BENASSI, Domenico (Memo)
Nacque a Sorbolo (Parma) il 21 giugno 1891; la sua prima vocazione fu musicale ed egli iniziò gli studi nella classe di violoncello presso il conservatorio di Parma. Inappagato da tali studi e avendo deciso di entrare in arte perché dotato di "eccezionale memoria", nel 1915 frequentò a Milano per alcuni mesi i corsi di recitazione di Teresa Boetti Valvassura: notato al saggio finale da E. Novelli, venne da lui scritturato. Insofferente e indisciplinato, seppe nondimeno farsi notare a fianco del Novelli nel Centenario dei fratelli Quintero, tanto che venne mandato a chiamare da M. Praga, direttore della Stabile del Manzoni di Milano. Il B. (da quell'anno, e per sempre, Memo) fu poi primo attor giovane (1919) nella compagnia Carini-Gentilli, con la quale rimase fino al '21, distinguendosi, oltre che per quell'insieme di bizzarrie che già contrassegnavano la sua personalità, per l'insolita, irrequieta recitazione. Nel maggio dei 1921 entrò primo attor giovane nella compagnia di E. Duse che tornava alle scene abbandonate da molti anni; al suo fianco il B. rivelò le sue qualità migliori e imparò ad amare Ibsen: fu lo Straniero nella Donna del mare, Osvaldo negli Spettri (personaggio che rimase poi a lungo nel suo repertorio) e inoltre il Figlio nella Porta chiusa di M. Praga, Leonardo nella Città morta. A fianco della Duse nella sua ultima tournée americana, dopo la morte di lei il B. formò una compagnia con le Gramatica: con Irma prima (1924-25), poi con Emma (1925-28), e nel 1928 con le due sorelle riunite. Ancora una volta fu Leonardo nella Città morta ed offrì una mirabile interpretazione del protagonista del Gian Gabriele Borkman di Ibsen: fu inoltre il Delfino nella Santa Giovanna di Shaw. Nel 1929 fu primo attor giovane, accanto a G. De Riso, in Olympia di Molnar e in K 41 di Chiarelli. Nel 1930 ancora al fianco di I. Gramatica nei Borghesi di Pontarcy di Sardou, offriva prova di efficace comicità in Una famiglia reale di Kauffmann e Ferber. Entrato in seguito nella compagnia di spettacoli Zabum, fu Massimo in Come le foglie di Giacosa e un Napoleone di sobrio rilievo in Campo di maggio di Forzano. Nel 1932 era di nuovo con E. Gramatica nel Giro del mondo di C. G. Viola, nella Signorina di Deval, in Lady Frederik di Maugham e in Così è (se vi pare). Fece poi compagnia con A. Fontana (nel Grand Hotel di V. Baum, 1932, fu l'impiegato): ma anche questa formazione ebbe breve vita. Nell'estate del 1933 partecipò alla Rappresentazione di Sant'Uliva nel chiostro maggiore di Santa Croce, per la regia di Copeau, e ancora nel 1935 Copeau, che il B. annoverò fra i suoi "maestri" insieme con Simoni e Reinhardt, lo volle protagonista del Savonarola di Alessi, rappresentato a Firenze in piazza della Signoria. L'anno precedente a Venezia era stato Shylock nel Mercante di Venezia messo in scena all'aperto da Max Reinhardt, e questa interpretazione egli ripeterà ancora con grande successo nel 1943. Nel 1934 partecipò anche allo spettacolo diretto da Simoni, nel Teatro verde della Meridiana del giardino di Boboli a Firenze, dei Giganti della Montagna di Pirandello. Nel 1936 fu con Marta Abba, interprete vigoroso e concitato di Simma di Pastonchi, tempestosamente accolto dal pubblico, e fu un Aligi di mistica dolcezza al fianco della Mila di M. Abba: nel 1942 e nel 1944 tornerà a recitare la Figlia di Iorio, ma sarà un forte e cupo Lazaro di Rojo. Nel 1937 era di nuovo a fianco di E. Gramatica, in Isa, dove vai? di C. V. Ludovici e in Inferno di Viola, mentre nell'estate dello stesso anno a Venezia fu Arlecchino nel Bugiardo di Goldoni e Mercuzio nel Romeo e Giulietta. Nel 1939 formò compagnia con R. Morelli e nel 1940 con L. Carli: alternò testi di impegno quali il Kean di Dumas, Il cadavere vivente, Questa sera si recita a soggetto, ad altri di più modesta portata (Non lo siamo un po' tutti? di Lonsdale, La moglie di Cesare di Maugham, Un soggetto da romanzo di S. Guitry, Niente di male di Cantini). Sono questi gli anni (1938-40) nei quali si cimentò con successo anche nella regia, distinguendosi per estrosità e ricchezza di fantasia (Niente di male di Cantini, Due coppie e l'asso di Lonsdale, La moglie di Cesare di Maugham, Una famiglia allarmante di Savory, Risveglio di Possenti, Giuochi di scena di Raphaelson). Nel 1942-43 ricostituì la Benassi Carli (Trovarsi di Pirandello), nel 1944 fu in compagnia con E. Zareschi, successivamente con D. Torrieri, nel 1946-47 con E. Maltagliati (Casa cuorinfranto di Shaw e I pazzi di Bracco), infine con la compagnia del Teatro della città di Bologna (Tartuffe, 1948; L'imperatore Jones di O' Neill, 1949), mentre continuava la sua partecipazione a spettacoli d'eccezione: Porfirio in Delitto e castigo di Baty-Dostoevskij (1946); Tersite (da molti giudicata la sua più felice e matura interpretazione), dalla comicità amara e potente, nel Troilo e Cressida diretto da L. Visconti nel giardino di Boboli (1949); Rinaldo in Venezia salva di Bontempelli (regia di O. Costa).
Nel frattempo aveva svolto anche una saltuaria attività nel cinema, dalla Vecchia signora (1932) alla Signora di tutti (1934), da Scipione l'Africano (1937) alla Cena delle beffe (1941), da Fedora (1941) a Peccatori (1944), ma poi il cinema nella sua fase realistica lo trascurò e il B. se ne allontanò definitivamente.
Nel 1950 a fianco della Maltagliati fu un efficace Cieco nella Margherita di Salacrou e un solenne, iracondo, cedevolissimo viceré nella Carrozza del SS. Sacramento di Mérimée. E ancora interpretazioni d'impegno: Il lutto si addice ad Elettra, Non si sa come, Amleto, fino all'Avaro di Goldoni, spettacolo inaugurale del Festival del Teatro alla Fenice nel 1951. Nel 1952 fu con la compagnia stabile di Roma nelle Tre sorelle di Cechov per la regia di L. Visconti; non dimenticava frattanto il teatro contemporaneo, offrendo nell'Inquisizione di Fabbri una delle sue più belle interpretazioni. Nella stagione 1953-54 fece parte della compagnia del teatro Manzoni di Milano, impersonando il Padre nei Fratelli Karamazov di Copeau-Dostoevskij, Warwick nell'Allodola di Anouilh, e un esemplare Tartuffe.
Dopo una tournée nel Sud America, il B., inconsapevole di avere già lasciato un'impronta profonda nel teatro di questi ultimi anni, si volse alla ricerca del "ruolo" cui legare indissolubilmente il proprio nome, e preparò in silenzio Re Lear; il 22 dic. 1956, alla prova generale con la Stabile di Bolzano, venne colpito da trombosi cerebrale. Sembrava che la sua forte fibra gli avrebbe permesso, col tempo, di cimentarsi nella grande, faticosa interpretazione shakespeariana, ma un nuovo attacco lo stroncò all'istituto Rizzoli di Bologna il 24 febbr. 1957.
Il nome dei B. era, già da molti anni prima della sua scomparsa, consacrato come quello di un attore fra i più originali e grandi del nostro teatro, seppure imprevedibile ed estroso, tanto da variare capricciosamente le sue stesse creazioni nello svolgersi di una sola rappresentazione. Il suo nome è legato ad una infinità di personaggi, felici prove di nitidezza espressiva e di efficacia drammatica e ad altri che, sconcertanti o beffardamente antitradizionali, come il Delfino della Santa Giovanna, la più discussa delle sue interpretazioni (per D'Amico addirittura "delittuoso"), restano purtuttavia indimenticabili per l'impeto espressivo e l'inquieta, stravagante violenza. Sottile e caustico protagonista in Olympia di un gioco serrato fra ironia e passione, nel Giro del mondo si distinse invece per quelle sue improvvise svogliatezze che a tratti sembravano assalirlo come un impeto di noia verso il suo personaggio, il teatro e il pubblico, cosicché recitò "senza far udire le parole"; subito dopo fu un avvocato Galvaisier di molta autorità e talento e un sir Paradine di singoiare espressività. Di forte rilievo fu anche il suo Impiegato nel Grand Hotel, felice nella successione anche mimica dei sentimenti, mentre nell'interpretazione della Rappresentazione di Sant'Uliva il B. riassunse tutte le parti malvagie e demoniache affidategli in una unità malefica, fra satanica, terrifica e comica. Con Shylock offrì una delle sue più splendenti interpretazioni, di forte coloritura, a cavallo fra le due scuole che fanno di Shylock o un personaggio comico, ridicolo fino allo scherno, o un carattere drammatico, chiuso nei toni cupi: il personaggio del B. è pittoresco e drammatico, un impasto di rancore e sofferenza, malvagità e fierezza, con passaggi di tono dal querulo al disperato, ora raccolti ora prorompenti, sempre incisivi e spiccati. Egualmente felice fu il suo Mercuzio, pronto all'azione, ironico, impetuoso, sboccato e sognante, come sarebbe impossibile non ricordare fra le interpretazioni legate al suo nome la stupenda mestizia di Verginin nelle Tre sorelle o la devastata desolazione del protagonista del monologo di Cechov, Il tabacco.
Bibl.: G. Cavicchioli, Profilo di B., in Scenario, luglio 1938, pp. 351-354; E. F. Palmieri, Uno e due: Memo B., ibid., nov. 1942, pp. 391 s.; N. Leonelli, Attori tragici attori comici, Roma 1944, I, sub voce; G. C. Castello, M. B., in La fiera letteraria, 28 ag. 1949; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, I, Torino 1951, pp. 479, 623 ss.; III, ibid. 1955, pp. 127 ss., 148, 221 ss., 264, 298 s., 311, 373, 507 ss., 563 ss., 585; IV, ibid. 1958, pp. 51 s., 187, 229 s., 272, 342, 348, 379 ss., 423 ss., 445 ss., 486, 575 s.; V, ibid. 1960, pp. 34, 43, 121, 127 ss., 138 ss., 211, 280 s.; G. Prosperi, M. B., in Il Tempo, 25 febbr. 1957; O. Vergani, Benassi, il pubblico ti aspetta, in Il Dramma, n. 245, febbr. 1957, pp. 48-50; Id., Il Personaggio che Memo andava cercando era lui stesso, ibid., n. 246, marzo 1957, pp. 41-42; L. Ridenti, Piccolo ricordo, ibid., pp. 43-47; A. Bertolini, B. ancora senza Pace, ibid., n. 249, giugno 1957, pp. 31-33; E. Gramatica, Ricordo di M. B., ibid., n. 262, luglio 1958, p. 39; A. Bertolini, M. B. veneziano, in Ateneo veneto, CXLIX (1958), pp. 25-30; Id., Un fantasma chiamato B., in Il Dramma, n. 304, genn. 1962, pp. 68-70; Encicl. dello Spettacolo, II, coll. 223-224; Encicl. Ital., App. II, I, p. 381; App. III, I, p. 218.