BORDIGALLO, Domenico
Nacque a Cremona l'8 sett. 1449 da Giovan Domenico, notaio e mercante, e da Maddalena Allegri. Addottoratosi in leggi nello Studio cremonese, il B. fu ascritto al Collegio dei notai nel 1470; aveva coltivato studi letterari alla scuola del retore Bartolomeo Petronio, noto per essere stato precettore dei figli di Francesco Sforza, duca di Milano. Ricoprì varie cariche pubbliche: nel 1496 fu amministratore della chiesa di S. Agata; nel 1512, quando Cremona fu assalita dall'esercito pontificio, prese parte - come cittadino autorevole - al consiglio dei notabili che deliberò la consegna della città al cardinale M. Schinner, legato pontificio, onde evitare il sacco. Nel 1517 fu eletto alla carica di "dittatore", cioè di ragioniere del Comune; nello stesso anno era anche sindaco e procuratore dell'università dei Mercadanti: proprio da questi uffici il B. fu indotto ad un'aspra contesa con il comandante della guarnigione francese, J. Benon, il quale aveva impedito con argini e dighe che entrassero in Cremona le acque del Naviglio, pregiudicando così le attività dei mercanti e dei tintori dai quali pretendeva un balzello per permettere nuovamente il flusso delle acque in Cremona. Il B. fu il rappresentante infaticabile degli interessi colpiti presso il Senato milanese e presso il governatore Lautrec: moltiplicò suppliche e libelli, mettendo a frutto non meno la sua vena letteraria che la sua preparazione giuridica, fino a che non si arrivò a un accordo, rinunziando il Benon alle sue pretese in cambio di una cospicua somma da parte del Comune. Nel settembre 1517, eletto anche procuratore del Comune (una carica che aveva ancora nel 1520), il B. fu protagonista di una nuova lite con i gabellieri, i quali moltiplicavano le estorsioni contro i mercanti.
Le tormentate vicende di Cremona, che videro - negli ultimi anni del dominio sforzesco e dopo il crollo della dinastia - il territorio corso dagli eserciti veneziani e ducali, pontifici e spagnoli e francesi, e la stessa città cadere di volta in volta nelle mani di ciascuno dei contendenti, colpirono duramente il B. nei suoi affetti familiari. Egli stesso fu incarcerato dagli Spagnoli nel 1526, con minaccia di farlo "apichare perché è contra la Ser.ma Mayestà Cesarea": fu liberato tuttavia dopo breve periodo di prigione.
Morì di lì a poco, forse nel 1527, l'anno in cui si arresta la sua cronaca.
Aveva sposato intorno al 1480 Palmina di Beseghino degli Oldoini, dalla quale ebbe sei figli. Tra questi va ricordato Galieno che fu notaio e mercante e nel 1533 fu decurione dell'università dei Mercadanti; esercitò anche la milizia, dapprima come capitano del popolo in Cremona, e poi, secondo una notizia del 1526, combattendo nell'esercito veneziano che assediava la stessa Cremona.
L'attività letteraria del B. fu quantitativamente rilevante: molte sue opere sarebbero tuttavia smarrite, se pure la tradizione non le ha confuse con quelle rimaste o con parti di esse: così una Historia del principio del mondo fino al suo tempo potrebbe essere identificata con la sua Chronica seu historia, ovvero con una possibile versione in volgare di questa. Altri titoli attribuiti al B.: Le vite delle regine hebree,Illustrium virorum Cremonensium epitaphia e Orationes,anagrammata ac alia sui facundi ingenii monimenta, opere tutte perdute, che comunque quelle rimaste non fanno troppo rimpiangere. Le opere superstiti, largamente inedite - alcuni estratti furono pubblicati in posteriori operette storiografiche locali e in una breve scelta operata dal Novati dai manoscritti di due biblioteche cremonesi, la Pallavicino e la Penzoni -, sono, oltre ad un breve ed irrilevante Sermo et carmen de nobilitate matronarum antiquarum, un Urbis Cremonae... sity designum e la Chronica seu historia.
Il Designum, probabilmente concepito come una introduzione all'opera successiva, era ultimato nell'aprile del 1515 e defficato al governatore sforzesco di Cremona, P. M. Stampa. È un documento di notevole importanza per la conoscenza delle condizioni sociali, politiche e religiose della città e del territorio agli inizi del sec. XVI: oltre ad una esauriente descrizione geografica e topografica (rilevante l'elenco degli edifici andati distrutti nelle contese civili e nelle ultime guerre), il B. fornisce un elenco delle dignità civili e religiose con i nomi dei titolari in carica, nonché un censimento della popolazione secondo i quartieri, limitato tuttavia ai capifamiglia nobili, con esclusione dei populares.
La Chronica seu historia, cominciata nel 1514 e dedicata a Francesco II Sforza, è divisa in diciotto parti e nelle intenzioni del B. doveva essere non una cronaca cremonese, ma una storia universale. In quanto tale essa non ha maggiore interesse degli infiniti analoghi compendi circolanti largamente nel tardo Medioevo ed al principio dell'età moderna, ed è fondata sulle stesse problematiche fonti, dalla Bibbia alla mitologia, dagli storici latini e greci ai Padri della Chiesa, dagli scrittori sacri e profani dell'antichità e del Medioevo del più vario grado di importanza e attendibilità alle più disparate tradizioni orali, chiamati alla rinfusa a costituire questa lunga, ingenua, inutile introduzione alle ultime dieci parti della cronaca, nelle quali il B. narra diffusamente gli avvenimenti dei quali egli fa diretto e maturo spettatore, dal 1496, cioè, al 1527: le guerre d'Italia seguite alla spedizione di Carlo VIII, e gli avvenimenti, in particolare, dello Stato di Milano. Ma si capisce che né la personalità del B. né la sua capacità di informazione erano tali comunque da esercitarsi utilmente in quest'ambito, sia pure tanto più circoscritto.
In realtà la sua narrazione acquista utilità essenzialmente quando narra gli avvenimenti della sua città, che in quel triennio fu, poiché era tra le più ricche dell'antico ducato sforzesco, una preda ambitissima degli opposti contendenti. Il dominio veneziano, imposto a Cremona nel 1499, in seguito alla espulsione da Milano di Ludovico il Moro, pesantissimo tanto da provocare l'insurrezione filofrancese dei Cremonesi dopo la battaglia di Agnadello; la resa all'esercito della Lega santa l'8 giugno del 1512 e la consegna della città a Massimiliano Sforza, voluta nello stesso anno dalla Repubblica di Venezia e da Giulio II; il ritorno dei Francesi a Cremona nel 1515, seguito alla discesa in Italia di Francesco I; l'insurrezione della città contro il Lautrec nel 1521; la conquista pontificia l'anno successivo ed il ritorno della città in possesso sforzesco con Francesco II; la riconquista spagnola dopo la battaglia di Pavia, e finalmente il ritorno veneziano e la consegna di Cremona nuovamente alla signoria di Francesco II Sforza: questi sono gli avvenimenti storici di cui il B. può autorevolmente parlare e qui merita credito, poiché se egli è tutt'altro che un cronista imperturbabile, tuttavia la sua informazione è sempre ampia, precisa e praticamente la più considerevole per la storia cremonese del periodo. Si intende che essa non vale tanto ad illuminare le vicende politiche, diplomatiche e militari che segnarono il destino della città in quel tormentato trentennio quanto le vicissitudini quotidiane dei Cremonesi, i contrasti interni, le terribili conseguenze delle guerre e della teoria incessante delle conquiste, che facevano esclamare amaramente al cronista: "Dantis Aligerii poenas non scripsit in Orcho / Tantas tot calamus, quot patitur patria".
Ma l'opera del B. soprattutto è caratterizzata, nei confronti delle numerose narrazioni coeve dei medesimi avvenimenti, lombarde o anche cremonesi, da una preoccupazione di documentazione, per quanto caoticamente scelta, che ne accresce di gran lunga l'utilità, dai bandi alle lettere dei principi, dai resoconti dei banchetti nuziali ai documenti delle amministrazioni militari, dai lamenti popolari alle invettive, alle pasquinate, alle lettere private, sicché esce dalla cronaca un quadro vivo e vero, una realtà storica estremamente determinata, una vicenda colta nel suo autentico travagliatissimo corso, nonostante il tentativo del buon notaio di ridurre il dramma che gli scorre sotto gli occhi agli schemi letterari che l'imitazione della latinità gli suggerisce. In definitiva è la materia stessa, quando non sia tradita dalle mediocri virtù storiografiche del B., ad affermare i suoi diritti all'attenzione del lettore odierno; né si vorrà invece cercare nel cronista il giudizio storico sicuro, o almeno una soddisfacente comprensione degli avvenimenti contemporanei: glielo impedisce in primo luogo il suo stesso partecipare in prima persona agli avvenimenti, senza saper distinguere l'opera sua di storico dal rimpianto e dalla speranza che di volta in volta gli avvenimenti politici della città suscitano in lui, fedele partigiano dei vecchi duchi sforzeschi. Ma assai più il giudizio storico è impedito dalla incapacità di scoprire nella realtà le sue motivazioni, dalla necessità di vedere in essa l'attuazione di arcane e irriducibili forze estranee; né vale che il B. si astenga concretamente dal riferire questo o quell'avvenimento a tali improbabili interventi: un tale atteggiamento permea tutto il suo racconto e non è che una soluzione letteraria quella di riferire a parte, in una lunga curiosa tiritera in quartine "de alchuni segni spaventevoli et terribili comparsi nuovamente et maxime in Cremona et in diversi lochi del mondo". Né debbono ingannare sulla credulità del B. i ricorrenti dubbi da lui elevati su questo o quell'avvenimento miracoloso che gli viene riferito, né la sua relativa libertà rispetto alla malleveria clericale dell'aldilà; ché sempre egli conclude ogni dubbio, ogni moto scettico con un preoccupato appello alla imperscrutabile onnipotenza divina che tutto può legittimare, tutto può piegare alla propria volontà nell'effimero mondo degli uomini.
Dopo queste considerazioni sarebbe superfluo dubitare della cultura del B.: sebbene egli si vanti lettore del greco e del caldeo, non pare che fosse in grado di andare molto al di là della "vernacula lingua humilis et domestica" che egli dice di assumere programmaticamente per essere inteso da "sapientes atcque semidocti"; più ambiziosa la lingua dei versi di cui dissemina la prosa ricca di modi volgari della Chronica;ma con risultati che non oltrepassano il saggio di imitazione, un richiamo alla latinità puntigliosamente scolastico, nella più impenetrabile incapacità a cogliere i valori poetici del testo richiamato.
Bibl.: F. Novati, La vitae le opere di D. B., in Arch. veneto, X (1880), pp. 5-45, 327-364.