dollarizzazione
Sistema monetario nel quale i residenti di un dato Paese utilizzano strumenti monetari e finanziari denominati nella valuta di un altro Paese, normalmente di maggiori dimensioni. Il termine non si riferisce solo al dollaro statunitense, che pure è la più comune valuta di riferimento, ma più in generale all’adozione di un’unità di valore basata su una valuta straniera.
La d. può avvenire in modo ufficiale o di fatto. Nel primo caso, una valuta straniera ha corso legale in un Paese dove la banca centrale non esiste oppure ha un ruolo molto limitato. Questo è, per es., il caso di Panamá, che ha adottato il dollaro USA fin dal 1904 accanto alla valuta ufficiale, la balboa (➔); esempi più recenti sono l’Ecuador ed El Salvador. Nel secondo caso, sono i cittadini che spontaneamente decidono di effettuare transazioni, di natura sia reale sia finanziaria, utilizzando una valuta diversa da quella avente corso legale. Esistono inoltre regimi intermedi, per i quali si parla di d. semi-ufficiale (➔ anche currency board).
Il beneficio principale della d. è nella possibilità per un Paese con un livello relativamente basso di credibilità e di stabilità monetaria di importare la credibilità del Paese àncora. In alcuni Paesi molto piccoli, inoltre, non esistono le risorse e le professionalità necessarie per fondare e gestire una banca centrale autonoma. La maggiore credibilità acquisita tramite la d. si può riflettere in un minore livello dei premi per il rischio sugli strumenti finanziari emessi dai residenti (in valuta straniera) e in un maggiore sviluppo del settore finanziario. Infine, la d. può essere uno strumento di integrazione economica con il resto del mondo e in particolare con il Paese che emette la valuta di riferimento. La d. comporta, tuttavia, anche costi significativi. Nella d. ufficiale, la presenza di un tasso di cambio fisso e la mancanza di una politica monetaria indipendente fanno perdere un importante meccanismo di aggiustamento nel caso in cui il Paese dollarizzato sia in condizioni economiche molto diverse rispetto a quello della valuta di riferimento. In particolare, non è possibile per questo Paese svalutare la propria valuta e recuperare in questa maniera competitività internazionale. Nella d. di fatto, anche se le restrizioni per la politica monetaria non sono così estreme, la presenza di attività e passività finanziarie in valuta straniera può complicare notevolmente la conduzione e la trasmissione della politica monetaria. Inoltre, lo sviluppo limitato della banca centrale non consente a questo istituto di funzionare da prestatore di ultima istanza (➔), nel caso di corse agli sportelli e di crisi bancarie, poiché gran parte dei depositi è denominata in valuta estera. Nella d. di fatto il settore privato (finanziario e non) ha spesso passività nette in valuta estera; questa circostanza ha a sua volta un effetto depressivo in caso di svalutazione della valuta locale, che può portare ad annullarne completamente l’effetto espansivo, dal momento che il debito netto dei residenti cresce in termini reali dopo la svalutazione. Questo meccanismo si è reso visibile durante la crisi asiatica del 1998-99, soprattutto in Paesi fortemente dollarizzati sul lato delle passività finanziarie. Infine, emettere le banconote nella propria valuta fornisce un’entrata allo Stato (➔ signoraggio) che nel caso della d. viene trasferita al Paese emittente della valuta di riferimento. Per tutti questi motivi, i Paesi che possono trarre vantaggio dalla d. sono tipicamente quelli di piccole dimensioni, economicamente e geograficamente vicini al Paese àncora, e con una storia di instabilità monetaria che non consente loro di instaurare in tempi rapidi un regime monetario autonomo credibile.