Domanda di concordato con riserva
Una delle ultime novità del processo di riforma della legge fallimentare tuttora in corso è data dalla figura del concordato preventivo con riserva, suscitata dall’emergenza della crisi economica ma subito fatta segno di critiche severe. Se ne analizzano brevemente contenuti, natura e problemi.
Per una regola generale – che trova la sua espressione fondamentale nell’art. 51 l. fall. – la pendenza di una procedura concorsuale determina la sospensione di altre procedure, concorsuali o esecutive già intraprese e il divieto di avviare nuove azioni esecutive o concorsuali (nella legislazione recente la disposizione è stata estesa alle azioni cautelari). Nel diritto concorsuale tradizionale la dichiarazione di fallimento determinava l’improcedibilità delle azioni esecutive individuali e la pendenza di una domanda di concordato preventivo determinava la sospensione della decisione sulla dichiarazione di fallimento.
A seguito delle riforme del diritto fallimentare avveratesi a partire dal 2005, la regola è stata estesa anche ai contratti di ristrutturazione dei debiti. La pubblicazione di un accordo di ristrutturazione determina un periodo di sessanta giorni di sospensione delle azioni esecutive esperibili da creditori che siano tali per titolo o per causa anteriori a tale data (art. 182 bis, co. 2, l. fall.).
Mancava invece una disciplina che fosse focalizzata proprio sulla sospensione delle iniziative esecutive a prescindere dalla sussistenza di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di una domanda di concordato preventivo già predisposte e depositate in tribunale. Era tuttavia evidente l’importanza di una risorsa normativa che, sul modello di esperienze straniere e specialmente dell’istituto statunitense dell’Automatic Stay (cfr. § 362 Bankruptcy Code), salvaguardasse il patrimonio del debitore divenuto insolvente dalle iniziative esecutive dei singoli creditori onde consentire di procedere razionalmente alla riorganizzazione aziendale1. In questa prospettiva nel 2010 è stato novellato l’art. 182 bis l.fall. con l’introduzione, al comma 6, della possibilità per il debitore di chiedere che il giudice stabilisca un divieto di iniziare e proseguire azioni cautelari o esecutive anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di ristrutturazione.
Nella versione definitiva,messa a punto con un successivo intervento nel 2012, è previsto che per ottenere il provvedimento di sospensione il debitore può limitarsi a depositare una proposta di accordo dichiarando l’esistenza di trattative in corso con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento della complessiva esposizione debitoria.
La novità più importante si è avuta, sempre nel 2012 (con intervento correttivo nel 2013), con la previsione, all’art. 161, co. 6 ss., l. fall., dell’istituto della domanda di concordato “anticipata”, ovvero “in bianco”, ovvero – secondo l’espressione affermatasi nell’uso – “con riserva”2.
Gli aggettivi cercano di esplicare alcune caratteristiche essenziali della figura. La domanda è “anticipata” rispetto alla domanda vera e propria di concordato, da cui deve essere tenuta distinta. L’anticipazione è tale in quanto si riferisce per sommi capi al suo termine, e dunque alla domanda di concordato definitiva. Perciò, la domanda è parzialmente “in bianco”: si annuncia l’intenzione di una domanda definitiva di concordatoma non si contemplano tutti i requisiti che tale domanda deve avere (e che si auspica avrà in un momento successivo). Infatti il debitore, nel depositare la domanda di concordato, si riserva di integrarne aspetti essenziali del contenuto.
L’imprenditore insolvente – dispone l’art. 161, co. 6, l.fall. – può depositare un ricorso contenente la domanda di concordato, insieme a una documentazione obbligatoria (bilanci dei tre esercizi precedenti e l’elenco nominativo dei creditori), espressamente riservandosi di presentare successivamente: i) la proposta di concordato (e dunque l’offerta di soddisfacimento rivolta ai creditori); ii) il piano concordatario (di realizzazione della proposta); iii) la ulteriore documentazione a corredo della domanda (definitiva) stabilita nello stesso art. 161, co. 2 (sulla situazione patrimoniale economica e finanziaria dell’impresa, sui beni del patrimonio della stessa) e 3 (relazione attestativa del piano). Adempiuti questi oneri il debitore può richiedere al tribunale un termine (compreso tra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, fino ad ulteriori sessanta giorni) per la integrazione della domanda di concordato. Nel decorso di tale termine il debitore può provvedere ad organizzare la domanda di concordato sotto la vigilanza, del tribunale ed, eventualmente, di un commissario giudiziale (qualora il tribunale ritenga di procedere a tale nomina sin da questa fase iniziale)3.
Disposizioni di dettaglio sono dedicate alla vigilanza del debitore durante il decorso del termine concesso. Innanzitutto, in linea con il tenore generale dell’istituto concordatario, è stabilito lo spossessamento attenuato del debitore, il quale viene sottoposto per taluni atti ad un potere autorizzatorio del tribunale. In generale, dopo il deposito del ricorso e finché il tribunale non si sia pronunciato sulla domanda definitiva stabilendone l’ammissibilità o la inammissibilità il debitore può compiere gli atti di ordinaria amministrazione dell’impresa; invece può compiere gli atti di straordinaria amministrazione, che peraltro si mostrino urgenti, soltanto previa autorizzazione del tribunale (che decide assunte sommarie informazioni e sulla scorta del parere del commissario giudiziale, se nominato).
Inoltre, grande attenzione è dedicata alle condizioni di trasparenza in cui deve essere esercitata l’attività di impresa in questo periodo. Con il decreto che stabilisce il termine dilatorio il debitore è gravato di precisi obblighi informativi. Il tribunale dispone l’assolvimento di questi obblighi con periodicità almeno mensile. L’informazione deve concentrarsi sulla gestione finanziaria dell’impresa e sull’attività compiuta per la predisposizione della offerta ai creditori e del piano concordatario. Sempre con cadenza mensile, il debitore deve depositare una situazione finanziaria dell’impresa, la quale è pubblicata nel registro delle imprese4.
È espressamente stabilito che i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 l.fall.5. L’importanza di questa conseguenza sotto il profilo della responsabilità patrimoniale e, più in generale, il pericolo di compromissione della garanzia patrimoniale generica in ragione delle attività compiute dal creditore al riparo dalle iniziative in autotutela dei creditori (che in ogni caso possono sempre richiedere di essere sentiti dal tribunale), chiariscono la preoccupazione del legislatore nel dettare le disposizioni sulla vigilanza e sulla trasparenza, e illuminano la severità della sanzione (di inammissibilità della domanda con riserva) in caso di in ottemperanza.
Infine, sempre nella preoccupazione di tutelare gli interessi dei creditori, è stabilito che qualora dovesse risultare che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, anche d’ufficio, il tribunale abbrevia il termine già concesso.
Nello stesso termine attribuito per l’elaborazione della proposta e del piano concordatario, stabilisce l’art. 161, co. 6, l. fall. che il debitore può optare per una soluzione alternativa e profondamente diversa, scegliendo di depositare una domanda (un ricorso) di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti nel mentre raggiunto a norma dell’art. 182 bis l. fall. Questa previsione rende estremamente duttile l’istituto della domanda con riserva, che tuttavia subisce una forte ibridazione, presentandosi come anticipatoria non soltanto di una procedura di concordato preventivo ma anche di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
L’introduzione della domanda di concordato con riserva è successiva alla previsione sul divieto giudiziale in ordine alle azioni individuali durante le trattative per giungere ad un accordo di ristrutturazione dei debiti.
La coesistenza delle due opportunità offerte dal debitore è dunque un risultato voluto dal legislatore.
Il debitore che chiede la protezione dalle aggressioni dei creditori nel corso delle trattative per l’accordo di ristrutturazione deve depositare la documentazione necessaria per la domanda definitiva di concordato, fatta eccezione del piano ma deve comunque dichiarare che sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti; presentare una proposta di accordo e munirsi di una dichiarazione dell’attestatore circa l’idoneità della proposta ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei. Il termine è concesso dal tribunale soltanto una volta verificato l’adempimento di tutti gli oneri prescritti. Il debitore che presenta la domanda con riserva deve assolvere oneri diminor peso circa i depositi documentali; non deve rappresentare la proposta che intende sottoporre ai creditori né, tantomeno, attestazioni: ottiene dunque più facilmente il termine di sospensione, che peraltro è di estensione significativamente maggiore (potendo ben superare i sessanta giorni per giungere fino a centoventi o anche centottanta giorni).
A differenza di quanto accade nell’accordo di ristrutturazione, nel concordato con riserva il debitore subisce lo spossessamento attenuato ed è tenuto agli obblighi informativi, può inoltre essere assoggettato al controllo del commissario giudiziale; ma l’osservazione della prassi dimostra come l’introduzione del concordato con riserva abbia relegato in sordina l’opzione sulla trattativa protetta per l’accordo di ristrutturazione.
Nella realtà l’accordo di ristrutturazione scaturisce usualmente da una domanda di concordato con riserva. L’antefatto naturale del contratto, ossia la contrattazione, è sostituito da una domanda rivolta al tribunale. Tutto ciò ha indotto gran parte della dottrina a convincersi ulteriormente della tesi sulla natura concordataria degli accordi di ristrutturazione: che anziché essere contratti rappresenterebbero forme semplificate di concordato preventivo6.
L’erroneità di questa conclusione dipende da un duplice ordine di ragioni che conviene ribadire per chiarezza di pensiero. Il primo è che la procedimentalizzazione non è incompatibile con la natura contrattuale dell’istituto. Benché si svolga entro canali processuali, la contrattazione non si scioglie in altrettanti momenti di procedura ma conserva la propria natura di attività di autonomia privata (come sopra tutte dimostra la figura dei cd. contratti giudiziali).
Va poi considerato che ogni forma di concordato è determinata dalla regola della concorsualità, ossia della inderogabile parità di trattamento dei creditori. Questa regola non vale invece per i contratti essendo in essi determinato il trattamento di ciascun creditore secondo la regola del consenso.
In conclusione, qualora all’esito della procedura con riserva voglia prospettarsi un concordato preventivo, proposta concordataria e piano dovranno rispettare la regola della par condicio, ossia della concorsualità; quando invece voglia presentarsi un accordo di ristrutturazione dei debiti, l’accordo e il piano saranno emancipati dal rispetto di quella regola fondamentale.
Poiché nella fase del concordato con riserva l’alternativa tra concordato e contratto non è sciolta, e dunque non è definitivamente stabilito se debba seguirsi o meno la regola della concorsualità, il concordato con riserva non può essere classificato come concordato. Ovviamente, nemmeno può essere classificato in termini contrattuali. Si tratta infatti esclusivamente di una procedura di insolvenza caratterizzata dalla mancanza di autonomia e avviata per ottenere un termine di grazia al fine di organizzare una ipotesi di ristrutturazione al riparo dalle aggressioni dei singoli creditori7. Non un concordato; e certamente nemmeno un contratto.
L’osservazione della prassi formatasi intorno al concordato con riserva evidenzia la preoccupazione dei tribunali per la possibile strumentalizzazione della risorsa normativa da parte dei debitori insolventi. La radice di dubbi e perplessità è proprio nella caratteristica della domanda di essere “in bianco”. La lettera della legge non impone nessun contenuto minimo della domanda: che può limitarsi ad enunciare la generica volontà del debitore di organizzare una ristrutturazione dell’impresa. Cosicché la domanda si sostanzia nella richiesta di un termine, che peraltro il tribunale – soddisfatte le condizioni minimali sopra riassunte circa il deposito documentale, ed effettuate le ulteriori verifiche in termini di fallibilità del richiedente e di competenza territoriale dell’ufficio giudiziario – è tenuto a concedere8.
Con gli ultimi interventi il legislatore ha imposto articolati obblighi informativi, oltre alla possibilità che la gestione dell’impresa sia controllata da un commissario giudiziale. Il debitore resta tuttavia esonerato dal fornire un qualsiasi contenuto minimo alla domanda. Si limita a chiedere tempo; tregua dai propri creditori: e il tribunale è tenuto a concedere un termine di grazia. Ed è importante sottolineare come nella procedura non sia previsto nessun significativo potere di intervento dei creditori, al fine di far valere le proprie ragioni davanti al tribunale.
Semplicemente, nello svolgimento delle funzioni nell’istruttoria delle decisioni, il tribunale può “sentire” i creditori (art. 161, co. 8, l. fall., in fine).
Qualcuno minimizza l’inconveniente per i creditori argomentando sulla durata contenuta della sospensione delle azioni esecutive, sullo spossessamento attenuato del debitore e sui penetranti controlli ai quali può essere sottoposto in quella fase.
Eppure le preoccupazioni restano, come è facile constatare consultando rassegna di giurisprudenza e leggendo le ricorrenti decisioni in materia di cd. “abuso del concordato con riserva”9. La ragione si coglie facilmente confrontando le diverse discipline della tutela anticipata nei contratti di ristrutturazione e nel concordato con riserva. Mentre nel primo caso deve essere depositata una proposta di accordo, invece nel secondo caso il debitore può astenersi da qualsiasi ragguaglio su ciò che intende fare nel breve termine concessogli per organizzare la ristrutturazione. Quale potrebbe mai essere la ragione – meritevole di tutela – della riservatezza del debitore? Perché mai nel momento in cui viene richiesto un termine dichiarando l’esistenza di una condizione di allarme per i creditori (la crisi d’impresa) dovrebbe serbarsi il mistero sulla strategia da seguirsi nei giorni immediatamente successivi; dovrebbe rimanere celato il trattamento che, a grandissime linee, potrebbe essere riservato ai creditori; dovrebbe tacersi su eventuali trattative in corso, con creditori o terzi? Una risposta potrebbe essere: perché in quel momento il debitore non ha nessuna idea su tutto ciò. Ma sarebbe una risposta inquietante.
Il limite del concordato con riserva è tutto qui. I dubbi che si sollevano su ciò che il debitore può fare in questa fase (in ordine al pagamento di crediti pregressi; alla assunzione di debiti da pagare in prededuzione; anche relativi a finanziamenti per l’impresa; alla sospensione o allo scioglimento dei contratti in esecuzione) derivano piuttosto che dal carattere transitorio del concordato – destinato a diventare un accordo di ristrutturazione, un concordato vero e proprio o ad essere dichiarato inammissibile – dalla assoluta in trasparenza consentita al debitore sulle proprie intenzioni future. Si raccolgono informazioni e si controlla l’attività di una impresa in crisi senza conoscere, nemmeno in generale, le linee della azione che eventualmente il debitore si prefigura di compiere.
Una conseguenza importante di questo stato di cose riguarda il ruolo e i poteri del commissario giudiziale eventualmente nominato. A differenza di quanto accade nel concordato vero e proprio, mancano al commissario giudiziale i criteri fondamentali oltre ad un oggetto sufficientemente individuato per esercitare il controllo che ci si attende da lui.Non essendo delineata, neanche per sommi capi, la proposta che si intenderebbe presentare, dopo un ulteriore lavoro di precisazione, ai creditori e non essendo presentato, neanche in una bozza sommaria, la strategia di superamento della crisi d’impresa, fatalmente l’attività prosegue sotto gli occhi del commissario giudiziale indirizzandosi verso mete sconosciute.
La reazione naturale è di concentrarsi esclusivamente sulla conservazione della garanzia patrimoniale dei creditori, cercando di denunciare e combattere qualsiasi mutamento del patrimonio del debitore e di scongiurare e reprimere qualsiasi deragliamento dei binari della parità di trattamento (che, qualora il concordato si evolvesse in contratto, nemmeno dovrebbe essere assicurata). È qui la radice della palese ostilità manifestata dai commissari giudiziali verso atti di straordinaria amministrazione, pagamenti di crediti pregressi e maturazione dei debiti in prededuzione. Probabilmente una indagine dedicata dimostrerebbe che laddove le domande con riserva sono adeguatamente illustrate circa il piano che si intende realizzare e la proposta che si intende presentare ai creditori, gli usuali problemi sollevati dei giudici nella preoccupazione dell’abuso concordatario si ridimensionano notevolmente consentendo una efficace operatività di impresa verso obiettivi prestabiliti, comunicati e dunque sottoposti ad una più generale condivisione.
1 Cfr., in generale, Baird, D.G., Elements of Bankruptcy, Foundation Press, New York, 2010, 191 ss.
2 Cfr., per un inquadramento generale di disciplina e giurisprudenza, Amatore, R.-Jeanet, L., Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 25 ss.
3 Come si prospettava sarebbe accaduto per gestire i casi più complessi (cfr. Arato,M., Il concordato preventivo con riserva, Torino, 2013, 94) e invece si verifica praticamente in tutti i casi.
4 Cfr. Balestra, L., Gli obblighi informativi periodici nel c.d. preconcordato, in Fallimento, 2013, 108 ; Liccado, P., Art. 161 l.f., in Il concordato preventivo degli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro,M. Sandulli,M. Santoro, Torino, 2014, 68 ss.
5 Cfr. Leuzzi, S., Preconcordato abortito e prededuzione dei crediti, in www.ilfallimenatrista.it, p. 7.
6 Il dibattito è ricostruito in Frascaroli Santi, E., Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis l. fall., in Trattato di diritto fallimentare, a cura di F. Vassalli, F. Luiso, E. Gabrielli, IV, Torino, 2014, 468 ss.; v. anche Pierucci, S., “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti”. Profili di concorsualità e riflessioni sulla figura del professionista attestatore, in www.giustiziacivile.com, 8.7.2014.
7 Cfr. Terranova,G., Le nuove forme di concordato, Torino, 13, 21 ss.
8 Cfr. le osservazioni di Vella, P., Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, in Fallimento, 2013, 82 ss.
9 Cfr. Ambrosini, S., L’anticipazione degli effetti della domanda di concordato, in Trattato di diritto fallimentare, IV, cit., 91 ss.