Domanda
Intesa come termine dell'odierno lessico economico, la parola 'domanda' possiede almeno due significati distinti. Il primo significato è quello di domanda o assorbimento osservato di un bene. Tale assorbimento viene per lo più paragonato a una norma, rappresentata dal flusso di domanda che viene soddisfatta dall'offerta normalmente disponibile. È questo il significato a cui si deve pensare quando ci si imbatte in frasi del tipo: "la domanda di servizi alberghieri nelle località turistiche alpine fu straordinariamente elevata a fine anno a causa delle lunghe vacanze scolastiche di Natale". Il secondo significato è quello di domanda o assorbimento potenziale, inteso come funzione di una o più variabili esplicative. Un esempio di questo secondo significato si può ricavare dalla seguente proposizione: "sulla base dell'esperienza accumulata, una riduzione del 10% delle tariffe aeree sui voli interni potrebbe provocare un aumento della domanda di viaggi aerei nella misura del 12%".
Prima di fornire altre precisazioni terminologiche è opportuno soddisfare una curiosità implicita. A quali oggetti materiali o immateriali ci riferiamo quando parliamo di domanda? Sarà il contesto a chiarire se si fa riferimento a singoli beni o servizi, a insiemi di beni, come quando si parla ad esempio di domanda di materie prime, oppure alla domanda globale, cioè domanda in senso macroeconomico, rivolta all'intero insieme dei beni prodotti. In questo senso ci si può imbattere in espressioni come domanda mondiale, o domanda dei paesi industrializzati. Si deve inoltre distinguere tra domanda individuale, non importa se di un singolo bene o di un insieme di beni, e domanda riferita a un intero mercato. Si possono pertanto incontrare espressioni come domanda mondiale di rame, che fanno appunto riferimento a un determinato mercato mondiale.
A qualunque oggetto o specificazione di ampiezza ci si riferisca, vale la distinzione inizialmente introdotta tra domanda osservata, e perciò misurabile, e domanda potenziale, intesa come funzione di altre variabili. Si riconduce al primo significato l'idea di domanda effettiva, ossia domanda che si è realizzata: un'espressione originariamente introdotta da D. Ricardo (1772-1823) e da T.R. Malthus (1766-1834), ma divenuta comune dopo l'uso che J.M. Keynes (1883-1946) ne fece nella Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936). Potrà accadere in questo senso di incontrare proposizioni del tipo: "il sistema è caduto in una situazione di disoccupazione per mancanza di domanda effettiva" (evidentemente, in questo caso, domanda globale). Esempi di domanda come funzione si possono invece ritrovare nelle ben note curve di domanda (o schede di domanda), vale a dire grafici nei quali la quantità suscettibile di essere domandata è rappresentata in funzione del possibile prezzo (v. fig. 1). (Per una peculiarità dovuta ad A. Marshall, 1842-1924, che per primo le introdusse, le curve di domanda si rappresentano solitamente con la quantità di domanda in ascissa e il prezzo in ordinata, anziché viceversa; ma questa è soltanto una convenzione. Per la medesima ragione si parla talvolta di prezzo di domanda, avendo riguardo al prezzo che i richiedenti sarebbero disposti a pagare in relazione a una determinata quantità). A completamento delle questioni terminologiche è opportuno ricordare alcuni concetti contigui a quello di domanda. Il termine consumo è utilizzato in diversi contesti come sinonimo di domanda. Semplicemente il termine consumo sottolinea l'aspetto dell'utilizzo di ciò che viene domandato, piuttosto che il semplice atto del richiedere. Per questo il termine consumo viene più spesso riferito ai consumatori anziché alle imprese. Spesa è viceversa il termine che pone l'accento sull'aspetto di esborso monetario connesso alla domanda, sia essa realizzata che potenziale. Fanno riferimento alla nozione di spesa le curve di Engel che descrivono, in base a generalizzazioni di carattere empirico, l'andamento della spesa (o delle quote di spesa) nelle diverse categorie di beni al variare del reddito totale di un consumatore o di una famiglia (v. fig. 2).
Che l'attività economica umana sia caratterizzata in modo essenziale dalla produzione di beni diversi e che gli individui e le collettività in diverse circostanze di tempo, luogo, evoluzione domandino e ottengano beni diversi sono dati di fatto troppo noti per aver bisogno di essere sottolineati. Di qui la curiosità di natura scientifica di comprendere perché determinati beni e servizi e non altri vengano domandati e prodotti. Questa curiosità e la percezione di una posizione centrale dell'attività di consumo nella sfera economica del comportamento umano hanno radici lontane. Il riconoscimento di questa posizione si può ritrovare nel pensiero filosofico antico (che precede e anticipa quello economico), per esempio in Platone, che in qualche modo vi riconnette l'origine dello Stato ideale. Il pensiero economico preclassico, tuttavia, dai filosofi medievali fino ai mercantilisti, pur consapevole dell'importanza del soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell'uomo per la sua sussistenza, non coglie nella domanda di beni una tematica degna di preminente interesse. È viceversa A. Smith (1723-1790), l'iniziatore della scuola di pensiero economico detta classica, il primo, tra gli autori moderni, ad affermare che "il consumo è il solo fine e scopo di ogni produzione, e non ci si dovrebbe mai prender cura dell'interesse del produttore se non in quanto ciò possa tornare necessario per promuovere quello del consumatore". Occorre dunque riconoscere che diversa è l'enfasi posta sulla rilevanza della domanda di beni e sulla diversificazione dei consumi a seconda che ci si trovi in presenza di società prigioniere del problema della sussistenza, oppure di società caratterizzate dalla crescita della ricchezza e dalla disponibilità di risorse.
Vi è però un altro motivo, maggiormente sistemico, per il quale la domanda occupa una posizione di rilievo primario nell'analisi economica. Questo motivo va messo in relazione al fatto che domanda e offerta sono oggi (dopo le vivaci controversie teoriche sviluppatesi nei due secoli di storia dell'economia come disciplina specifica) ritenute due pilastri della teoria dei prezzi. L'altro grande problema che da sempre ha affascinato gli economisti teorici è infatti quello di fornire una soddisfacente spiegazione delle ragioni per cui i diversi beni e servizi si scambiano tra loro in rapporti determinati, che sono appunto i prezzi (relativi). La teoria della domanda rappresenta dunque oggi, fatte salve alcune eccezioni, una parte essenziale della teoria dei prezzi.
In Smith sia l'idea di domanda intesa come consumo e come fine dell'attività economica, sia quella di domanda come forza concorrente alla determinazione dei prezzi, sono entrambe presenti. Smith afferma infatti che il prezzo (di ogni bene prodotto) tende nel lungo periodo a identificarsi con il prezzo naturale, che si risolve nelle categorie essenziali del costo di produzione: salari, profitti e rendite. La domanda suscettibile di realizzarsi in presenza del prezzo naturale è detta domanda effettuale, ma nel breve periodo può manifestarsi una domanda superiore o inferiore a quella effettuale, che di conseguenza spinge il prezzo di mercato verso l'alto oppure verso il basso. In questo autore è dunque presente sia l'idea di prezzo naturale, inteso come costo di produzione indipendente dalla domanda (concezione questa condivisa da numerosi economisti appartenenti alla scuola classica, tra cui Ricardo), sia l'idea di prezzo come indice di scarsità in presenza di una domanda anomala (diversa da quella effettuale).
Al di là dell'affermazione di Smith sulla centralità del consumo, l'interesse di questo autore, come della maggior parte degli economisti classici, è concentrato sul prodotto netto o sovrappiù. L'economista che osserva il mondo in trasformazione agli inizi della rivoluzione industriale è affascinato dalla crescita del sovrappiù e pertanto la stessa idea di consumo è concretamente considerata interessante nella misura in cui il consumo produttivo è funzionale al processo di espansione del sovrappiù. Questa convinzione ha indotto alcuni studiosi (v. Zamagni, 1977) ad avanzare l'ipotesi che manchi in diversi autori classici un'autentica teoria del consumo (non ovviamente una riflessione di carattere empirico intuitivo) proprio a causa della polarizzazione degli interessi sul problema del sovrappiù e della sua continua espansione.
Altri autori classici sono inclini a minimizzare il ruolo della domanda e della scarsità relativa nella spiegazione dei prezzi. Ricardo, in particolare, ritiene che i prezzi si spieghino a livello macroeconomico, in termini di salario e di tasso di profitto, resi omogenei nel sistema dalla concorrenza. Le terre più fertili di quella marginale riceveranno una rendita proporzionale alla loro fertilità, mentre sulla terra marginale non vi sarà rendita. Il prezzo (del grano, ma per estensione di ogni altro bene) si risolverà quindi in salario e profitto.
In anni recenti, e in opposizione alla scuola neoclassica di cui diremo, la tesi di Ricardo sui prezzi naturali è stata ripresa da P. Sraffa (1898-1983) e da una corrente di pensiero detta neoricardiana che ha trovato in L. Pasinetti (n. 1930) uno tra i più eminenti rappresentanti. Questa corrente di pensiero, interpretando Ricardo, tende a distinguere nell'analisi economica gli elementi naturali, ossia imposti dalla tecnologia e dalle leggi fisiche, da quelli che sono frutto di specificità storica e pertanto mutevoli con i sistemi sociali e politici. La scuola neoricardiana prescinde dal ruolo della domanda nella determinazione dei prezzi, in quanto si concentra sulla nozione di prezzi (costi) di produzione. Si deve tuttavia rilevare che condizione necessaria affinché i prezzi di produzione risultino indipendenti dalla configurazione per settori e beni imposta alla produzione dalla domanda è che i costi unitari di produzione (prezzi) siano costanti e dunque indipendenti dalla quantità prodotta (rendimenti costanti di scala).
Questa è in effetti la posizione sostenuta da Sraffa (v., 1925 e 1926) contro la tradizionale impostazione marshalliana. Si deve d'altronde ricordare che esistono contesti analitici nei quali l'ipotesi di costi unitari di produzione costanti non appare opportuna. In questi casi la domanda entra come elemento necessario nella teoria dei prezzi.
Il superamento di un'impostazione intuitiva dell'analisi della domanda si ha con l'emergere dell'indirizzo soggettivistico nell'economia politica nella seconda metà dell'Ottocento. Per cercare di offrire una risposta al problema di che cosa e quanto si domanda, ci si interroga sul modo in cui funziona la mente umana. Si afferma l'idea che ogni proposizione relativa al comportamento della società o di un gruppo debba fondarsi sulla comprensione del comportamento dell'individuo. Quindi, per generalizzazione e per aggregazione, ci si potrà pronunciare sul comportamento di un insieme di individui. I maggiori rappresentanti della scuola soggettivistica sono S.W. Jevons (1835-1882), A. Marshall, L. Walras (1834-1910), V. Pareto (1848-1923). L'indirizzo di Marshall, dei cosiddetti equilibri parziali, conosce una grande fortuna nel mondo degli studi; ma, dal punto di vista metodologico, l'inserimento dell'analisi della domanda all'interno degli schemi di equilibrio economico generale, in conformità all'impostazione di Walras e Pareto, si rivela più efficace e metodologicamente fondato.
La teorizzazione parte dai bisogni del singolo individuo, dalla considerazione di una dotazione limitata di mezzi (potere d'acquisto) del medesimo, dall'utilità dei diversi beni al fine del soddisfacimento dei bisogni e dall'idea che l'utilità sia proporzionale alla quantità di beni posseduti. A questi dati di fatto si sovrappone un criterio di comportamento da parte dell'individuo, che è quello della massimizzazione dell'utilità. Il termine utilità, che originariamente coglie un attributo dei beni, con il passare del tempo viene così ad assumere il significato prevalente di soddisfazione, o grado di utilità conseguito da un individuo. Si configura così il concetto di funzione di utilità. Tale funzione è generalmente ipotizzata continua, monotona (cioè crescente in tutti gli argomenti) e convessa (caratteristica che pone limitazioni alla sostituibilità tra beni per dati livelli di utilità); spesso si ipotizza anche che l'utilità sia separabile, vale a dire che la funzione di utilità presenti forma additiva. Sotto il profilo dell'algoritmo utilizzato, dalle condizioni necessarie per l'esistenza di un massimo vincolato della funzione di utilità (massimo vincolato perché la dotazione dell'individuo è limitata) si ricavano altrettante funzioni di domanda per i diversi beni e servizi cui l'individuo può accedere.
Le odierne trattazioni manualistiche fanno uso di uno strumento grafico, quello delle curve di indifferenza, introdotto per la prima volta da F.Y. Edgeworth nel 1881. Le curve di indifferenza mettono in evidenza gli ipotetici livelli della funzione di utilità e vengono rappresentate con riferimento alle quantità (coppie) di specifici beni, misurate lungo gli assi di un diagramma cartesiano. Si può immaginare un mondo nel quale i beni esistenti si riducono a due, grano e vino, oppure una situazione in cui un bene è contrapposto all'insieme di tutti gli altri (supposto che tale insieme sia misurabile in opportune unità di misura). Le curve di indifferenza vengono rappresentate con la convessità rivolta verso l'origine e tendenti asintoticamente agli assi, per indicare che la sostituzione tra beni, sotto il profilo dell'utilità, diviene tanto più difficile quanto più un bene si fa scarso. Curve di indifferenza via via più distanti dall'origine degli assi corrispondono a più elevati livelli di utilità per l'individuo considerato.
Sul medesimo diagramma si rappresenta il vincolo di bilancio, ossia l'insieme di tutte le coppie di beni acquistabili dall'individuo considerato, nei limiti delle risorse che questi ha disponibili. Se con il simbolo w si conviene di rappresentare la dotazione (monetaria) di cui l'individuo dispone, l'insieme delle coppie di beni acquistabili è rappresentato dal triangolo che ha per vertici l'origine degli assi 0, il punto di coordinata w/p₁ lungo l'asse q₁ e il punto di coordinata w/p₂ lungo l'asse q₂. La retta che passa per i due vertici che giacciono sugli assi ha evidentemente equazione
w = p1q1 + p2q2,
o, se si preferisce,
q1 = - (p1/p2)q1 + (1/p2)w,
la cui rappresentazione grafica è detta linea di bilancio o frontiera delle possibilità di acquisto (v. fig. 3).
In termini grafici il problema di massimo del consumatore corrisponde alla ricerca della curva di indifferenza maggiormente distante dall'origine e purtuttavia compatibile con il vincolo di bilancio. La semplice ispezione del grafico consente di rilevare che il punto di massima utilità è quello in cui la linea di bilancio è tangente a una curva di indifferenza (la più esterna rispetto all'origine tra quelle che sono raggiungibili rimanendo sulla frontiera delle possibilità di acquisto). Prima di I. Fisher (v., 1892) e di V. Pareto (v., 1896-1897) l'utilità era stata concepita come effettivamente misurabile in termini di grado di soddisfazione (utilità cardinale). Questi due autori hanno sostituito all'idea di utilità cardinale quella di utilità ordinale, mettendo in luce che una qualunque trasformazione crescente della funzione di utilità lascia invariato l'ordine delle preferenze e in ultima analisi le caratteristiche della domanda. Sulla base di funzioni di utilità cardinali Marshall e Walras avevano già ottenuto funzioni di domanda nelle quali la quantità domandata appare funzione della dotazione (reddito) e dei prezzi di tutti i beni, come accade nell'esempio grafico sopra riportato. Nel 1915 E. Slutsky (1880-1948) generalizzò i risultati precedenti utilizzando una funzione di utilità ordinale e ricavando una funzione di domanda suscettibile di verifica empirica nel senso odierno dell'espressione.
In particolare il contributo di Slutsky è noto per l'analisi degli effetti sulla domanda di un bene (poniamo il bene j) conseguenti alla variazione del prezzo di un qualunque altro bene (poniamo il bene i). L'equazione di Slutsky mostra come suddividere l'effetto di tale variazione sulla domanda del bene (qj) in due distinte componenti, dette effetto di sostituzione ed effetto di reddito. Il primo coglie la conseguenza sulla cosiddetta domanda compensata (ossia la domanda che si manifesterebbe rimanendo sulla originaria curva di indifferenza) della variazione del prezzo relativo pi/pj. Tale conseguenza è costituita da un aumento della domanda del bene j, divenuto relativamente meno caro del bene i. Il secondo effetto, quello di reddito, coglie la conseguenza del fatto che la modificazione di un singolo prezzo, nel nostro caso un aumento del prezzo del bene i, riduce il valore reale della dotazione monetaria dell'individuo di cui ci stiamo occupando e di conseguenza lo spinge a spostarsi su una curva di indifferenza meno distante dall'origine degli assi. L'esame comparato dei due effetti, di reddito e di sostituzione, che si manifestano congiuntamente in presenza dell'aumento di un prezzo, consente di affermare che, mentre l'effetto di sostituzione sarà certamente positivo, l'effetto di reddito risulterà negativo o positivo a seconda che il bene considerato sia un bene superiore (la cui domanda cresce all'aumentare del reddito reale: è il caso tipico degli alimenti carnei, ricchi di proteine, e dei consumi culturali), oppure un bene inferiore (si pensi ad alimenti quali patate e pane comune). L'esistenza di beni inferiori la cui domanda possa accrescersi a causa di un significativo effetto di reddito associato a un aumento di prezzo fu considerata da Marshall nei Principles come un'eccezione alla 'legge' generale della domanda, meritevole di essere segnalata come paradosso di Giffen, dal nome di R. Giffen (1837-1910), statistico ed economista inglese, che per primo mise in evidenza il fenomeno.
Abbiamo già segnalato come la tematica della domanda si connetta profondamente a quella della determinazione del sistema dei prezzi. Questo collegamento è pienamente evidente nella nozione di equilibrio economico generale, dovuta in origine a L. Walras (v., 1874-1877) e utilizzata modernamente per indicare uno dei maggiori filoni della ricerca teorica nel campo economico. La teoria dell'equilibrio economico generale esprime la massima ambizione: quella di rendere ragione delle quantità domandate, offerte e prodotte di tutti i beni (presenti e futuri), come pure dei prezzi, relativi e assoluti, incluso il saggio (o i saggi) di interesse, sia pure a livello di elevata generalizzazione (ossia riduzione a una medesima concezione unitaria). Si comprende come poche tematiche rilevanti della ricerca economica siano in senso assoluto estranee all'equilibrio generale. J. Schumpeter (1883-1950), il grande storico del pensiero economico (History of economic analysis, 1954), esprimeva l'avviso che l'equilibrio generale rappresentasse la più ragguardevole delle concezioni fino ad allora elaborate riguardo al funzionamento del sistema economico.
Ai nostri fini è sufficiente richiamare il fatto che, alla luce delle teorie dell'equilibrio generale, caratterizzate da un alto grado di interdipendenza tra tutte le variabili che entrano nell'analisi, la distinzione tra teorie dei prezzi determinati dalla domanda e teorie dei prezzi come espressione dei costi di produzione perde gran parte del suo significato. Dato l'alto grado di interdipendenza, è corretto esprimere l'idea sintetica secondo cui i prezzi sono nel medesimo tempo espressione di tutte le ipotesi su cui poggia la teoria dell'equilibrio generale: preferenze degli individui, tecnologie note e applicabili, risorse naturali disponibili e capitale accumulato, struttura distributiva della proprietà delle risorse e del capitale. La formulazione sintetica che ricollega i prezzi ai gusti, alle tecnologie e alla scarsità appare dotata di un buon grado di realismo. Già in passato era questa, del resto, la posizione espressa da eminenti economisti come F. Ferrara (1810-1900) nell'Esame storico-critico di economisti e dottrine economiche nel secolo XVIII e prima metà del secolo XIX (1889-1890) e V. Pareto nel Manuale di economia politica (1906).
L'idea di utilità non è nuova nell'economia politica. Si deve a J. Bentham (1748-1832) l'enunciazione del principio utilitaristico. Si tratta del postulato fondamentale secondo cui le azioni del singolo individuo (e di conseguenza anche i fatti sociali) debbono essere comprese sulla base dei risultati che producono. In quanto tale il postulato non è ovviamente verificabile. Suscettibili di verifica empirica, secondo i canoni del positivismo scientifico, sono viceversa le sue implicazioni (tra le quali, come cercheremo di mostrare, vi è anche il consumo).
Il principio utilitaristico è stato spesso bollato per la sua asserita indipendenza da un fondamento etico. Ma tale valenza negativa non è necessariamente presente. Se una norma etica, o un principio religioso, è rilevante per un dato soggetto, tra le conseguenze di una ipotetica trasgressione di quella norma, o di quel principio, vi è appunto il 'peso negativo' della violazione. Il principio utilitaristico non implica che il vantaggio materiale debba sempre e comunque essere anteposto allo svantaggio morale. Certo l'analisi del comportamento soggettivo mediante una funzione di utilità presuppone la possibilità del confronto tra situazioni o risultati attesi tra loro alternativi. Ma ciò sembra del tutto coerente con il principio di razionalità, con il quale, debitamente specificato, il principio utilitaristico può venire a identificarsi.
Il principio di razionalità, per esemplificare, implica che tra due alternative, differenti esclusivamente per la misura in cui un bene è presente nei due insiemi di scelta, venga preferita (considerata maggiormente utile) quella che contiene la maggiore quantità del bene in questione. Analogamente, una volta ammessa la confrontabilità, sotto il profilo dell'utilità, tra alternative comportamentali tutte perseguibili, il principio di razionalità implica che venga scelta la più utile. Se un individuo possiede principî morali non è ovvio pensare che un'alternativa tale da prevedere un comportamento immorale sia anteposta, quanto a utilità, a un'alternativa che non implica tale comportamento immorale. Se un altro individuo non possiede principî morali non farà meraviglia che il suo ordinamento delle alternative possa attribuire maggiore utilità a comportamenti giudicati immorali da chi possiede principi morali. Ancora, se un individuo ammette come valore l'altruismo, è conforme alla sua utilità che egli sia indotto a preferire alternative di comportamento altruistiche. In definitiva sembra che il principio utilitaristico possa essere inteso come principio di razionalità, non necessariamente come principio egoistico.
Nel corso della trattazione abbiamo già avuto occasione di stabilire una connessione tra utilità e preferenze. A partire dagli anni quaranta e cinquanta, autori come P. Samuelson (1948), H.S. Houthakker (1950) e successivamente K. Arrow e G. Debreu (v., 1954; v. Debreu, 1954) si sono proposti di 'spogliare' la teoria della domanda dalla connotazione ideologica che secondo alcuni è connessa al concetto di utilità, limitandosi a considerare e a interpretare dati di fatto osservati: le preferenze rivelate. Quando si segue questo modo di affrontare il problema del consumatore si suppone, e sperimentalmente si può verificare, che ciascun individuo sia in grado di esprimere i propri gusti e desideri dichiarando la propria preferenza tra vettori di beni ipoteticamente consumabili o fruibili. Più precisamente la relazione di preferenza, rappresentabile mediante il simbolo ≿, permette di confrontare tutti i possibili vettori di beni appartenenti all'insieme dei vettori di beni consumabili X (che evidentemente costituisce un sottoinsieme dello spazio euclideo a un conveniente numero di dimensioni). Indicando con i simboli x e y due vettori appartenenti all'insieme X, la proposizione simbolica
x ≿ y
significa che x è preferito o indifferente rispetto a y. Il problema del consumatore può essere riformulato una volta definito l'insieme bilancio
β(p,w) = {x∈ X | px ≤ w},
dove il simbolo p rappresenta il vettore dei prezzi e il simbolo w il valore monetario delle risorse iniziali (può trattarsi di un vettore di beni moltiplicato per il vettore dei prezzi). Si tratta infatti di scegliere, nell'ambito dell'insieme bilancio, il vettore preferito.
La relazione di preferenza viene abitualmente caratterizzata dalle tre proprietà seguenti.
Completezza: se i vettori x e y appartengono all'insieme X dei beni consumabili, o
x ≿ y oppure y ≿ x.
Proprietà transitiva: se i vettori x, y, z appartengono all'insieme X e valgono le relazioni
x ≿ y e y ≿ z, allora x ≿ z.
Proprietà riflessiva: se il vettore x appartiene all'insieme X, esso è preferito o indifferente rispetto a se stesso, ossia
x ≿ x.
Queste tre proprietà sono generalmente ammesse nelle formulazioni del problema delle scelte del consumatore, in quanto richieste dalla razionalità (tuttavia la proprietà transitiva e quella di completezza risultano talvolta contraddette dal comportamento osservato).
Non è difficile stabilire una corrispondenza tra la relazione di preferenza propria del metodo delle preferenze rivelate e la funzione di utilità impiegata nell'ambito del metodo tradizionale. La funzione di utilità può dunque essere considerata uno strumento con cui rappresentare la relazione di preferenza. Alla relazione di preferenza vengono generalmente attribuite caratteristiche di continuità, monotonicità, convessità e talvolta additività analoghe a quelle che si applicano alla funzione di utilità.
Le ipotesi del problema sono inoltre suscettibili di venire generalizzate, in modo che lo spazio dei beni possa includere vettori con componenti negative, da intendere come prestazioni onerose da parte del consumatore (esempio tipico è quello della prestazione lavorativa, che concorre a definire la dotazione), nonché vettori che abbiano per componenti beni futuri diversamente datati o persino contingenti, cioè subordinati al realizzarsi di determinati stati di natura.
Procedendo con il metodo delle preferenze rivelate è possibile dimostrare la positività dell'effetto di sostituzione, in presenza di aumento del prezzo di un bene diverso da quello domandato, come pure la positività dell'effetto di reddito, in presenza di aumento della dotazione, quando il bene domandato appartiene alla categoria dei beni superiori, in analogia con i risultati già illustrati descrivendo il metodo tradizionale.
È inoltre possibile ottenere una funzione di domanda del consumatore, che genera una rappresentazione dell'insieme bilancio del consumatore (funzione del vettore dei prezzi e della dotazione) nell'insieme dei vettori consumabili,
,
dove il simbolo B indica l'insieme dei vettori ottimi, cioè preferiti in ogni possibile insieme bilancio β(p, w) e dunque in corrispondenza a ogni possibile coppia (p, w). Questa funzione di domanda individuale corrisponde evidentemente a quella ottenuta con il metodo tradizionale.
Nel corso degli ultimi anni la ricerca teorica nel campo della domanda di beni è stata rivolta in parte non trascurabile a indagare se il comportamento coerente di un consumatore possa essere convenientemente descritto sulla base di caratteristiche più 'deboli' di quelle della teoria standard. Sono da segnalare al riguardo i contributi di H. Sonnenschein (v., 1971), D. W. Katzner (v., 1971), W. Shafer (v., 1974), R. Kihlstrom e altri (v., 1976), T. Kim e M.K. Richter (v., 1986).
Un altro problema di rilevante interesse concettuale a cui la ricerca teorica recente si è indirizzata è quello della integrabilità delle funzioni di domanda, vale a dire il problema della determinazione della funzione di utilità a partire dalla funzione di domanda. Questa linea d'indagine era già stata aperta molto tempo addietro da G.B. Antonelli (v., 1886). Per risultati più recenti si può vedere D.W. Katzner (v., 1970).
Un modo nuovo di affrontare la teoria della domanda di beni di consumo è stato inaugurato all'inizio degli anni settanta da K. Lancaster (v., 1966) e da D.S. Ironmonger (v., 1972), che hanno concepito l'attività di consumo come tecnologia del consumo, basata sulle caratteristiche oggettive dei beni. L'idea di trattare il fenomeno consumo e il fenomeno produzione per mezzo di un medesimo schema si inquadra per la verità in uno sforzo di generalizzazione che non è nuovo nella teoria economica (basterebbe al riguardo citare la magistrale opera di R.J. Hicks, Value and capital, 1939). Qui però l'elemento veramente innovativo consiste nel riconoscere, al di là dell'apparente specificità dei beni, le caratteristiche oggettive rilevanti ai fini del soddisfacimento dei bisogni umani.Se quelle ricordate costituiscono aree di nuova esplorazione, occorre anche ricordare l'esistenza di linee di riflessione in negativo, che contestano il fondamento comportamentale della teoria delle preferenze rivelate. In questa direzione si muove A. K.Sen (v., 1973).
È abituale descrivere la reattività della funzione di domanda di un bene rispetto ai suoi argomenti, prezzo del bene medesimo, prezzi di altri beni, dotazione (corrispondente alla ricchezza oppure al reddito), per mezzo di una misura relativa, indipendente dall'unità di misura della domanda medesima: l'elasticità. Il caso più frequente è quello dell'elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo del bene considerato. La misura in questione εqp in tal caso è data dalla variazione relativa della quantità domandata divisa per la variazione relativa del prezzo,
εqp = ∆q/q : ∆p/p,
o anche del rapporto tra valore del rapporto incrementale e valore medio,
εqp = ∆q/∆p : q/p
L'elasticità così definita è spesso denominata elasticità arco. Ci si può collocare idealmente in un punto di coordinate (q₀, p₀) della curva di domanda e considerare variazioni della quantità e del prezzo rispetto a quel punto, mediante le quali valutare l'elasticità. Anziché relativamente a un arco, l'elasticità della domanda può essere definita anche in modo puntuale, come rapporto tra valore marginale e valore medio della funzione di domanda rispetto a uno dei suoi argomenti. Continuando a fare riferimento all'elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo del bene medesimo, si definisce elasticità puntuale
ε'qp = ∂q/∂p : q/p.
Anche in questo caso ci si può collocare idealmente nel punto di coordinate (q₀, p₀), calcolare in quel punto la derivata della quantità rispetto al prezzo, nonché il valore medio q/p, e infine valutare l'elasticità puntuale.
L'elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo di quel medesimo bene è ordinariamente negativa, come è ordinariamente negativa la pendenza di una curva marshalliana di domanda. Considerata la misura in valore assoluto dell'elasticità della domanda di un bene rispetto al suo prezzo, se tale misura risulta maggiore di uno si conviene di considerare quel bene a domanda elastica, se minore di uno a domanda rigida, se uguale a uno a domanda unitaria.
Non meno importante dell'elasticità della domanda di un bene rispetto al suo prezzo è l'elasticità della domanda del bene medesimo rispetto al reddito:
εqy = ∆q/q : ∆y/y = ∆q/∆y : q/y.
Questo tipo di elasticità si presta a una definizione efficace dei beni superiori e inferiori precedentemente ricordati: i primi sono caratterizzati da elasticità positiva rispetto al reddito, i secondi da elasticità negativa.
L'interesse per la relazione tra domanda e reddito può essere fatto risalire alle curve di Engel. E. Engel (1821-1896), economista e statistico tedesco, le introdusse nel 1857 come rappresentazione della 'legge' empirica secondo la quale, all'aumentare del reddito di un individuo, la proporzione di reddito spesa in cibo decresce, mentre le proporzioni di altre categorie di spesa, come ad esempio il vestiario, crescono. Oggi con il termine curve di Engel si indicano più generalmente rappresentazioni grafiche dell'andamento delle diverse categorie di spesa al variare del reddito di un individuo o di una famiglia. È da notare che la relazione tra domanda e reddito sottesa alle curve di Engel rappresenta il fondamento della teoria dinamica della domanda, intesa come teoria interessata all'evoluzione della domanda nel tempo, contrapposta alla statica comparata della domanda, in cui si analizzano modificazioni relative ai semplici dati del problema studiato.
La domanda di un bene è anche funzione dei prezzi degli altri beni. Quando si considerano le reazioni della domanda a variazioni di tali prezzi è utile fare riferimento al concetto di elasticità incrociata (elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo di un bene diverso da quello considerato). Se l'elasticità incrociata risulta positiva, il bene di cui varia il prezzo si classifica come succedaneo o surrogato, se l'elasticità incrociata risulta negativa, il bene di cui varia il prezzo si classifica come complementare.
Merita attenzione il concetto di elasticità di sostituzione, introdotto da J.R. Hicks (v., 1939 e 1956). Abbiamo introdotto in precedenza la nozione di curva d'indifferenza, intesa come insieme delle coppie di due diversi beni caratterizzate dal fatto di descrivere un medesimo livello della funzione di utilità. La pendenza di tale curva, nel piano delle quantità (q₁, q₂) dei due beni considerati, misura il saggio marginale di sostituzione, ossia il rapporto in cui i due beni possono essere scambiati (puntualmente), lasciando invariata l'utilità:
s = dq2/dq1|u = u0.
Il procedimento di massimizzazione dell'utilità precedentemente richiamato implica che ogni consumatore vada a collocarsi, lungo la curva di indifferenza che comporta l'utilità più elevata tra quelle da lui raggiungibili, in un punto di pendenza (o saggio marginale di sostituzione) pari alla pendenza della linea di bilancio
q2 = -(p1/p2)q1 + (1/p2)w.
La decisione ottima di domanda di q₁ e q₂ si realizzerà dunque dove risulta soddisfatta la condizione
s = - p1/p2.
L'elasticità di sostituzione è definita come elasticità del rapporto q₂/q₁ rispetto al prezzo relativo p₁/p₂. Essa costituisce dunque una misura della reazione della composizione della domanda al variare del rapporto tra i prezzi.
La domanda rilevante ai fini della formazione del prezzo di un bene è generalmente quella relativa all'intero mercato, non quella individuale. Naturalmente è possibile rinvenire casi in cui la domanda è altamente concentrata nelle mani di pochi o al limite di un solo richiedente, ma queste situazioni, che richiamano l'importanza della struttura del mercato, rappresentano l'eccezione, non la regola. La situazione più elementare è quella concorrenziale, in cui la domanda di un singolo richiedente rappresenta una frazione troppo esigua dell'intera domanda di mercato per poter direttamente influire sulla formazione dei prezzi. Sotto il profilo concettuale, per passare dalla domanda individuale di un bene a quella di mercato, si pone il problema dell'aggregazione.
All'interno di una teoria del funzionamento dell'intero sistema economico, la domanda di mercato di un dato bene potrebbe essere definita come semplice somma delle domande individuali; ma ciò supporrebbe, data la specificazione delle funzioni di domanda ricordata più sopra, che la teoria rendesse conto non soltanto di tutti i prezzi (relativi) dei diversi beni e delle quantità complessivamente domandate e prodotte, ma anche dei redditi presenti e futuri (o dotazioni) individuali. Per una comprensibile 'economia' di informazioni, la maggior parte dei modelli anche di grandi dimensioni messi a punto a scopo applicativo è viceversa in grado di rendere ragione del reddito o della ricchezza complessivamente prodotti. La costruzione di modelli della domanda di specifici beni si trova pertanto di fronte alla necessità di utilizzare specificazioni indipendenti dalla distribuzione individuale dei redditi, anche se sotto il profilo del rigore teorico questa procedura non è pienamente soddisfacente. Al più, lungo la strada della distribuzione dei redditi, si è proceduto all'introduzione di distinte funzioni di domanda per classi di reddito (anziché per singoli individui), accettando in tali casi l'onere di dover rendere conto, all'interno di modelli generali, della distribuzione del prodotto dell'intera economia tra le diverse classi di reddito.
Le condizioni, non sempre empiricamente soddisfatte, in presenza delle quali l'aggregazione può rigorosamente essere basata sul reddito complessivo, senza la necessità di specificare i redditi individuali, sono state fatte oggetto di approfondita indagine (in particolare da H.A. Green: v., 1964). Ancora più complesso è il problema relativo alla possibilità di ottenere una funzione di preferenza applicabile all'intera collettività a partire da funzioni di utilità individuali.Un diverso problema di aggregazione si pone in relazione alla domanda di insiemi di beni. Sotto il profilo teorico è di immediata comprensione che l'aggregazione di più funzioni di domanda relative a beni che siano tra loro perfettamente complementari è possibile senza perdita di informazioni. Il rapporto di perfetta complementarità implica infatti che la composizione dell'aggregato rimanga sempre invariata. Sotto il profilo applicativo ci si trova però dinanzi al problema di approssimare funzioni di domanda per classi e categorie funzionali di beni di consumo (come alimentari, vestiario e simili). Simili ripartizioni riflettono spesso convenzioni sviluppate nell'ambito della contabilità nazionale, che non sempre possono tenere pienamente conto delle indicazioni della teoria pura. A fini applicativi sono stati elaborati particolari modelli di spesa, che hanno lo scopo di 'spiegare' la ripartizione della spesa complessiva (consumo in senso aggregato, reddito o altre categorie generali) nelle sue componenti. Rilevanti contributi in questa direzione sono stati dati da R. Stone (v., 1954). Più recentemente la materia è stata riconsiderata da A. Powel (v., 1966) e sistemata in modo esauriente da A.P. Barten (v., 1968).
Una caratteristica che ha accompagnato lo sviluppo della scienza economica a partire dalla seconda metà del secolo scorso, in corrispondenza all'emergere dell'indirizzo di analisi neoclassico, è rappresentata dall'ambizione di somigliare alle scienze fisiche per quanto riguarda il metodo di 'accertamento della verità': come vuole il positivismo, sono valide le teorie che danno luogo a proposizioni (teoremi) empiricamente verificate. Per questo motivo gli economisti moderni non si sono accontentati di teorizzare per 'capire' la realtà economica, ma hanno dedicato rilevanti energie intellettuali alla ricerca empirica.
A questa ragione di ordine metodologico deve poi esserne affiancata una seconda, se si vuole di ordine strumentale. L'economia non è concepita soltanto come apparato concettuale conoscitivo, ma anche come apparato strumentale, inteso al miglioramento dei risultati individuali dell'agire economico, come pure alla maggiore efficacia dell'azione dei governi e dei pubblici poteri (politica economica).
Ricerca empirica nel campo della domanda significa individuazione di specifiche funzioni matematiche capaci di descrivere curve di domanda e curve di Engel, sulla base di osservazioni concrete su quantità richieste, prezzi, redditi ed eventualmente altre variabili. Si comprende immediatamente che si aprono due tipi di problemi, uno connesso alla disponibilità di dati, l'altro relativo alle metodologie di elaborazione dei dati. Discipline quali la statistica, l'econometria e la contabilità nazionale sono a vario titolo chiamate in causa. Non sorprende, a motivo della maggiore disponibilità di dati, che le prime ricerche empiriche sulla domanda si siano realizzate nel campo dei prodotti agricoli e dei beni di consumo. Attraverso inchieste statistiche di carattere campionario già negli anni trenta sono stati raccolti dati sui cosiddetti bilanci familiari, ossia descrizioni dettagliate del modo in cui le famiglie impiegano il loro reddito. A partire dagli anni quaranta si sono cominciate a svolgere ricerche empiriche su grandi aggregati e in particolare su dati desunti dalla contabilità nazionale.
Un buon esempio di avvio di studi empirici nel campo della domanda si può ravvisare, appena oltre la metà del secolo scorso, nella costruzione delle curve di Engel precedentemente richiamate. Dopo il contributo originario dovette però trascorrere un secolo prima che H. S. Houthakker (v., 1957), utilizzando i moderni metodi di stima, potesse misurare con precisione l'elasticità della spesa di carattere alimentare rispetto alla spesa totale, pari a 0,6, nonché le elasticità delle spese in vestiario e in altri beni, rispettivamente pari a 1,2 e a 1,6. Tra i primi esperimenti di adattamento di una funzione di domanda a dati empirici merita di essere ricordato quello di R. Benini (v., 1907). Si tratta di una regressione multipla del consumo di caffè sui prezzi del caffè e dello zucchero, effettuata con il metodo dei minimi quadrati. Il metodo di stima, elaborato da Gauss all'inizio del secolo, si sarebbe prestato a grandi sviluppi nel campo dell'econometria. L'economista francese M. Lenoir è autore di uno studio pubblicato nel 1913 nel quale vengono presentate distinte funzioni di domanda e offerta per diversi prodotti agricoli e carbone, ottenute con la tecnica della regressione multipla. Ma l'autore che nel periodo compreso tra le due guerre mondiali ha maggiormente contribuito al progresso della ricerca applicata nel campo della domanda è forse H.L. Moore, autore di diversi studi sulla domanda di cereali, patate e cotone, pubblicati tra il 1914 e il 1929. Moore è anche l'autore dei primi modelli applicati del funzionamento di mercati agricoli (domanda e offerta) con reazioni non simultanee: una volta che il raccolto giunge sul mercato, il prezzo varia fintantoché la domanda assorbe l'offerta ormai data, mentre ogni decisione relativa all'offerta viene presa con riferimento ai prezzi osservati nel passato. È questo lo schema noto come modello della ragnatela, a causa della particolare rappresentazione grafica della successione dei punti di equilibrio tra domanda e offerta nei processi dinamici generati dal modello, che somiglia appunto alla tela di un ragno.
In ambiente americano accanto al nome di Moore si deve ricordare quello del suo allievo H. Schultz, grande sistematizzatore della conoscenza teorica e generalizzatore degli studi di statistica applicata nel campo della domanda, in particolare di prodotti agricoli. Schultz è autore di un monumentale volume pubblicato nel 1938, che rappresentò al tempo una sorta di summa della teoria, delle applicazioni e dei metodi di analisi della domanda.Con riferimento ad altri paesi si devono ricordare le ricerche applicate di R. Frisch (v., 1926) in Norvegia, di W. Leontief (v., 1929) e di J. Marschak (v., 1931) in Germania, di R. Roy (v., 1935) in Francia, che nella loro successione temporale indicano la rapida diffusione degli interessi e delle ricerche in tutti i luoghi della ricerca economica nel periodo compreso tra le due guerre.
Durante gli anni della seconda guerra mondiale ha inizio un processo di rilevante avanzamento nei metodi di stima, destinato a produrre negli anni successivi una grande fioritura di ricerche applicate. Ci si avvede del fatto che molte stime della domanda ottenute mediante metodi di regressione multipla delle quantità sui prezzi prestano il fianco a una critica assai rilevante: posto che non soltanto la domanda ma anche l'offerta è funzione di quantità e prezzi, che cosa può garantire il ricercatore che la funzione di cui vengono stimati i parametri sia propriamente una funzione di domanda, piuttosto che una funzione di offerta o una combinazione delle due? Ci si trova di fronte al problema generale della stima dei parametri nei sistemi di equazioni simultanee, che fa sorgere la necessità di identificare correttamente le diverse equazioni di cui si vogliono stimare i parametri. Il problema dell'identificazione viene per la prima volta posto in tutta la sua rilevanza e risolto dall'economista norvegese T. Haavelmo nel 1943. H. Wold raccoglie la sfida intellettuale rappresentata dai problemi posti da Haavelmo circa le ricerche tradizionali sulla domanda, mettendo in evidenza le circostanze nelle quali le stime dei modelli di domanda e offerta con reazioni differite mantengono la loro validità. Negli anni successivi l'econometria si sarebbe affermata come disciplina autonoma, sperimentando un rapido sviluppo del proprio corpo metodologico. Naturalmente a questo sviluppo non ha concorso soltanto il successo con il quale sono stati risolti numerosi problemi metodologici connessi alla stima. Si deve sottolineare l'importanza di una produzione sempre più abbondante di dati di diverso livello di aggregazione da parte di organizzazioni pubbliche ufficiali, nazionali e internazionali, e di istituti privati. Si deve infine essere consapevoli dell'enorme influsso sugli studi applicati esercitato dalla proliferazione di successive generazioni di elaboratori di dati e dai costi decrescenti nel tempo del calcolo numerico. Dare conto degli studi empirici sulla domanda negli anni recenti richiederebbe un enorme spazio, data la proliferazione degli studi. Non si può tuttavia passare sotto silenzio l'opera empirica monumentale di R. Stone (v., The measurement..., 1954) sul comportamento dei consumatori nel Regno Unito negli anni venti e trenta. Stone ricava le elasticità della domanda rispetto al reddito dalle indagini sui bilanci familiari e le combina con informazioni desunte dalla contabilità nazionale per ottenere stime soddisfacenti delle funzioni di domanda. In questo modo non soltanto ottiene risultati conoscitivi di grande interesse, ma offre importanti contributi di metodo che verranno ampiamente ripresi da ricercatori successivi.Opere come quelle di H. Theil (v., 1975-1976) e di A.S. Deaton (v., 1986) danno un rendiconto ampio e aggiornato dei risultati raggiunti dalla ricerca teorica ed empirica in campo econometrico. La ricerca applicata sul tema della domanda è ampiamente praticata anche in Italia. Per un orientamento aggiornato si può fare riferimento allo studio di C.A. Bollino e N. Rossi (v., 1987).
Il concetto di domanda effettiva è utilizzato in un contesto affatto differente da quello fin qui discusso. È Keynes a riprenderlo da Malthus per introdurre l'idea che la realizzazione del potenziale produttivo di un sistema economico, a sua volta riconducibile alla forza lavoro e al capitale accumulato, non è automatica, ma richiede di essere sollecitata da un opportuno volume di domanda; non domanda di un bene specifico o di una determinata categoria di beni, ma domanda globale o domanda in senso macroeconomico, in quanto è il soddisfacimento della domanda a livello dell'intero sistema economico, qualunque sia la sua composizione, che richiede l'impiego di forza lavoro. Il punto di partenza della riflessione keynesiana in tema di domanda effettiva è semplice. Keynes ha in mente due classi di soggetti: gli imprenditori e i consumatori. I primi decidono quanto offrire e i secondi, che dai primi ricevono un reddito in quanto lavoratori dipendenti, assorbono con la loro domanda parte della produzione offerta dagli imprenditori. Alla domanda dei consumatori si aggiunge un secondo tipo di domanda, la domanda di beni d'investimento, avanzata dagli imprenditori.La maggiore intuizione keynesiana riguarda il legame tra la domanda dei consumatori, detta appunto consumo, e il reddito distribuito dagli imprenditori nel sistema attuando le decisioni di offerta. Keynes ritiene che in una formulazione elementare, ma significativa, la spesa per consumi sia una funzione stabile del reddito distribuito, ovvero, se i salari monetari sono considerati costanti, sia funzione dell'occupazione. Utilizzando il simbolo D₁ per indicare la spesa per i consumi e il simbolo N per indicare l'occupazione, si ha
D₁ = χ(N).
Sia invece D₂ la domanda (spesa) di beni di investimento espressa dagli imprenditori. Ai fini della presente schematica trattazione si può immaginare che tutte le componenti esogene della domanda, compresa la domanda pubblica che riveste fondamentale importanza nel pensiero keynesiano, siano inglobate in D₂. Keynes infatti, almeno nella trattazione introduttiva del terzo capitolo della Teoria generale, non sviluppa ipotesi esplicative particolari riguardo alla variabile D₂: la ritiene semplicemente data. A questo punto si può definire la domanda aggregata
D = D₁ + D₂.
Date le ipotesi precedenti, l'intera domanda (spesa) aggregata può essere espressa in funzione dell'occupazione:
È questa la funzione di domanda aggregata.
A fronte di essa Keynes introduce la nozione di prezzo dell'offerta aggregata, intendendo con tale espressione il complesso delle entrate che si debbono conseguire perché sia conveniente, dal punto di vista degli imprenditori, l'occupazione di N lavoratori. Se si fa l'ipotesi di salari dati e si utilizza il simbolo Z per designare il prezzo dell'offerta aggregata, si può introdurre la funzione di offerta aggregata
Z = ϕ(N).
A questo punto il meccanismo di coordinamento tra decisioni di produzione da parte degli imprenditori, decisioni di consumo da parte dei consumatori e decisioni di investimento può essere stilizzato per mezzo di un apparato formalmente simile a quello marshalliano di domanda e offerta. La funzione di domanda aggregata è suscettibile di rappresentazione sul piano dell'occupazione (ascissa) e della spesa (ordinata). L'intercetta sull'asse verticale corrisponde a D₂. L'andamento è crescente al crescere dell'occupazione. Nell'ipotesi più elementare il rapporto consumo-reddito (propensione marginale al consumo) è costante. La funzione di domanda aggregata in tal caso si presenta come crescente con pendenza costante. Anche la funzione di offerta aggregata è suscettibile di rappresentazione sul piano dell'occupazione e del prezzo d'offerta dell'intera produzione. Di nuovo abbiamo a che fare con un andamento crescente all'aumentare dell'occupazione, ma in questo caso la pendenza è crescente perché il prezzo d'offerta dell'intera produzione risente, per Keynes, dei costi crescenti dell'attività produttiva, che a loro volta riflettono la produttività decrescente del lavoro. La nozione di prezzo d'offerta, oggi piuttosto obsoleta, era di comprensione immediata per economisti formatisi nella tradizione marshalliana che godeva di grande prestigio nei primi decenni del Novecento. L'andamento delle curve corrispondenti alla domanda e all'offerta aggregate garantisce la loro intersezione. Tale punto individua la domanda effettiva, ossia la domanda che effettivamente si realizza data la domanda per investimenti (privati e pubblici) D₂.
La precisazione riguardo al livello dato di domanda per investimenti non è secondaria. Il meccanismo descritto è tale per cui una decisione di occupazione, e conseguente produzione, presa dagli imprenditori senza tener conto di D₂ non offre alcuna garanzia di essere convalidata da una domanda aggregata capace di assorbire tale produzione. Affinché l'assorbimento in parola avvenga è necessario che i redditi corrisposti dagli imprenditori occupando un certo numero di lavoratori tornino alle imprese attraverso il manifestarsi della domanda. Se di conseguenza i lavoratori occupati non spendono interamente il loro reddito, ma ne risparmiano una parte, è necessario, ai fini dell'uguaglianza tra domanda e offerta aggregate, che D₂ risulti esattamente pari alla frazione di reddito risparmiata. Considerando l'uguaglianza tra domanda e offerta aggregate,
χ(N) + D₂ = ϕ(N),
si comprende che la domanda di investimenti (perciò detta autonoma) svolge un ruolo causale nell'individuazione della domanda effettiva e dell'occupazione che in concreto si realizza.Siamo così giunti al nucleo della teoria keynesiana della domanda effettiva: la piena occupazione non è un risultato automatico delle forze del mercato, ma dipende dall'esistenza di un conveniente volume di domanda effettiva. È compito dello Stato, attraverso la politica economica, garantire che la domanda autonoma sia adeguata alle necessità della piena occupazione.La categoria analitica della domanda effettiva, pur svolgendo un ruolo rilevante nella discussione teorica seguita alla pubblicazione, nel 1936, della Teoria generale di Keynes e pur ispirando per almeno tre decenni la politica dell'occupazione dei maggiori paesi industrializzati, non è andata esente da critiche, in particolare da parte della corrente di pensiero economico monetarista che fa capo a M. Friedman. Alla formulazione keynesiana è stato rimproverato che, quanto meno nel lungo periodo, vi sono meccanismi che, in presenza di disoccupazione, fanno reagire la domanda aggregata, ponendo in essere una tendenza al ripristino della piena occupazione. Ciò pone limiti alla possibilità di utilizzare strumenti monetari e fiscali per stimolare in modo permanente la crescita dell'attività economica. Se si eccede il proposito di una moderata stabilizzazione del ciclo, il risultato può essere quello di favorire fenomeni inflazionistici o conseguenze destabilizzanti. La macroeconomia moderna tende ad attenuare le divergenze che qualche decennio addietro contrapponevano keynesiani e monetaristi. Agli uni e agli altri si riconoscono le rispettive ragioni e i meriti di un apporto sostanziale alla comprensione del funzionamento di un moderno sistema economico. (V. anche Bisogni; Concorrenza; Consumi; Distribuzione della ricchezza e del reddito; Equilibrio economico; Investimenti; Monopolio e politiche antimonopolistiche; Prezzi; Reddito; Utilità).
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