeminato, e gli preferisce l'aggettivo ‛ dolce ' (v.). Come osserva il Marigo (ad l.), è " probabile che la critica del poeta si appunti su particolari esempi letterari di poesia contemporanea (anche il femminile dell'aggettivo dolciada ne sarebbe spia) ".
Esempi successivi a D., in Boccaccio Dec. III 8 66, in contesto popolaresco: " la moglie mia casciata, melata, dolciata ", e VIII 9 17 " Dovete adunque... maestro mio dolciato, sapere "; anche nel Colombini Lettere 105 " Animi Iddio alluminato ed anco voi, e più che mai mi ha dichiarato che ciò che si cerca di fuore da Iesù dolciato, si è via torta ". L'aggettivo sarà poi usato nel lessico popolaresco della poesia nenciale.