DOLCIFICANTI
(App. II, I, p. 801)
Dolcificanti artificiali. − I d., oltre che in naturali e di sintesi, si dividono in calorici e non calorici (o acalorici), a seconda che siano caratterizzati da un elevato o basso valore calorico, o nutritivo. La produzione dei d. proposti o usati in passato − saccarina (XXX, p. 388), dulcina, etere n-propilico del 2-ammino nitrofenolo (App. II, i, p. 801) e anche i ciclammati, entrati nell'uso nel dopoguerra − è stata o sospesa o abbandonata perché a un loro uso prolungato è stata attribuita una particolare pericolosità (tossicità, proprietà oncogene, ecc.).
La saccarina è stata il d. più usato fin verso la fine degli anni Settanta, quando ricercatori canadesi riscontrarono in animali da laboratorio, alimentati con forti dosi di tale sostanza, manifestazioni oncogene. Questa notizia diede origine in USA a ricerche da parte di vari enti governativi con risultati controversi e poco convincenti. Molte delle indagini effettuate in vari paesi porterebbero alla conclusione che non esistono pericoli per i consumi normalmente praticati, in quanto la saccarina ingerita è rapidamente espulsa dall'organismo e in forma inalterata, perché non metabolizzata. L'uso della saccarina è consentito in molti paesi (Giappone, CEE, ecc.), limitatamente alle compresse dolcificanti e in quantità limitata in alimenti e bevande dietetiche.
I ciclammati (sali dell'acido N-cicloesilsolfammico o acido ciclammico) hanno potere dolcificante 10 volte inferiore a quello della saccarina, rispetto alla quale presentano un sapore più gradevole, non accompagnato, o quasi, da sapore di fondo (o retrogusto). I ciclammati, brevettati dalla Du Pont nel 1940, furono introdotti in commercio dai laboratori Abbott verso il 1950, raggiungendo in breve una larga diffusione, ma furono poi vietati verso il 1974.
Inizialmente si riteneva che il composto non venisse metabolizzato, ma verso il 1966 si riscontrò viceversa che esso si trasforma nell'organismo dando origine a cicloesilammina, possibile causa di tumori della vescica e di danneggiamento cromosomico. A seguito di questi risultati il suo impiego è stato vietato in USA, a partire dal 1970, come pure in altri paesi (Canada, Francia, ecc.). In molti casi ne è tuttavia consentito l'uso in alimenti, bevande, specialità farmaceutiche, ecc. Recenti ricerche condotte dalla National Academy of Science avrebbero portato a considerarne meno pericoloso l'uso, specie se non prolungato.
Anche l'impiego della dulcina, che si presenta quale possibile agente oncogeno, è ormai abbandonato quasi ovunque.
Le accuse mosse ai d. sopra ricordati, dei quali è stato impedito, temporaneamente o permanentemente, il commercio, e il contemporaneo aumento di richiesta del mercato di d. acalorici per diete, prodotti per diabetici, ecc., hanno favorito la ricerca di nuovi dolcificanti. Numerosi i composti studiati, provati o proposti; alcuni hanno superato le varie prove richieste per dimostrarne la mancanza di nocività, a breve e a più lungo termine, per l'organismo umano, e ne è stato consentito l'impiego (aspartame, acesulfame, ecc.); per altri queste prove non sono state ancora effettuate in maniera sufficientemente estesa e il loro impiego non è autorizzato (alcuni di tali d. si usano per impieghi industriali); per altri infine non è stata richiesta tuttora l'autorizzazione all'uso perché il loro studio è ancora in fase preliminare e dev'esserne accertata la possibilità di preparazione e di produzione su larga scala, a condizioni economiche.
L'aspartame è un dipeptide sintetizzabile condensando i due amminoacidi, L-fenilalanina e L-acido aspartico:
Le proprietà dolcificanti dell'aspartame sono state scoperte nel 1965 dalla società Searle, in USA; ingerito, esso viene metabolizzato come un normale dipeptide presente negli alimenti. È circa 180÷200 volte più dolce del saccarosio, cioè il suo potere dolcificante è del 30% circa inferiore a quello della saccarina, rispetto alla quale però ha un sapore migliore, simile a quello dello zucchero, senza retrogusto; ha anche la proprietà, se mescolato ad alimenti, d'incrementarne l'aroma. È stabile allo stato secco, ma in soluzione tende a idrolizzarsi perdendo gradualmente il sapore dolce; il massimo di stabilità si ha in soluzioni acide (pH = 4) e a temperature ambiente, fattore che ne limita l'uso nelle bevande; un'altra forte limitazione proviene dal costo elevato, circa 20 volte quello della saccarina.
L'uso dell'aspartame è stato autorizzato in moltissimi paesi, anche per il consumo individuale, sotto forma di compresse. L'Organizzazione mondiale della sanità ne ha riconosciuto l'accettabilità per consumi giornalieri fino a 40 mg/kg di peso corporeo. Nel 1974 il suo impiego fu consentito anche in USA; ma l'autorizzazione fu dopo pochi mesi revocata in vista di ulteriori prove e ricerche, che hanno richiesto circa una decina di anni. Dopo di che l'uso è stato nuovamente consentito, oltre che in USA, anche in Canada, Sud Africa, Svizzera (e con alcune limitazioni anche in Francia, Belgio, Repubblica Federale di Germania, Norvegia, Svezia, ecc.). Attualmente sono oltre 25 i paesi che ne hanno approvato l'uso. La produzione di aspartame raggiunge diverse migliaia di t/anno (la Searle ha due impianti nell'Illinois e in Georgia). Si può ricorrere a diversi sistemi di sintesi (esterificazione con alcool metilico della fenilalanina e condensazione con l'acido aspartico, o unione dei due amminoacidi per mezzo di enzimi immobilizzati). In alcuni paesi (Italia, Spagna), i brevetti della Searle non sono ritenuti validi e la produzione avviene con sistemi propri come per es. quello della Pierrel in un impianto a Capua. Recentemente sono state sollevate in USA perplessità sull'impiego dell'aspartame poiché la fenilalanina che si libera dall'organismo, oltre ad agire sfavorevolmente in individui affetti da fenilchetonuria, sembra possa causare problemi neurologici.
La scoperta delle proprietà dolcificanti dell'aspartame ha provocato una vasta ricerca sui composti chimicamente analoghi; quasi nessuno possiede un sapore dolce ugualmente elevato, alcuni però presentano una maggiore stabilità in soluzione; nessuno è stato preso finora in considerazione per una produzione industriale. In USA si attende l'approvazione all'uso di un'ammide dipeptide che non contiene fenilalanina: più stabile al calore dell'aspartame, è di costo più elevato ma non suscita le sopracitate perplessità sollevate dall'uso dell'aspartame.
Nel 1967, in Germania, la Hoechst ha sintetizzato un nuovo d. denominato acesulfame K. Due ricercatori notarono il sapore dolce nei composti ottenuti dalla sintesi fra butino e isocianato di fluoro-solfonile e scoprirono che il sapore dolce era dovuto a un composto contenente un anello eterociclico, mai sintetizzato prima di allora, di formula:
dove R = H, C2H5 ed R1 = CH3, C2H5, CH2Cl, ecc.; M = K, Na, ecc.
Fra i composti contenenti questo anello il migliore fu giudicato il sale potassico del 6-metil-1, 2, 3-ossitiazina-4(3 H)-one-2,2 diossido, di formula C4H4NO4KS (avente R = H, R1 = CH3, M = K). Caratteristica dell'acesulfame è quella di non essere assorbito dall'organismo, di essere espulso rapidamente nelle urine, senza essere metabolizzato. Le verifiche tossicologiche e farmacologiche condotte da più parti sono risultate soddisfacenti, per cui il suo impiego è stato approvato in diversi paesi (Germania, USA, ecc.).
L'acesulfame si può ottenere con diverse sintesi; la più semplice e idonea è quella fra isocianato fluorosolfonile ed etere ter-butilico dell'acido acetico. Si tratta di polvere cristallina, incolore, facilmente solubile in acqua; allo stato solido è completamente stabile al calore, fin verso 225 °C (temperatura sufficiente per la cottura della maggior parte dei prodotti dolciari da forno). Ha potere dolcificante all'incirca uguale all'aspartame, senza retrogusto.
In Gran Bretagna la società Tate e Lyle ha messo in commercio un d. naturale, la taumatina (Talina, ecc.), il cui sapore si percepisce con ritardo e perciò va miscelato con altri d. ad azione pronta. Ha già ottenuto l'autorizzazione, oltre che in Gran Bretagna, in Giappone, Messico, Australia, ecc.
La taumatina è un miscuglio di proteine presenti nel frutto Thaumatococcus Danielli dell'Africa occidentale; il composto, formato da 207 residui di amminoacidi, ha peso molecolare di circa 22.000; le due taumatine, i e ii, differiscono solo per la diversa sequenza degli amminoacidi; entrambe contengono 8 ponti di zolfo, S-S, che conferiscono alla molecola un'elevata stabilità. È circa 5000 volte più dolce della saccarina; il suo sapore dolce, come già detto, si sviluppa lentamente; le sue proprietà sono più persistenti e prive di retrogusto. Ha come ulteriore caratteristica quella d'incrementare gli aromi delle sostanze alle quali viene aggiunta (caffè, menta, ecc.). L'uso della taumatina è consentito da tempo in alcuni paesi (in Giappone fin dal 1979), dove si usa come rinforzante del sapore dolce. Può essere usata in bibite, in dolci, specie se miscelata a d. a pronta risposta. È poco stabile al calore e quindi non adatta per i prodotti da forno, o quelli che sono da assoggettare a sterilizzazione per via termica. Poiché i frutti del Thaumatococcus non crescono al difuori del loro habitat naturale africano, le possibilità di approvvigionamento della materia prima si presentano limitate; pertanto è allo studio la preparazione del composto per via biotecnologica; si spera anche attraverso modificazioni genetiche dei lieviti di poter ottenere un prodotto di migliore sapore e con maggiore stabilità al calore.
Un d. particolarmente studiato, a basso potere calorico, perché scarsamente assorbito dal sistema digestivo (10÷15%), è un prodotto naturale contenuto in una pianta originaria del Paraguay, la Stevia rebaudiana, le cui foglie sono usate da tempo per il loro sapore dolce.
Il composto responsabile di tale sapore è un glucoside, lo stevioside, di formula C38H60O18, cristallino, igroscopico, 200 volte più dolce del saccarosio. Usato da solo, lo stevioside presenta un retrogusto che ricorda quello della liquerizia.
In Giappone, dove non necessita l'autorizzazione per prodotti naturali, l'uso sia delle foglie essiccate che degli estratti di Stevia rebaudiana è piuttosto diffuso. Si usa come d. naturale di vari prodotti alimentari (estratto per salse, prodotti della pesca, chewing-gum, ecc.). Si hanno estratti con diverso tenore di stevioside (dal 20 al 90÷95%). Si tratta di polveri incolori, inodori, non igroscopiche , stabili al calore, abbastanza solubili in acqua, che si usano per alimenti, bevande, prodotti dietetici o farmaceutici. In Israele si è realizzata l'acclimatazione della pianta nel deserto del Negev ed è allo studio un sistema industriale di produzione del composto. In USA sono in corso prove tossicologiche.
Un altro d. naturale, 100 volte più dolce del saccarosio, al quale è stato dato il nome di Hernandulcina, è stato ritrovato da ricercatori dell'università di Chicago a seguito di una ricerca sistematica delle piante usate dalle antiche popolazioni messicane; in una monografia del 1570 circa un medico spagnolo, F. Hernandez, descrive un'erba dolce, identificata nella Lippia dulcis; dalle foglie e dai fiori è stato estratto un composto di formula C15H24O2, identificato poi come un sesquiterpene della classe del bisabolano, con la struttura
Altri composti dolcificanti allo studio sono:
a) diidrocalconi: si tratta di derivati di bis-flavonoidi presenti nella buccia di agrumi (arancia, pompelmo, ecc.), aventi in comune la struttura
Sostituenti in
nella quale gli anelli aromatici portano gruppi diversi (−OH, −OCH3) e il radicale R è costituito da un radicale glucosidico (o simile). Diversi idrocalconi sono stati sintetizzati; possiedono sapore dolce e sono solubili in acqua calda; dalle ricerche finora condotte non risultano proprietà tossiche; presentano un retrogusto che ricorda quello dell'anice, non sempre gradito. Questi diidrocalconi hanno un potenziale campo d'impiego (chewing-gum, dolciumi, dentifrici, ecc.);
b)glicerizzina: si ottiene dalla liquerizia (ricavata dalla Glycyrrhiza glabra): il sale di ammonia ha sapore dolce 100 volte più forte di quello del saccarosio. Trova impiego specialmente nell'aromatizzazione del tabacco, di prodotti farmaceutici, di dolciumi; il suo sapore di liquerizia ne limita in molti casi l'uso.
Fra i d. non nutritivi si possono includere i cosiddetti levo-zuccheri (fruttosio, gulosio, ecc.), che in natura sono presenti nella forma destrogira; gli isomeri levogiri hanno lo stesso sapore dolce dei corrispondenti destrogiri, ma a differenza di questi non vengono metabolizzati nel tratto gastro-intestinale e quindi si possono considerare acalorici (adatti per diete ipocaloriche). Nella ricerca di sostanze dolci non assorbibili dall'organismo si è pensato a derivati degli zuccheri naturali combinati con altre molecole (polimeri) in modo da realizzare composti a elevato peso molecolare, capaci di attraversare l'organismo inalterati, o quasi, ma in grado di conservare il sapore dolce dello zucchero di partenza. Così per es. è stato preparato un ''polizucchero'' risultante dall'eterificazione di un gruppo alcolico del saccarosio con alcool polivinilico di elevato peso molecolare. Il prodotto è stabile, non si scinde nell'organismo e conserva del saccarosio l'intensità e la ''qualità'' del sapore dolce. Un altro d. per il quale è stata richiesta, in USA, l'approvazione delle autorità sanitarie è costituito da un cloro derivato dal saccarosio, più dolce di questo e più stabile al calore dell'aspartame.
In questi ultimi anni sono stati studiati anche d. calorici (zuccheri e loro derivati), ovviamente inadatti per diete ipocaloriche, ma che risultano utili per caratteristiche particolari o perché di più facile reperimento o perché più dolci del saccarosio o perché non cariogeni (cioè non subiscono fermentazione); sono perciò particolarmente richiesti nella formulazione di gomme da masticare, di dentifrici, in cosmetica, ecc. Rientrano in questo gruppo il fruttosio, gli sciroppi ad alto contenuto di fruttosio, il sorbitolo, il mannitolo, lo xilitolo. La produzione di alcune di queste sostanze non richiede come materia prima la canna o la barbabietola da zucchero, ma altri prodotti vegetali, più abbondanti o di minore costo, o di più facile reperibilità. Il fruttosio, allo stato solido, è più dolce del saccarosio, ma ha un costo più elevato che ne limita l'impiego.
Su larga scala si preparano invece gli sciroppi ad alto tenore di fruttosio (v. zucchero, in questa App.). Sorbitolo e mannitolo sono alcooli esavalenti che si ottengono per idrogenazione rispettivamente del glucosio e del fruttosio (o anche di sciroppi di zucchero invertito); trovano applicazioni industriali ma anche come d. particolari; per questo uso l'impiego dev'essere limitato a non oltre 20÷40 grammi/giorno in quanto esercitano un'azione lassativa e diuretica non desiderata. Il sorbitolo ha un potere dolcificante inferiore a quello del saccarosio (circa la metà o poco più), e può essere usato in prodotti per diabetici; industrialmente si usa nella preparazione di acido ascorbico, di alcune resine, di plastificanti, di emulsionanti; ha una bassa cariogenità che lo rende adatto per dentifrici, gomma da masticare, ecc. Il mannitolo ha proprietà in parte analoghe a quelle del sorbitolo; è scarsamente metabolizzato dall'organismo e quindi possiede caratteristiche caloriche ridotte. Lo xilitolo è un alcool pentavalente, ottenuto per idrogenazione dello xilosio; si usa in pasticceria, per preparati per diabetici, nella gomma da masticare, nei dentifrici, ecc. In USA si calcola che il consumo di questi d. alternativi comporti un fatturato di circa 800 milioni di dollari.
Bibl.: K. M. Back, Sweeteners non-nutritive, in Kirk-Othmer encyclopedia of chemical technology, vol 19, New York 19692, p. 593; L. O'Brien, R. C. Gelardi, Alternative sweeteners, in Chemtech, maggio 1981, p. 274; R. Mazur, Sweeteners, in Kirk-Othmer encyclopedia of chemical technology, vol. 22, New York 19833, p. 448; G. M. Baccalini, Chimica dolce: l'aspartame, in Chimica oggi, giugno 1983, p. 17; S. A. Farben, The price of sweeteners, in The Technology Review, gennaio 1990, p. 46.