BASA, Domenico
In tutti i documenti che lo nominano è detto "Venetus", ma ciò non si deve intendere come "veneziano" giacché nacque nei pressi di Cividale del Friuli (Civitas Austriae) ove la famiglia - della quale si hanno notizie che risalgono agli inizi del sec. XV - possedeva vasti beni terrieri. Il B. nacque nel primo decennio del sec. XVI e si trasferì ancor giovane (intorno al 1535) a Venezia per impararvi tutto quel che atteneva al commercio librario, più che alla tecnica strettamente tipografica. Anche in questa tuttavia divenne esperto negli successivi, come in tutte le questioni più propriamente amministrative che si richiedevano alla direzione di una grande azienda di produzione e di vendita.
Non aprì negozio, limitandosi a intervenire con capitali - che non dovevano difettargli - nell'acquisto e nella esportazione di grosse partite di libri, in società con altri e per proprio conto. Strinse presto rapporti d'affari con i principali editori veneziani (soprattutto con quel Luc'Antonio Giunti che in quegli anni era il principe dei librai non solo di Venezia, ma di tutt'Italia), estendendo le sue relazioni in altre piazze anche d'Oltralpe: Parigi, Lione, Madrid, ecc. Il B. coltivò anche l'amicizia con J. Rouillé (Roviglio), che, venuto a Venezia per apprendervi l'arte tipografica, era divenuto uno dei principali editori lionesi. Ma le più strette relazioni - che si mutarono poi in amicizia intima - le ebbe con Paolo Manuzio: di questo curò gli affari e provvide a molte occorrenze che l'erudito figlio di Aldo, di scarsissima capacità commerciale, non era in grado di risolvere.
Ebbe per gli affari dei Manuzio quella stessa scrupolosa cura che aveva per i propri, ricevendone in cambio numerose attestazioni di stima: "una sola cosa ti dico, scriveva Paolo Manuzio al figlio - che il Basa è uno dei maggiori amici ch'io habbi et in Roma e fuor di Roma, ed io parlo non per opinione, ma per effetto". E ancora: "Il Basa verrà a Venezia, ed io mi privo malvolentieri di lui per li infiniti commodi che mi nascono dalla sua cortesissima natura, né io senza lui non so se mi sapessi viver in Roma". Il B. si fece garante di Paolo per 2.000 scudi che gli erano stati sequestrati, e questi scrisse ad Aldo: "Si che havendo messo a sbaraglio tutta la sua facultà per me, io debbo e voglio essergli obbligato per sempre; oltre che ogni dì ricevo da lui tanti benefici quanti non ho ricevuti da quanti amici e parenti ch'io m'abbia".
Nella solennità della bolla Eam semper, con la quale Sisto V istituiva la "Typographia Vaticana", lo stesso pontefice qualificava il B. "dilectus noster filius valde peritus et plurimorum in opificio versatus, cuius fides et integritas Nobis iampridem perspecta ac probata fuit".
L'attività editoriale e commerciale del B. si sviluppò dapprima a Venezia, poi contemporaneamente a Venezia e a Roma ove si concluse. Fu attorno al 1560 (quando si liberò definitivamente degli interessi che lo legavano a Cividale) che il B. entrò nel grande commercio internazionale del libro, avviando traffici assidui con piazze della Francia, della Spagna, del Portogallo, dei Paesi Bassi. Nel decennio 1560-70 la sua vita e la sua attività furono intimamente legate a quelle di Paolo Manuzio. Quando nel febbraio del 1559 questi - pur allora uscito dalla non lieta vicenda della Accademia veneta - fu accusato di lesa maestà e dovette rifugiarsi nel convento di S. Paolo, sotto la protezione di Sisto Medici, il B. fu il suo "sostituto" nel processo, vigilando nel contempo sull'azienda aldina, curando la stampa del De disciplina di O. Ferrario e riuscendo a riscuotere da Francesco Bindoni un vecchio credito di Paolo (gennaio 1560). Da Padova, dove si era in un primo tempo trasferito, Paolo andò a Roma, chiamatovi finalmente da Pio IV a dirigere quella stamperia "del Concilio", che il pontefice aveva deciso di fondare, riconoscendo che "haeretici nulla res magis quam typographia nostrae caussae nocuerunt" e volendo avere un adatto strumento di propaganda e di controffensiva.
In questi anni l'azienda aldina - affidata a Damiano Zenaro - era controllata dal B., che, attorno al 1565, aprì una libreria a Roma "al Pellegrino", ma non vi ebbe tipografia. Morto Pio IV, le vicende della stamperia già "del Concilio" - donata dal pontefice al "Popolo romano" - divennero sempre più intricate. L'elezione di Pio V e la sua intenzione di dare esecuzione al voto del concilio relativo alla riforma di tutti i libri liturgici, e per primo al Breviario, fecero ben sperare a Paolo: si trattava di stampare un immenso numero di volumi (in formato "da camera" e in formato "portatile") per rifornire il clero di tutta la cristianità. Prima ancora che fosse emessa la bolla disponente il rinnovamento, il Manuzio si preoccupò di trovare collaboratori per la stampa e corrispondenti per la vendita. A Roma non trovò che pochi aiuti: Nicolò Bevilacqua, interpellato per l'occorrenza, avanzò pretese eccessive; gli altri che accettarono di collaborare furono tutti modesti artigiani. Il Manuzio si rivolse al B. invitandolo a Roma (settembre 1567) e cedendogli il diritto di stampa del Breviario per Venezia e l'esportazione.
Ottimo affare per il B., ma ottimo anche per il Manuzio, che non era in grado di stampare l'enorme numero di breviari occorrenti. Ma anche un'altra combinazione fu conclusa tra i due: la stamperia aldina (alla quale ormai da tempo sovraintendeva il B.) era affidata a Damiano Zenaro e languiva. Paolo l'affidò al B. - concedendogli l'uso della marca e la più ampia libertà di pubblicazione - per un periodo di cinque anni (1568-1573) con una scadenza che coincideva con quella del suo contratto col "Popolo romano": il B. gli avrebbe corrisposto 20 scudi d'oro mensili.
Nel maggio del 1568 il B. è a Venezia: liquida i conti col vecchio gestore della tipografia affittata, compone varie questioni (nell'interesse di Paolo) pendenti con Girolamo Torresano e con Domenico Guerra e dispone uno scambio di edizioni con altri librai di buona fama, per la vendita scambievole nei rispettivi negozi. Aveva intanto preso accordi preliminari con Luc'Antonio Giunti per la stampa del Breviario appena il pontefice avesse approvato il testo. Tornò quindi a Roma, lasciando nella tipografia aldina, quale proto e suo agente, Damiano Zenaro.
Il 9 luglio 1568, con la bolla Quod a nobis, Pio V proibì l'uso del vecchio breviario, ordinando a tutti i sacerdoti che seguissero il ritum Romanum (quindi anche ai regolari francescani e agostiniani) l'uso esclusivo del Breviario rinnovato. Questo uscì in Roma dalla "Tipografia del Popolo Romano" nell'autunno del 1568 in due formati: in-folio e in-8°. La stampa però risultò scorrettissima; il pontefice manifestò la sua indignazione e, ne ordinò la ricorrezione e la ristampa. Oltre a ciò, l'organizzazione di vendita era così manchevole che i breviari non giungevano al clero. Del resto tutti i libri del "Popolo romano" si vendevano difficilmente: questo spiega in parte le continue difficoltà finanziarie nelle quali l'azienda si dibatteva.
Ancora una volta si ricorse al B.: il 15 ott. 1568 tra il "Popolo romano" e il B. si stabilì una "conventio super venditionem et smaltitionem librorum stampae" secondo la quale il B., "per quanto lui poterà et saperà" s'impegnava a "vendere et smaldire tutti et singuli libri stampati et da stampare dal Popolo romano quali subito che saranno consegnati s'intenderanno a esser a suo carico et spesa" con una percentuale del 12%. Inoltre il B. si impegnava e prometteva di "mantenere a tutte sue spese li quattro torcoli quali lavorano nella casa della Minerva" (era la sede della tipografia del "Popolo romano"). Intanto a Venezia - giuntovi finalmente l'originale da riprodurre - il Breviario veniva stampato da Luc'Antonio Giunti a suo nome, ma, in realtà, per conto di una società Giunti-Basa, costituita formalmente con atto del 14 febbr. 1569. Non se ne stamparono copie "da camera", ma solo "portatili"; fu messo in distribuzione nei primi mesi del 1569.
A Roma continuavano le divergenze tra il Manuzio e il "Popolo romano", e tanto si acuirono, da costringere Paolo a cedere a Fabrizio Galletti la sua parte (50%) di interessenza nella tipografia. Esasperato, partì da Roma dopo il 7 agosto, lasciandovi il B. come suo procuratore per la definizione dell'intricata liquidazione, resa ancor più difficile per le personali avventure del Basa. Sin dal 1556 esisteva a Roma una "Confraternita dei librai", che il B. vagheggiò di potenziare (col nome di "Società dei librai") sul modello di quella veneziana, affiancata da una "banca dei librai". Avuta notizia del progetto, il Galletti accusò il B. di subdole manovre per danneggiare il "Popolo romano", al quale già gravissimo danno il B. avrebbe arrecato "facendosi concedere dalla generosità del Pontefice" il privilegio per la stampa del Breviario in Venezia. Il B. presentò ricorso ai conservatori e accusò a sua volta il Galletti; questi replicò il 27 apr. 1571 e la vertenza si concluse solo nel 1573 con la bolla Regimini militantis Ecclesiae (1° luglio) che riconfermava i diritti del "Popolo romano", implicitamente ignorando quelli regolarmente acquisiti del Basa. Contro il B. si sollevarono allora i librai veneziani (che non avrebbero più potuto vendere le copie acquistate) e la faccenda si fece grave. Paolo Manuzio scriveva al figlio: "Quanto alla lite del Breviario ci metterò le mani ancor io per amor del Basa e del Giunti per le cortesie e benefici che ho ricevuti e ricevo ogni dì" (25 luglio 1573). Fortunatamente non si arrivò a clamorose conseguenze. La compagnia Giunti-Basa regolò i conti il 5 luglio 1574 e si sciolse definitivamente il 7 febbr. 1576. Dalla contabilità di essa si ricava che aveva venduto breviari anche in zone non di sua pertinenza, avendone inviato a Lisbona "51 casse di meza somma" e "sei cassoni de breviarii a Madrid"; inoltre Antonio e Giuliano Ambrogi di Medina del Campo risultano debitori di 658 scudi per breviari ricevuti: vendite chiaramente abusive, perché la Spagna, il Portogallo e le Indie erano state concesse alla compagnia di Antonio Del Nero, fiorentino.
Intanto a Roma il B. aveva costituito la Compagnia dei librai, anche se su di un piano notevolmente meno ambizioso dell'originario. Essa comprendeva, oltre al B., Giorgio Ferrari da Cremona, Brianzo Brianzi milanese, Marco Amadori e Girolamo Franzini bresciani, Sebastiano De Franceschi senese e Antonio Lanza savonese. Il 21 luglio 1573 tra la "Compagnia" e il "Popolo romano" fu convenuto "in camera nova palatii Capitolini" che la Compagnia avesse l'esclusiva generale della vendita di tutte le edizioni, prodotte dalla stamperia del "Popolo romano": percentuale: 12%; "Ministro della stampa" in rappresentanza del Comune di Roma: Giovanni Gavolio di Genova. Il 16 sett. 1575 un atto aggiuntivo fu stipulato "in regione Campitelli et in sala superiore domus praedictae stampae seu magazzeno": per esso la compagnia non doveva importare in Roma libri di soggetto analogo a quelli stampati dal "Popolo romano", o che esistessero nei fondi di magazzino. Ma una gran parte di questi fondi risultarono invendibili per difetti di stampa e dovettero essere alienati "per far cartoni".
Un grosso affare editoriale stava frattanto maturando: la stampa e la distribuzione del Corpus iuris canonici riveduto dai correctores Romani ai quali (sin dai tempi di Pio V) era stato affidato il delicato compito di riordinare il Corpus. La commissione - composta dai cardinali A. Colonna, U. Boncompagni, A. Sforza, G. Sirleto, F. Alciati, affiancati da dodici studiosi - aveva già nel 1568 ultimato la revisione del Decretum Gratiani, ma non si trovavano i fondi per pubblicarlo. Gregorio XIII (per sfiducia nella tipografia del "Popolo romano") ne stanziò deliberatamente di insufficienti: il lavoro di correzione proseguiva e restava inedito.
Il 10 dic 1578 un nuovo atto veniva stipulato "ad Peregrinum" tra il B. (come rappresentante della Compagnia dei librai) e il Comune di Roma: fu una vera costituzione di società della durata di sei anni, nella quale il B. si impegnava a valutare il capitale esistente in merci, il prezzo di vendita delle singole opere e a provvedere alla vendita in Italia e all'estero di tutto il prodotto. Tutto questo in vista della pubblicazione del Corpus iuris, come se il "Popolo romano" ne avesse già ottenuto il privilegio. Il B. - che nell'atto suddetto si era impegnato a inviare al Rouillé il testo appena l'avesse ricevuto dai correctores - non perse tempo e si mise subito in rapporto con l'amico lionese. Il Rouillé ottenne il 28 maggio 1579 il privilegio di stampa e vendita per la Francia (congiuntamente al B.) del Corpus corretto. Il 18 apr. 1580 fu concluso un nuovo accordo tra il B. e il "Popolo romano" che tuttavia non aveva alcun formale privilegio. Il caso provocò intricatissime controversie fra il B., il Rouillé, i librai di Parigi e quelli romani. Finalmente, con la bolla Cum pro munere del 1º luglio, il "Popolo romano" ottenne il privilegio, e le questioni sembrarono acquietarsi. La stampa del Corpus fu iniziata e condotta a termine, in cinque grossi volumi, nel 1582.
In quello stesso anno Antonio Lelio aveva ottenuto dal pontefice un decennale privilegio per un Kalendarium novum, conseguente alla riforma gregoriana di esso. Il B. e Giacomo Tornerio si associarono col Lelio per lo sfruttamento del privilegio, e il 9 ag. 1582 cedettero a Luc'Antonio Giunti e a Giovan Battista Sessa una partecipazione nella produzione e vendita del Kalendarium novum, formando compagnia per dieci anni. Il testo fu stampato nell'anno stesso "apud Iuntas" in Venezia e poco dopo uscì anche la traduzione (fatta da Bartolomeo Dionigi da Fano) "Appresso i Giunti".
A Roma, nel frattempo, a seguito di intrighi, calunnie e diffidenze, il "Popolo romano" nel consiglio segreto del 29 nov. 1583 decise di sciogliere la società col Basa. Furono fatte perquisizioni presso i librai associati, presso il B. stesso, accusato di falsificare la contabilità e non rendere conto esatto delle vendite e della produzione. Il B. - di scrupolosa onestà - replicò con fermezza e la commissione di inchiesta, nominata per intervento del card. Carafa, stabilì che il B. aveva versato 1000 scudi oltre il dovuto. Ma ormai era chiaro che il B. non poteva più avere rapporti col "Popolo romano": lo scioglimento della società, deciso il 29 nov. 1583, di fatto avvenne il 10 febbr. 1584, dopo che il B. accettò di versare al "Popolo romano" 1305 scudi.
Finalmente il B. era libero da impacci e querele. Si diede a curare una sua tipografia, che sin dal 1581 - finanziando lo Zanetti - aveva cominciato l'attività con edizioni sottoscritte in un primo tempo: "Ex typographia D. Basae apud F. Zanettum", poi solo a nome del B., sino al 1596, anno della sua morte. Allo stato attuale delle ricerche bibliografiche è difficile precisare quante siano state le edizioni prodotte: certamente più di trenta. La più bella fu quella degli Obelischi di Roma e Trasportazione dell'obelisco vaticano di M. Mercati (1589-90). Vantava ottimi compositori che in parte cedette nel 1584 alla "Typographia medicea" orientale, quando essa fu costituita.
Nel 1587 Sisto V decise di fondare una tipografia direttamente dipendente dalla curia. Questo "negotium" fu affidato con poteri amplissimi "dilecto nostro filio Dominico Basae Veneto", al quale erano concessi 20.000 scudi per il primo impianto, restituibili in dieci anni. La tipografia fu subito impiantata secondo le disposizioni di Sisto V, capace cioè di produrre una vasta gamma di edizioni volgari, latine, greche e orientali. Notevoli edizioni furono prodotte dalla tipografia vaticana: le opere di s. Gregorio Magno (curate da Pietro da Tassignano), quelle di s. Bonaventura e la tanto discussa Bibbia sistina del 1590.
Dopo il ritiro di essa, Clemente VIII dispose la pubblicazione del nuovo testo della Bibbia (detto sisto-clementino) e ne dette il privilegio "intra decennium" alla stamperia vaticana con bolla del 9 nov. 1592 (Cum sacrorum). Nel 1594 Clemente VIII (continuando la protezione sempre accordata al B. da Sisto V) gli concesse il diritto di esclusiva vendita di tutti i libri ("tam intra quam extra Italiam") da lui stesso stampati nel biennio 1594-95.
I librai veneziani sollecitarono un intervento del governo perché sostenesse che il privilegio era legittimo solo per i libri stampati dalla tipografia vaticana, ma non per quelli stampati personalmente dal Basa. La questione era ancora in discussione quando sul B. si abbattè un colpo risolutore: il fallimento del banco Ubertini. il B. aveva crediti ingenti in Italia e all'estero, poteva ancora contare sulla sua stamperia e sul negozio di Roma, ma non poteva più far fronte ai suoi impegni immediati (specialmente con i librai veneziani): fu dichiarata la sua "bancarotta" e tutte le sue attività (comprese quelle derivanti dal privilegio pontificio del 1594) furono poste sotto sequestro. Si ebbe come conseguenza lo scioglimento del contratto con la tipografia vaticana: il 31 ag. 1595 ne fu redatto l'inventario per determinare lo stato della quota di attività spettante al B. (compreso, nel passivo, l'anticipo dei 20.000 scudi ricevuti da Sisto V). La Camera apostolica pretendeva 35.000 scudi; il B. supplicò il pontefice di far meglio esaminare tutta la contabilità della gestione e tutto l'attivo della tipografia: ne risultò un debito di 11.000 scudi, che fu pareggiato con masserizie e libri della tipografia personale del Basa. Anche in questo difficile momento non gli venne però a mancare la benevolenza del pontefice: la tipografia vaticana avrebbe continuato a funzionare - passando alle dirette dipendenze della Camera apostolica - con un sovraintendente (che fu Hermes Cavalletti) e un direttore, che un chirografo di Clemente VIII (12 genn. 1596) nominava nella persona del B. "perché la s. di N.S. conosce molto atto et idoneo detto maestro alla cura della detta stamperia"; gli furono assegnati 50 scudi mensili di stipendio, somma ragguardevolissima per l'epoca.
Si deve ancora all'iniziativa del B. l'impianto della "Typographia congregationis oratorii" che i padri oratoriani vollero costituire nel 1593. Questa impresa durò due anni, perché, quando il B. fu travolto dal fallimento, la tipografia cessò. Da essa uscirono tuttavia tre tomi degli Annales ecclesiastici di Cesare Baronio (1593-1594), il De martyrum cruciatibus del Gallonio (1594): illustrato con belle figure, e opere minori di oratoriani.
Ma ormai l'attività del vecchio editore era stroncata. Morì sul finire del 1596, lasciando suo erede e continuatore il nipote "ex fratre" Bernardo.
Bernardo aveva una libreria a Venezia, "All'insegna del sole", sin dal 1582. Nel 1592fu socio occasionale di B. Barezzi; svolse una limitata attività editoriale in proprio, ed alla morte dello zio passò a Roma per assumere la direzione della stamperia vaticana, carica affidatagli da Clemente VIII, con chirografo del 22 nov. 1596. Ebbe a collaboratore lo Zanetti, già socio dello zio, che presto si ritirò (15genn. 1597). Nel maggio del 1599al B. successe il già correttore G. B. Bandini con l'aiuto di un amministratore e tecnico: Curzio Lorenzini. Di Bernardo non si hanno altre notizie dopo il 1599.
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