domanda (dimanda; dimando)
La voce ‛ dimanda ' torna in D. quattordici volte di cui nove nella Commedia; usata è anche la forma ‛ dimando ' , per metaplasmo di genere dal femminile al maschile (Parodi, Lingua 246) che ricorre, sempre nella Commedia, sette volte; in un solo luogo, nel poema, è presente la forma ‛ domanda ', che nel Fiore s'incontra tre volte.
Il termine indica l'atto del domandare, l'interrogazione, il quesito, rivolti a qualcuno per ottenere una risposta a ciò che si desidera: Rime CIV 30 egli [Amore], pietoso e fello, / di lei e del dolor fece dimanda; Cv I XII 1 E non altrimenti sarebbe fatta la dimanda e la risposta di colui e di me; II V 18, III Amor che ne la mente 29, IV XXVII 18; If X 16 Però a la dimanda che mi faci / quinc'entro satisfatto sarà tosto, e 126, XV 79, XVIII 82, XIX 78, XXIV 77; Pg III 94 Sanza vostra domanda io vi confesso / che questo è corpo uman che voi vedete; VI 69, XIII 77, XIV 75, XXII 31, Pd IX 80, XXI 93 quel serafin che 'n Dio più l'occhio ha fisso, / a la dimanda tua non satisfara. Così in Fiore XV 2, LXXVIII 5, CLXXII 1. Per estensione, in Pg IV 18 Qui è vostro dimando, il termine indica l'oggetto della richiesta, della petizione.
Nell'accezione più forte di " richiesta " che nasce da profondo e violento desiderio, in Cv IV XXV 9 quante disoneste cose e dimande [il pudore] fa tacere, e Pg XX 107, dov' è ricordata la dimanda gorda di Mida. In If II 97 Questa chiese Lucia in suo dimando, l'espressione è forse, come osservano il Chimenz e il Sapegno, un modo ridondante che riprende e ripete il valore del verbo chiese (come ai vv. 56-57 cominciommi a dir... / in sua favella). Il Boccaccio interpreta " nel suo prego ", e Benvenuto chiosa " ad sui petitionem sive praeceptum ", attribuendo valore finale all'espressione. Tra i commentatori moderni il Porena invece la considera complemento di vantaggio, con il valore di " a servizio del suo desiderio ".