TURCHI, Domenico Carlo Maria (in religione Adeodato)
– Nacque a Parma, nella parrocchia di Ognissanti, il 4 agosto 1724, da Giuseppe, di professione sarto, e da Lucia Pelati.
Nella città natale frequentò le scuole dei gesuiti, prima di entrare, a diciassette anni, nel noviziato dei cappuccini a Carpi, assumendo il nome di Adeodato. Fu studente a Piacenza, dove divenne allievo e amico del marchese Ubertino Landi. Nel 1754 fu chiamato a insegnare teologia a Modena, dove ricevette l’apprezzamento del vescovo Giuliano Sabbatini e poté mietere i primi successi della sua carriera di oratore sacro. L’anno seguente, Turchi predicò il primo quaresimale nella chiesa parrocchiale di Borgotaro. Divenuto guardiano del convento di Parma, nel 1762 vi costruì una biblioteca, arricchita nel corso del tempo grazie al sostegno del ministro Guillaume-Léon du Tillot e del tipografo Giambattista Bodoni. Nella Quaresima del medesimo anno, fu chiamato dal duca Filippo di Borbone a predicare per la prima volta alla corte parmense. Dell’intensa predicazione che condusse in quel decennio è celebre un discorso sul segreto politico, pronunciato al cospetto del Senato della Repubblica di Lucca nel 1764, ed è nota l’attività di oratore sacro ad Arezzo, Pisa, Firenze, Genova, poi a Roma e a Napoli, dove, nel 1766, predicò alla presenza del re Carlo III. Nel medesimo anno pronunciò a Parma le orazioni funebri per il duca Filippo di Borbone-Parma e per Elisabetta Farnese, regina di Spagna (Orazioni e discorsi fatti avanti il suo inalzamento alla sede vescovile dall’illustrissimo e reverendissimo monsignore fra Adeodato Turchi dell’Ordine de’ Cappuccini vescovo di Parma e conte..., s.l. 1795, pp. 107-194).
Eletto provinciale nel 1768, divenne predicatore ordinario presso la corte di Parma, ufficio che svolse con notevole successo, venendo nominato nel 1778 precettore del principe ereditario Ludovico dal duca Ferdinando I. Il 13 maggio 1788 fu eletto vescovo di Parma da papa Pio VI, su designazione del duca medesimo. Sostenuti gli esami episcopali a Roma nell’agosto di quell’anno, il 5 novembre fece il suo solenne ingresso in cattedrale. Sempre nel 1788, il 7 dicembre, conferì la cresima ai principi nella cappella del palazzo ducale di Colorno. Il 18 aprile 1789 indisse la visita pastorale della diocesi parmense. Le sue attenzioni andarono anche al palazzo vescovile, che fece restaurare, e al seminario, del quale curò una migliore sistemazione e una più efficiente organizzazione degli studi, ripristinando le cattedre di teologia e di filosofia. Il suo ministero episcopale durò quindici anni e fu contrassegnato da eventi epocali, come la Rivoluzione francese, l’occupazione del Ducato di Parma e Piacenza nel 1796 e la sua annessione all’Impero napoleonico nel 1801. Sin da subito, Turchi dovette difendersi dai sospetti di giansenismo e di simpatia per le idee illuministiche e giurisdizionalistiche, a causa della sua trascorsa vicinanza al ministro du Tillot, che non gli aveva impedito, dopo il licenziamento di quest’ultimo nel 1771, di rinsaldare ulteriormente i legami con il duca Ferdinando e la consorte, Maria Amalia d’Austria, acerrima nemica di du Tillot. L’esplicita presa di distanza dalle ‘nuove dottrine’ avvenne già nel 1789, nell’omelia per la solennità di s. Bernardo degli Uberti, patrono della diocesi, quando egli affermò: «Sentiamo lo strepitio delle nuove dottrine, vogliamo leggere i loro libri, e facciamo nostre le loro follie. Quanti cadono nella rete per la sola vanità di essere creduti moderni, senza punto capire né la materia di cui si tratta, né le conseguenze che ne derivano» (Opere complete di monsignore Adeodato Turchi vescovo di Parma, I, Venezia 1832, p. 80). Al 1792 risale un’orazione Sopra i beni temporali della Chiesa, nella quale si deplorava l’azione «dei falsi teologi, degli uomini della Chiesa, dei ministri del santuario, figli ingrati e crudeli che contro della loro madre gridarono all’orecchio dei grandi: Spogliatela senza riserve» (ibid., II, p. 54). Al 1793 risale un manifesto dal titolo Esortazione al popolo sulle sventure del clero in terra francese, siglato con lo stemma episcopale, e al 1796 l’anonimo libello Epigrafe all’Italia. Paenitentia laesa fit furor, che gli viene comunemente attribuito.
La pace fra la Repubblica francese e il Ducato di Parma e Piacenza fu celebrata dal vescovo Turchi con un Te Deum in cattedrale il 16 gennaio 1797. Nonostante la garanzia del re di Spagna sul trattato di pace, Parma entrò nell’orbita di Parigi e fu colpita da contribuzioni gravose, alle quali anche la Chiesa fu chiamata a concorrere. La breve parentesi austro-russa del 1799-1800, spinse Turchi a esprimersi in modo estremamente duro nell’omelia Increduli (1800), sulla «odierna filosofica miscredenza», dichiarando che nel triennio giacobino «si formarono dei governi, i quali avevan per base l’ingiustizia, l’iniquità, la violenza, la scelleratezza e la frode, in cui solo i buoni furono perseguitati, e bastò esser empio per dominare e opprimere [...] ogni culto bandito, tutti i vizi in trionfo, le proprietà violate, la libertà distrutta, le opinioni forzate, la vita sempre in pericolo» (Opere complete..., cit., XII, 1833, pp. 27 s.). Ciononostante, dopo la battaglia di Marengo (1800) e la definitiva vittoria delle armi napoleoniche, Turchi ottenne dalla neocostituita Repubblica Italiana il riconoscimento della giurisdizione spirituale sulle parrocchie della diocesi che si trovavano nel Reggiano. Trascorse gli ultimi anni di episcopato nell’atmosfera incerta di una Parma annessa all’Impero francese (1801), nella quale tuttavia continuava a risiedere il duca Ferdinando I. Ormai quasi ottuagenario, fu provato dalla repentina morte del duca stesso presso l’abbazia di Fontevivo il 9 ottobre 1802 e dalla precoce scomparsa a Firenze, il 27 maggio 1803, del trentenne re d’Etruria, quel Ludovico I di Borbone del quale era stato precettore.
Morì a Parma il 2 settembre 1803 e fu sepolto nella cattedrale, accanto all’altare dell’Assunta, dopo un solenne funerale la cui orazione fu pronunciata dal canonico Giovanni Scutellari.
Opere. Le Omelie e lettere pastorali di monsignore fr. Adeodato Turchi vescovo di Parma e conte, pubblicate in due volumi, senza data, alla fine del XVIII secolo furono tradotte in tedesco (Homilien und Hirtenbriefe des hochwürdigsten Herrn, Herrn Adeodatus Turchi, aus dem Orden der Kapuziner Bischofes und Grafen von Pharma etc, Augsburg 1795) e spagnolo (Homilias recitadas al pueblo de Parma, Barcelona 1797). La sua oratoria sacra godette di un notevole interesse postumo durante la Restaurazione: così, fra 1832 e 1834 la tipografia Antonelli di Venezia pubblicò le Opere complete di monsignore Adeodato Turchi vescovo di Parma (cit.) in venti volumi e, tra 1839 e 1844, furono pubblicate le Opere inedite, in cinque tomi, presso le tipografie Benacci di Imola e Aurelii di Ancona. Tale successo fu sostituito da un sostanziale disinteresse a partire dalla metà del secolo, in linea con il giudizio che Cesare Cantù ne diede nella Storia della letteratura italiana (1865). Egli osservava come l’attività oratoria di Turchi si potesse suddividere in due periodi, lodando quella dei primi anni, quando «nel quaresimale è chiaro e nodrito di austere verità e idee indipendenti, sfoggiate principalmente nella predica del segreto politico, recitata a Lucca il 1764», e sottolineando: «ma il linguaggio ch’egli teneva nell’orazione in morte di Maria Teresa e nelle Prediche alla Corte ben diversifica da quello della più parte delle Omelie dopo fatto vescovo di Parma», nelle quali «si accapiglia continuamente co’ filosofisti di allora, i quali nè vanno a predica, nè si convincono coll’arte retorica; e intanto il popolo o non comprende, o non profitta, o beve dubbi inopportuni. Egli si accontenta di luoghi comuni; modi di dire triviali e infranciosati semina in uno stile ridondante e disuguale, senza fantasia nè colorito, nè efficacia di pensiero e di forme, con declamazioni più amorevoli che forti» (p. 419). Per osservare una ripresa dell’interesse su Adeodato Turchi occorre attendere i decenni centrali del Novecento, con una produzione storiografica perlopiù interna all’Ordine dei frati minori cappuccini e principalmente attenta alla difesa della sua ortodossia dottrinale, con Placido da Pavullo, Pietro Savio e Stanislao da Campagnola.
Fonti e Bibl.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma, con alcuni cenni sui principali avvenimenti civili, II, Parma 1856, pp. 411-446; C. Cantù, Storia della letteratura italiana, Firenze 1865, cap. XIV, pp. 419-420; Placido da Pavullo, A. T. fu giansenista? Nota critico-storica intorno ad un certo libro di un anonimo intitolato «Non praevalebunt», in Bollettino francescano storico-bibliografico, XXXV (1933), 4, pp. 173-211; P. Savio, Devozione di mgr. A. T. alla Santa Sede: testo e 677 documenti sul giansenismo italiano ed estero, Roma 1938; Felice da Mareto, Biblioteca dei frati minori cappuccini della provincia parmense, Modena 1951; Stanislao da Campagnola, A. T. Uomo, oratore, vescovo (1724-1803), Roma 1961; L. Guerci, Il triennio 1796-99 e la «Repubblica itala», in Nazioni, nazionalità, Stati nazionali nell’Ottocento europeo. Atti del LXI Congresso di storia del Risorgimento italiano, Torino... 2002, a cura di U. Levra, Roma 2004, pp. 59-103; F. Dallasta - B. D’Arezzo, La biblioteca A. T. dei cappuccini di Parma. Vicende storiche, incunaboli e cinquecentine, Parma-Roma 2005.