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CABIANCA, Domenico

di Domenico Caccamo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)
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CABIANCA, Domenico

Domenico Caccamo

Nacque a Bassano intorno al 1520. Fonti attendibili indicano la sua condizione sociale e il suo mestiere: l'ambasciatore estense, che si trovava a Piacenza quando il C. vi subì il supplizio, parla di lui come di "un povero uomo pellizzaro" (dispaccio di Alfonso Trotti, ambasciatore presso Ferrante Gonzaga, al duca Ercole II, Piacenza, 20 sett. 1550, pubblicato da A. Casadei); e un cronista piacentino sottolinea come il C., durante l'interrogatorio seguito al suo arresto, si dichiarasse un modesto artigiano pellicciaio (cronaca manoscritta, ora perduta, di Giannantonio Corvi, un sacerdote che descrisse fatti avvenuti durante la sua giovinezza, citata da C. Poggiali). Militò nell'esercito imperiale durante la campagna contro la lega di Smalcalda, e sembra che in Germania si sia convertito alla fede evangelica; più tardi percorse varie regioni d'Italia, predicando per borghi e villaggi. Proveniva da Napoli quando, a Piacenza, fu condannato per la sua attività e impiccato verso il 10 sett. 1550.

Il C. è citato da Chabod come esempio della partecipazione laica, in Lombardia, al movimento di riforma che, invece, fino a quel tempo era stato alimentato essenzialmente da ecclesiastici; ed è inoltre celebrato come "primo martire che consacrava la sua fede religiosa con il sacrificio della vita nello Stato di Milano". Secondo il dispaccio, già citato, dell'ambasciatore Trotti, il C. aveva allacciato rapporti con altri eretici piacentini, traendone incoraggiamento e aiuto economico: "si discoperse alquanti cittadini che li avevan dato dei danari e animo di parlare alla libera". La notizia è confermata dal carteggio fra il podestà di Piacenza e il governatore di Milano, nell'agosto-settembre 1550 (nell'Arch. di Stato di Milano, noto a L. Fumi). Dopo la sua comparsa a Piacenza, alcuni cittadini lo esortarono a perseverare, assicurandolo che in caso di necessità lo avrebbero difeso con le armi in pugno; più tardi gli inquisitori scoprirono che aveva affidato due libri a un oste. Tenne la sua prima predica in Piacenza la sera inoltrata, presentandosi ad un vasto pubblico ("audiente fere toto populo", secondo il cronista Corvi) col capo coperto da una berretta da prete, a significare evidentemente la piena libertà di predicazione per ogni membro del popolo cristiano. In due giorni consecutivi parlò contro il clero e la confessione auricolare, contro il sacramento della comunione e la messa (cfr. il dispaccio del Trotti e la narrazione del Corvi). Ma fu denunciato da due francescani e portato in carcere. Comparve, quindi, dinanzi al vicario per essere esaminato dall'inquisitore generale d'Italia fra' Callisto Fornari e da un domenicano suo coadiutore, i quali si trovavano a Piacenza per procedere contro l'eresia, in effetti ampiamente diffusa nella città. Dal canto suo il podestà raccomandò agli inquirenti di usare la tortura, e il C., dopo aver tentato di chiudersi nel silenzio, finì per confessare molti errori. Gli era stato chiesto se fosse sacerdote, ed egli si decise a dichiarare la propria identità; della berretta da prete disse che gli era stata donata quando andava mendicando. Gli inquisitori avevano tutto predisposto per un'abiura pubblica, quando furono prevenuti da un'improvvisa decisione dell'autorità secolare. Dietro ordine espresso del Gonzaga, il podestà pretese la consegna del C., essendo questi un laico, e volle procedere senz'altro all'impiccagione. Contro gli elementi cittadini sospettati di eresia, invece, il governatore ritenne opportuno di non insistere, "per non muovere maggiori umori". Il castigo esemplare ebbe l'effetto di intimorire e disperdere tutti coloro che, in buon numero, avevano incoraggiato e protetto lo sventurato predicatore popolare evangelico .

Il supplizio del C. giunse presto a conoscenza degli Italiani esuli in Svizzera per motivi di religione: Francesco Negri si affrettò a pubblicare un breve scritto, De Fanini Faventini ac Dominici Bassanensis morte... brevis historia, Tiguri 1550, redatto a Chiavenna negli ultimi giorni di ottobre. Il Negri creò quella leggenda del martire che passò presto alle prime storie protestanti dei testimoni della vera fede e fu ripresa a metà del Settecento dal Gerdes. A differenza delle fonti documentarie, egli fornì un'elencazione ampia degli argomenti teologici affrontati dal C.: nella prima predica questi aveva trattato della confessione, del purgatorio e delle indulgenze; nella seconda della giustificazione, fede, opere, messa; unaterza predica aveva annunciata al suo pubblico, sull'Anticristo, quando fu tratto in arresto. Al vicario che lo interrogava rispose di non essere prete del papa, ma di Gesù Cristo: infatti da Cristo, e non da alcun terreno pontefice, aveva ricevuto l'ordine di predicare (è probabile che qui il Negri abbia trasferito nel C. un'eco delle idee anabattistiche e spiritualistiche sull'ispirazione divina che circolavano fra gli Italiani esuli nei Grigioni). Sempre secondo il Negri, il C. non aveva consentito ad alcuna ritrattazione, dichiarandosi pronto, invece, a morire per la verità. Molti religiosi si erano recati a visitarlo nel carcere per convincerlo a tornare sulla stessa piazza e a ritrattare quanto aveva espresso; ma egli s'era fermamente rifiutato, preferendo il martirio in età ancor giovane. L'operetta del Negri, pubblicata anche in traduzione tedesca a Berna, nel 1552, fu certamente nota al Pantaleon e al Crespin, che dal canto loro ricordarono con animo commosso la fine esemplare del martire italiano, detto "Dominicus a domo alba", "Dominique de la maison blanche" (Ca' bianca). Tali narrazioni popolarizzarono negli ambienti evangelici la figura del C., che insieme a Fanino Fanini salì al rango di un personaggio positivo da contrapporre, con gli stessi scopi edificanti, alla tragica disperazione di Francesco Spiera.

Bibl.: H. Pantaleon, Martyrum historia..., Basileae 1563, pp. 205 s.;J. Crespin, Histoire des martyrs..., s.l. (ma Ginevra) 1682, f. 186rv; D. Gerdes, Specimen Italiae reformatae..., Lugduni Batavorum 1765, pp. 100 s.;B. Gamba, Alcune operette, Milano 1827, p. 30; C. Cantù, Gli eretici d'Italia. Discorsi storici, Torino 1867, III, p. 159; L. Fumi, L'Inquisizione romana e lo Stato di Milano, in Arch. stor. ital., XXXVII (1910), pp. 352 s.;C. Poggiali, Addizioni alle memorie storiche di Piacenza, a cura di G. Tononi-G. Grandi-L. Cerri, Piacenza 1911, p. 185; G. Zonta, Francesco Negri l'eretico e la sua tragedia "Il libero arbitrio", in Giorn. stor. della lett. ital., LXVII (1916), pp. 314-317; F. C. Church, Iriformatori italiani, Firenze 1935, I, p. 284; F. Chabod, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V. Note e documenti, Bologna 1938, p. 143; A. Casadei, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V, in Riv. stor. ital., LVIII(1941), pp. 188 s.; A. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo. Nuove ricerche storiche, Padova 1969, p. 37.

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