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BRETTI, Domenico

di Gaspare De Caro - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)
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BRETTI (Amorotto, d'Amorotto), Domenico

Gaspare De Caro

Nato nell'ultimo ventennio del sec. XV a Carpineti (Reggio Emilia) da un oste di nome Amorotto, era guardiano di pecore allorché in una rissa uccise, giovanissimo, un suo coetaneo. Si rifugiò allora sulle montagne che dividono la Garfagnana dai territori di Modena, di Reggio e di Parma, dove per il suo coraggio e la sua ferocia divenne il capo di una numerosa banda di montanari che spargevano il terrore nella regione, dominando incontrastati i transiti appenninici e non astenendosi neppure dal compiere rapide e feroci incursioni nei paesi della pianura. La guerra tra Giulio II e il duca di Ferrara Alfonso I, per gli immancabili disordini civili che si accompagnarono al conflitto, potenziò notevolmente il banditismo della zona e chi se ne avvantaggiò più di ogni altro fu il B. che divenne potentissimo, alleato e protettore di numerose bande minori dell'Emilia e della Toscana. Tale era questa potenza che il governo pontificio decise di avvalersene nel 1512 durante le vicende della dedizione di Reggio e della conquista di Modena. Dell'aiuto prestato alla S. Sede assieme al padre e ai fratelli Vitale e Alessandro il B. fu compensato da Giulio II il 10 settembre di quel medesimo anno con la donazione dei proventi dei dazi, gabelle e ospizi che la Camera apostolica riscuoteva nel distretto di Carpineti. Anche Leone X volle garantirsi attraverso il B. il dominio del confine con lo Stato estense e confermò la donazione con breve del 6 maggio 1513. I governatori pontifici di Reggio, Giovanni Matteo Sertori e Giovanni Gozzadini, si servirono del B. per tenere a bada la fazione cittadina favorevole agli Estensi, e per incarico del Gozzadini il B. distrusse nel 1513 il castello della famiglia Bebbio. Tuttavia a questa sua attività di "ecclesiastico", il B. continuava ad accompagnare quella del brigantaggio e si faceva molto spesso strumento ben retribuito delle vendette dei vari signori della regione, senza troppa distinzione di guelfi e di ghibellini: così si guadagnò il favore dei Correggio, dei Pio da Carpi, di Giovanni Boiardo da Scandiano, degli Scaioli e dei Manfredi di Reggio, del capitano Melchiorre Ramazzotto di Bologna. Naturalmente le stragi, gli incendi, il quotidiano turbamento dell'ordine di cui il B. era responsabile non potevano non impensierire le autorità pontificie, ma averlo come alleato piuttosto che come nemico sui confini col duca era di troppa importanza perché le autorità di Roma e quelle dell'Emilia non chiudessero volentieri tutti e due gli occhi sulle gesta del Bretti. Anzi nel 1516, per intercessione dei Gozzadini, Leone X gli concesse in feudo il castello di Carpineti che divenne da allora il centro delle sue imprese. La situazione cambiò radicalmente allorché nei primi del luglio 1517 entrò come governatore in Reggio Francesco Guicciardini.

Il B. poco dopo il suo arrivo, allo scopo di impressionare con una dimostrazione di forza il nuovo governatore, scese una notte al piano e si presentò davanti a Reggio con circa quattrocento montanari, si aggirò a lungo intorno alla città e poi finì per ritornarsene tra i suoi monti. Il Guicciardini non si lasciò intimorire e, rafforzata la guarnigione di Reggio, chiese a Roma che fosse tolta al B. la rocca di Carpineti. A questa richiesta, come ad altre successive che il Guicciardini avanzò per ottenere mano libera contro il B. che impediva l'esercizio dell'autorità del governatore e non permetteva che si riscuotessero imposte nel territorio di cui si considerava signore, le autorità romane risposero negativamente. Ma il Guicciardini non si stancò di insistere con lettere che non esitavano a definire scandalosa la protezione concessa dalle autorità della Chiesa a un brigante e finalmente nel dicembre del 1520 ottenne l'allontanamento del B., che fu arruolato con buona provvigione nella guardia di Bologna. Nello stesso mese però il Guicciardini scoprì una congiura ordita contro la sua vita dal cardinale Ippolito d'Este, in cui risultava implicato anche il Bretti. Questi probabibnente ignorava che l'intrigo aveva origine alla corte di Ferrara, ma il Guicciardini ritenne di avere finalmente la possibilità di sbarazzarsi del B., dimostrando quanto fosse infido anche sul piano politico: lo accusò quindi a Roma, con una lettera al cardinale de' Medici, e il B. cadde immediatamente in disgrazia, fu bandito dallo Stato ecclesiastico e i suoi beni furono confiscati. Non era però uomo da subire senza reagire: nel gennaio 1521 ritornò tra i suoi monti e ricostituì la banda, ricominciando le sue imprese brigantesche. il Guicciardini promulgò subito una grida con la quale imponeva sul B., sul figlio Bartolomeo e sul fratello Vitale una taglia di 200 ducati e inviò una spedizione sulla montagna agli ordini dei capitani Pelino Orsetti e Niccolò Cimicelli. Furono arse le case del B. e dei suoi, ma la conoscenza dei luoghi e soprattutto il favore dei Montanari rendevano il bandito imprendibile, sicché il Guicciardini fu costretto, sia pure a malincuore, e non senza un certo sentimento di umiliazione, a venire a patti con lui concedendogli di ritirarsi indisturbato nelle terre del suo protettore Gianfrancesco da Correggio.

Poco dopo Leone X, in vista dell'imminente guerra contro i Francesi, pensò di servirsi nuovamente del B., sicché concesse il perdono a lui e ai suoi (18 maggio 1521). Quando alla morte di Leone X (1º dic. 1521), per istigazione di Alfonso d'Este che, appoggiava le bande formate nel Frignano da Cato da Castagneto, e per la pesante pressione tributaria esercitata dai pontifici, si scatenò nell'Appennino Tosco-Emiliano la feroce guerriglia detta "guerra dei montanari", Alberto Pio, che in assenza del Guicciardini, allora a Parma, provvedeva alla difesa di Reggio, affidò al B. il comando della Montagna e gli lasciò mano libera perché, con i metodi che gli erano propri, sedasse rinsurrezione.

Il B. si mise con grande impegno all'opera e con i saccheggi e gli incendi ridusse all'obbedienza i montanari ribelli, facendosi anche scrupoloso esattore dei tributi imposti dall'autorità pontificia. Riuscì anche a sorprendere Cato di Castagneto a Fanano e fece strage di lui e dei suoi seguaci, ma sopraggiunti i Panciatichi, montanari del Pistoiese alleati di Cato, fu costretto a chiudersi in Cometo di dove fu liberato dalle milizie inviategli in soccorso da Bologna dal capitano Ramazzotto.

In riconoscimento dei servigi del B. il pontefice Adriano VI gli restituì il feudo di Carpineti e nominò il fratello Vitale pretore di Castelnovo ne' Monti. Tornato al governo di Reggio nel settembre del 1522, il Guicciardini fu costretto a riconoscergli il comando della Montagna, ma non smise il pensiero di eliminare il masnadiero, la cui posizione ufficiale esasperava il suo orgoglio. Compì allora un passo presso il duca di Ferrara, attraverso rincaricato d'affari estense a Firenze, per procedere di comune accordo contro i banditi. Alfonso I, per inimicizia al Guicciardini, non aderì, pur non rinunziando per suo conto ai tentativi contro il B.: mandò infatti il capitano Masino dal Forno con seicento militi in aiuto a Virgilio di Castagneto, fratello di Cato, ma il 10 nov. 1522 a Mocogno il B., assieme alla banda del suo alleato Cantello da Frassinoro, inflisse una dura sconfitta alla banda rivale e alle milizie estensi. Allora il duca cominciò a dare ascolto ai consigli di Ludovico Ariosto, che, come governatore della Garfagnana, aveva avuto qualche contatto con il B. e gli suggeriva "di tenere Domenico, se non amico, almeno non inimico" (Lettere, p. 102), considerato anche che il B. si professava "buon servitore" del duca, asserendo di perseguire contro gli uomini di Castagneto soltanto una vendetta privata. Ma quando il B. discese nuovamente in territorio estense e a Riva incendiò quaranta casolari compiendo una strage atroce, Alfonso I decise di farla finita e inviò contro il B. da Ferrara un corpo di militi che, unitisi a Virgilio di Castagneto, affrontarono il brigante tra Riva e Monforte il 5 luglio 1523. Sulle rive dello Scoltenna si svolse una battaglia sanguiosa in cui il B. fu gravemente ferito; mentre i suoi seguaci lo portavano fuori della mischia e cercavano di raggiungere Cometo, sopraggiunse da Reggio il ghibellino Tebaldo Sessi, nemico personale del B., forse inviato dal Guicciardini: gli uomini di Carpineti furono sgominati e il B. venne ucciso.

Fonti e Bibl.: F. Guicciardini, La legazione della Emilia,Carteggio, in Opere inedite, a cura di G. Canestrini e M. Cellini, VII, Firenze 1865, passim;L. Ariosto, Lettere, a cura di A. Stella, Milano 1965, pp. 101 s., 142 s., 177, 185 s.; C. Campori, Di alcuni capi di fazione nelle montagne di Modena,di Reggio e di Bologna nel secolo XVI, in Atti e memorie delle R. R. Deputazioni di storia Patria Per le Province modenesi e Parmensi, VI (1872), pp. 18-24; G. Livi, Il Guicciardini e Domenico Amorotto, Reggio Emilia 1879; L. Chiesi, Reggio nell'Emilia sotto i Pontefici Giulio II,Leone X,Adriano VI, Reggio Emilia 1892, pp. 39 s., 61, 85, 87-90; A. Balletti, Storia di Reggio nell'Emilia, Reggio Emilia 1925, pp. 286-288, 294-298; G. Fusai, Lodovico Ariosto poeta e commissario in Garfagnana, Arezzo 1933, pp. 34, 36-42, 122 s.

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