PRATO, Dolores
PRATO, Dolores. – Nacque a Roma, «nella romanissima via di Parione», il 10 aprile 1892, da Maria Prato Pacciarelli e da un avvocato calabrese che però non la riconobbe.
Anche la madre, vedova di un magistrato e con altri quattro figli, inizialmente non la riconobbe, e la bambina fu registrata all’anagrafe il 12 aprile con il nome di Dolores Olei. Ma poi le diede il suo cognome, la affidò a una balia di Sezze e, nel 1893, a due suoi cugini abitanti a Treia (Macerata), don Domenico e Paolina Ciaramponi: un prete originale e una donna nubile poco interessata ai bambini, protagonisti di un rapporto fraterno molto esclusivo, che tuttavia amarono Dolores. Raramente la bambina incontrò la madre, morta nel 1907.
Prato amò alludere a un’origine ebraica, soprattutto per motivare la persecuzione della quale era stata oggetto durante il fascismo. Si tratta di una costruzione di fantasia, forse metafora di una mai risolta inadeguatezza esistenziale; scrisse in un promemoria autobiografico conservato da Fausto Coen: «bench’io non sia di razza ebraica, per il mio nome che appartiene anche a gente israelita, ebbi seccature e noie» (in Archivio privato Ferri-Ferrari).
Nel 1905 la zia riuscì a far entrare Dolores nel signorile educandato della Visitazione delle salesiane di Treia. Contemporaneamente lo zio, per problemi economici e difficoltà con le autorità ecclesiastiche, emigrò in Argentina, dalla quale, dopo alterne fortune, non sarebbe più tornato.
Il collegio era dominato dalla singolare figura di suor Margherita Maria Masi («Madrina»), originaria di Lugo, sorella di un generale, amica del gran maestro della massoneria Adriano Lemmi e conoscente di Giosue Carducci. A lei, dopo un’iniziale incomprensione, Prato tributò un vero e proprio culto che divenne monumento letterario in Le Ore, intrattenendo una corrispondenza che si protrasse fino alla morte della religiosa, nel 1922.
Nel 1912 superò l’esame di ammissione alla facoltà di magistero di Roma. Sistematasi inizialmente, insieme alla zia che l’aveva accompagnata (e che morì in quello stesso anno), presso una sorella della madre, frequentò i fratellastri (Vittorio, poi morto nella Grande Guerra), ma sentendosi a disagio di fronte alla disinvoltura delle sorelle (D. Prato, Scottature, 1964). Preferì sistemarsi nel pensionato La protezione della giovane in via San Sebastianello, indicatole dall’amica Luigia Tincani. Ebbe fra i suoi insegnanti Luigi Pirandello, che tuttavia non amava. Il gesuita Cesare Goretti dei conti Miniati, suo padre spirituale, le suggerì l’argomento della tesi di laurea, discussa nel 1919 con Manfredi Porena: il carteggio del priore di Stia Antonio Bartolini, letterato purista ed educatore, con Pietro Fanfani e Prospero Viani.
Dopo la laurea, insegnò materie letterarie a Sansepolcro (1919-21), a Macerata nel 1921-22, poi, fino alla fine degli anni Venti, nella Regia Scuola promiscua Matteo Gentili di San Ginesio, che la riforma Gentile aveva trasformato da «scuola normale» in istituto magistrale. A Sansepolcro conobbe Paolo Toschi, poi famoso etnografo e direttore della rivista Lares, e se ne innamorò, inizialmente corrisposta anche se il giovane, scoraggiato dagli scrupoli di lei, finì per fidanzarsi con un’altra nonostante i colloqui e le passeggiate dei due avessero messo in cattiva luce Dolores, che fu allontanata dalla scuola.
A San Ginesio si legò invece, ma senza complicazioni sentimentali, a uno studente, Luciano Moretti, che avrebbe poi sempre seguito nella vita familiare e professionale. La permanenza nella cittadina, che aveva condotto Prato fino all’incarico di direttrice della scuola, fu interrotta per un suo errore nella sorveglianza dei timbri ufficiali, ma anche per l’ostilità ormai evidente del fascismo nei suoi confronti. Come spiega infatti nel citato promemoria, oltre ad avversare la politica illiberale del regime, ne disprezzava l’apparato di mobilitazione, cui cercava in ogni modo di sottrarre gli allievi. Insofferente alla liturgia laica del regime, manifestò atteggiamenti di sfida che le costarono sia l’irrisione dell’ambiente paesano sia la censura professionale. Non superò il concorso per l’insegnamento.
San Ginesio servì da ispirazione e sfondo a un romanzo parzialmente autobiografico, Sangiocondo, terminato nel 1948, il cui personaggio principale è don Pacifico Ciabocco, amico e corrispondente della scrittrice.
Pensato come soggetto cinematografico nel secondo dopoguerra, il testo conobbe traversie editoriali destinate a ripetersi nella ‘non carriera’ della scrittrice. Fu sottoposto a varie case editrici nazionali, con presentazioni autorevoli, ma solo nel 1963 riuscì ad andare in stampa, a spese dell’autrice, per le edizioni Campana di Roma. Nel 1965 fu pubblicato in polacco dalla casa editrice Pax di Varsavia, ma la ‘cortina di ferro’ impedì a Prato di percepire i diritti d’autore.
Due amici e colleghi di San Ginesio avevano favorito nel 1925 l’incontro di Dolores con l’avvocato milanese Domenico Capocaccia, che si stava avvicinando al comunismo dopo aver avuto in precedenza qualche contatto con Piero Gobetti. Iscrittosi al Partito comunista italiano (PCI) nel 1943, dopo la guerra Capocaccia fu commissario al Corriere della sera nella fase di ricostruzione coincidente con la direzione di Mario Borsa. Respinse l’ipotesi di dolo nel comportamento dei Crespi al momento della cacciata di Luigi Albertini, di fatto confermandoli nei loro diritti di proprietà (la vicenda è raccontata da Prato in una lettera a Lina Brusa Arese del 2 gennaio 1978: Archivio Ferri-Ferrari). Fu poi vicepresidente nazionale dell’Ansa e vicedirettore della sede milanese. La relazione con Capocaccia, da lei chiamato Doni, fu determinante nella decisione di Dolores Prato di trasferirsi a Milano tra il 1927 e il 1928, per insegnare nell’Accademia libera di cultura e arte diretta dal pedagogista Vincenzo Cento e dalla moglie Anita. L’esperienza fu negativa per divergenze didattiche: finirono addirittura per licenziarla. All’insegnamento tornò poi brevemente dopo la guerra, quando Capocaccia si adoperò per il reintegro e la pensione.
Stabilitasi definitivamente a Roma nel 1930, Dolores Prato ebbe un breve incarico all’istituto Marymount, ma poi scelse di dedicarsi all’assistenza di una giovane disabile mentale. Nel 1936, dopo un periodo di residenze precarie, approdò nella sua abitazione definitiva, al nono piano di via Fracassini 4. Fra gli anni Trenta e i Quaranta, mentre si manteneva con collaborazioni editoriali e giornalistiche, continuò la relazione con Capocaccia: fu un rapporto mai formalizzato e una relazione travagliata, ma l’uomo stimò e incoraggiò Prato, pur senza riuscire a soddisfarne le esigenze di stabilità affettiva. Contribuì al suo inserimento nell’ambiente romano dell’intellettualità di sinistra, da lei liberamente frequentata insieme alle amicizie cattoliche; ma non diede seguito alla richiesta di Prato di iscriversi al PCI.
È soltanto in parte fondata l’ipotesi di una Prato ‘cattocomunista’. La parola nasceva in quegli anni, legata all’impegno di Adriano Ossicini – figlio dell’amica di Prato Bianca Torriglia – fondatore con Franco Rodano del movimento dei cattolici comunisti, ma non risulta che lei vi abbia mai aderito o abbia manifestato intenzioni di voto. È un fatto che Prato frequentò, nel tempo, intellettuali e politici sia cattolici sia legati al PCI, ma in grande autonomia, in primo luogo per affinità umane e culturali, poi sulla base delle sue esigenze materiali e professionali.
Sempre più critica nei confronti dell’educazione ricevuta, che l’aveva resa – per usare una parola chiave del suo lessico – una persona «inconclusa», Prato il 20 maggio 1961 scrisse a un amico psichiatra: «io nell’educazione religiosa ho trovato la rovina della mia vita […] “l’ultimo prete” sarebbe anche l’ultimo di quella serie di preti che in un modo o nell’altro hanno rovinato la vita mia» (Archivio Ferri-Ferrari). Nel 1951 le era stato messo in casa da comuni conoscenze ecclesiastiche Andrea Gaggero, nato nel 1916. Eroe della Resistenza ed ex deportato, don Gaggero, prete oratoriano, aveva partecipato l’anno prima al secondo congresso dei Partigiani della pace a Varsavia. Nel 1953 fu sospeso a divinis; visse con Prato fino agli inizi degli anni Sessanta, in un rapporto complesso (la chiamava Mamy), ma alla fine se ne andò per legarsi stabilmente con Isa Bartolini. La casa di via Fracassini era divenuta di sua proprietà, e Prato vi rimase come usufruttuaria.
Organico anche se non iscritto al PCI, Gaggero ricevette nel 1953 il premio Stalin e nel 1958 Prato lo accompagnò in Unione Sovietica. Fu molto attivo nel movimento pacifista e fondò con Aldo Capitini la marcia per la pace Perugia-Assisi.
Prato rimase legata alle tradizioni e ai riti nei quali era stata educata, con una particolare curvatura politica che si potrebbe definire più ‘papista’ che ‘cattocomunista’, legata all’immedesimazione estetica e affettiva con il cerimoniale romano preconciliare da lei associato alla irripetibile bellezza della Roma papalina. Accesamente antimonarchica perché, a suo parere, i Savoia avevano distrutto Roma annettendola all’Italia, apprezzò il vescovo ultraconservatore Marcel Lefebvre (Firenze, Gabinetto G.B. Vieusseux, Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti, Dolores Prato, Pd, 173). A Roma Prato dedicò una serie di articoli – alcuni rimasti inediti, altri tagliati redazionalmente anche per motivi di opportunità politica – destinati a Paese sera, giornale romano legato al PCI cui collaborò con continuità dal 1948, pur senza divenirne una firma di punta come avrebbe desiderato, grazie all’amicizia di Fausto Coen; e qualcuno anche a Il Globo, del quale Coen divenne consulente editoriale dopo aver lasciato Paese sera nel 1969
Nel fondo del Gabinetto Vieusseux a lei intitolato c’è un progetto inedito, Voce fuori coro, incentrato sugli scempi urbanistici e le ferite spirituali cui Roma era stata sottoposta dall’unificazione, dal fascismo e dalle politiche postbelliche: tema quanto mai controcorrente, specie a Sinistra, negli anni in cui si celebrava il centenario di Porta Pia, e che non ebbe seguito editoriale nonostante gli appelli dell’autrice.
Tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta, Prato diede forma all’esigenza di portare alla luce le radici della propria inadeguatezza e diversità. Usava da tempo conservare materiali (ritagli di giornale, appunti, lettere) e annotare circostanze particolari: anche, e non per esigenze terapeutiche, i propri sogni. «Innamorata dei nomi» (Brevini, 1989; D. Prato, Le Ore II, a cura di G. Zampa, 1987, p. 89; Ead., Le Ore, a cura di G. Zampa, 1994, p. 330) e dei luoghi, elaborò un progetto di ricostruzione di infanzia e adolescenza, collocate rispettivamente a Treia e nel collegio. Alla fine degli anni Settanta, la parte dedicata all’infanzia era praticamente terminata, senza tornare a Treia ma basandosi su ricordi di luoghi e persone, che a volte controllava con l’aiuto di amici marchigiani. Scrisse per consigli anche a Giovanni Spadolini, che aveva avuto un nonno di Treia (Firenze, Gabinetto G.B. Vieusseux, Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti, Dolores Prato, Pd, 170: 18 novembre 1976). Il manoscritto semidefinitivo di Giù la piazza non c’è nessuno (oltre mille cartelle), approdò alla casa editrice Einaudi tramite la mediazione di Lina Brusa Arese. L’editore lo accettò, a patto di praticare tagli e correzioni: redattrice fu Natalia Ginzburg.
Nel giugno del 1980 vide la luce un libro preparato dalla Ginzburg, di sole 282 pagine in tiratura limitata. Il ruolo della scrittrice torinese, molto criticato dagli estimatori di Dolores Prato per la radicalità dell’editing, è stato oggetto di revisione in base alla lettura dei carteggi (Archivio Ferri-Ferrari) e alla consultazione dell’archivio Einaudi a Torino (Paparella, 2007; Severi, 2007; soprattutto Pecorelli, 2008), da cui risulta che le resistenze provennero principalmente dalla direzione commerciale Einaudi, all’epoca rappresentata da Roberto Cerati. Nonostante la stampa si soffermasse forse eccessivamente sul ‘caso’ costituito dall’età dell’autrice, impropriamente rappresentata come esordiente, il libro ebbe buone critiche, confermate quando il saggista e germanista Giorgio Zampa pubblicò il testo integrale per Mondadori nel 1997. Sempre a lui si deve l’edizione delle parti completate sul collegio, prima da Scheiwiller nel 1986 (Le Ore) e 1987 (Le Ore II) , poi riunendo i due testi in un volume Adelphi del 1994.
Prato in vita aveva pubblicato con difficoltà, benché fosse stata apprezzata: nel 1948 vinse il concorso Città di Prato per Sangiocondo; nel 1949, partecipando al premio Taranto con il romanzo Calycanthus. E lui che c’entra?, colpì l’attenzione di Giuseppe Ungaretti; nel 1960 ottenne il secondo posto al premio internazionale Donna-Città di Roma per tre elzeviri apparsi in Paese sera; nel 1965 vinse il premio Stradanova per Scottature; nel 1972 un premio ex aequo al concorso Pallavicini per un articolo sul Tevere in Paese sera; nel 1982 ebbe la targa d’argento al premio Lerici-Golfo dei poeti per Giù la piazza non c’è nessuno.
Proprio mentre stava lavorando alle pagine sull’adolescenza nell’educandato, Dolores Prato cadde e si ruppe un femore. Morì nella clinica Villa dei Pini di Anzio, sul litorale romano, il 13 luglio 1983.
Opere. Sangiocondo, Roma 1963, poi Varsavia 1965 (trad. in polacco di B. Sieroszewska), poi Campane a Sangiocondo, a cura di N. Paolini Giachery, Roma 2009; Scottature, Roma 1964 (poi Macerata 1999; poi Brûleries, Paris 2000, trad. in francese di M. Baccelli); Giù la piazza non c’è nessuno, Torino 1980 (poi, a cura e con introduzione di G. Zampa, Milano 1997; poi, a cura di G. Zampa e con una Notizia sull’autrice e sul testo di E. Frontaloni, Macerata 2009); Le Ore, a cura e con una Nota di G. Zampa, Milano 1986; Le Ore II. Parole, a cura e con una Nota di G. Zampa, Milano 1987; Le mura di Treia e altri frammenti, Treia 1992; Le Ore, a cura e con una nota di G. Zampa (Cronaca della vita apparente), Milano 1994; Interno Esterno Interno, a cura e con una Nota di G. Zampa, Treia 1996; Sogni, a cura di E. Frontaloni, Macerata 2011.
Fonti e Bibl.: Firenze, Gabinetto G.B. Vieusseux, Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti, Dolores Prato (dodici serie da Pa a Pn): il Comune di Treia conserva la riproduzione microfilmata dell’intero fondo. Roma, Archivio privato Ferri-Ferrari.
F. Brevini, L’innamorata dei nomi. L’opera autobiografica di D. P., Treia 1989; I. Ferri Ferrari, in Enciclopedia Italiana, Appendice V, Roma 1994, ad nomen; A. Luzi, Spazialità e soggettività nella scrittura di D. P., in Geografie. Percorsi di frontiera attraverso le letterature, a cura di M.G. Dionisi - P. Galli Mastrodonato - M.L. Longo, Manziana 1999; M. Mizzau et al., Il timbro a fuoco della parola. Voci in dialogo con D. P., Treia 2000; L. Melosi, D. P., in Ead. Profili di donne. Dai fondi dell’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, Roma 2001; S. Severi, L’essenza della solitudine. Vita di D. P., Roma 2002; G. Livi, D. P., in Italiane, a cura di L. Scaraffia - E. Roccella, III, Roma 2004, pp. 233 s. (G. Livi); A. Paparella, “Giù la piazza non c’è nessuno” di D. P.: la vicenda editoriale attraverso le lettere, Roma 2007; S. Severi, Voce fuori coro. Carteggi di un’intellettuale del Novecento, Ancona 2007; N. Pecorelli, Il telaio di Dolores, diss., University of New Jersey (2008), poi Ann Arbor 2011; V. Polci, La voce limpida di D. P.: mito e antimito di Roma capitale, tesi di dottorato, Università di Macerata 2011; Piccole e grandi capitali (a partire da D. P.), sez. monografica in Proposte e ricerche, XXXVIII (2015), 74.