dolzore
Provenzalismo (cfr. Parodi, Lingua 164, 273: ivi un esempio dal Tristano) per " dolcezza "; s'incontra due sole volte, sempre in rima, in senso figurato, per indicare " letizia ", " gioia ", ogni dolcezza terrena: in Vn XIII 8 5 Tutti li miei penser parlan d'Amore / ... altro sperando m'apporta dolzore, / altro pianger mi fa spesse fiate, e in Pd XXX 42 luce intellettüal, piena d'amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogne dolzore, dove D. distingue fra la felicità superiore dei beati e la dolcezza sensibile (si confronti s. Paolo Philipp. 4, 7 " pax Dei... exsuperat omnem sensum ").
L'uso del termine con tale valore è frequentemente documentato nei poeti che precedono D.: Giacomo da Lentini Troppo son dimorato 31 " Cotanto n'ho dolore / e vengiamento e doglia: / vedere non potere / cotanto di dolzore, / amore e bona voglia " (per altri esempi nei poeti siciliani, v. Panvini, Rime, glossario); anche Iacopone O iubelo 4 " Quanno iubel se scalda, sì fa l 'omo cantare, / e la lengua barbaglia e non sa che parlare: / dentro non pò celare, tanto è granne 'l dolzore "; G. Cavalcanti In un boschetto 25 " e tanto vi sentio gioia e dolzore, / che 'l dio d'amore mi parea vedere "; Tedaldi Deh, vergine Maria 3 " partoristi lui con dolzor tanto ".