CESA BIANCHI, Domenico
Nacque a Varano Borghi (Varese) il 16 nov. 1879 da Luigi e da Cherubina Giorgetti. Iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia dell'università di Pavia, fu allievo interno, presso l'istituto di patologia generale diretto da C. Golgi dal 1899 al 1904. Dopo la laurea, conseguita in quello stesso anno, si dedicò per un lungo periodo agli studi morfologici e fu assistente dapprima presso l'istituto di anatomia umana normale dell'ateneo pavese diretto da L. Sala Maegri, poi, fino al 1908, presso l'istituto di anatomia patologica di Francoforte sul Meno sotto la guida di Z. Albrecht.
La prima formazione del C. fu quindi essenzialmente morfologica e fisiopatologica, e costituì la base del suo futuro orientamento clinico. In questi primi anni di attività egli si dedicò prevalentemente a ricerche di morfologia descrittiva: oggetto delle sue osservazioni furono varie strutture biologiche, dalle cellule nervose gangliari all'uovo dei Mammiferi, al corpo luteo e alle cellule interstiziali, alle cellule del tubulo contorto del rene. Le conseguenti indagini citochimiche e di fisiologia cellulare costituirono i primi tentativi di una ricerca volta verso l'interpretazione funzionale delle strutture viventi.
Trasferitosi nel 1909 all'istituto di clinica del lavoro dell'università di Milano, il C. iniziò una serie di ricerche sperimentali sulla fisiopatologia renale e sull'azione tossica esercitata in animali normali dall'iniezione endovenosa di estratti acquosi di vari organi, in particolare di polmone: questi ultimi studi gli consentirono di dimostrare che la sintomatologia e i quadri anatomopatologici caratteristici di tali condizioni sperimentali erano perfettamente sovrapponibili a quelli dello shock anafilattico e dello shock provocato nel cane dall'inoculazione di peptone. La convinzione che la sintomatologia di queste varie manifestazioni morbose sperimentali non fosse in relazione di specificità con le sostanze responsabili della loro comparsa lo indusse ad accettare la validità, della teoria patogenetica cosiddetta colloidoclasica dello shock anafilattico e a ricercare i mezzi per attuare un efficace trattamento anticolloidoclasico: dimostrò così che l'inoculazione frequentemente ripetuta di piccole dosi di sostanze varie, purché dotate di azione analoga al siero, tossico che sarà in seguito iniettato massivamente, può determinare rapidamente nell'animale uno stato di protezione aspecifico, in grado di impedire la comparsa dei gravi fenomeni dello shock anafilattico conosciuto col nome di tachifilassi (La tachifilassi, in Anafilassi, Milano 1923, pp. 203-230). Il concetto patogenetico colloidoclasico e, quindi, quello della possibilità di attuare una terapia anticolloidoclasica dovevano poi perdere buona parte della loro importanza in seguito alla scoperta del ruolo svolto dall'istamina e dagli altri mediatori dell'anafilassi nello scatenamento dello shock.
Conseguita la libera docenza in istologia patologica nel 1909 e quella in patologia speciale medica nel 1913, il C. si dedicò poi a ricerche inerenti a vari argomenti clinici: le intossicazioni professionali, la spirochetosi ittero-emorragica, la malaria, le nefropatie e in particolare la sifilide (La sifilide dell'apparato cardiovascolare, Milano 1913; La terapia specifica della sifilide viscerale, Bologna 1922). Primario medico nell'Ospedale Maggiore di Milano nel 1922 e poi incaricato dell'insegnamento di patologia speciale medica all'università di Milano, nel '26 divenne ordinario della disciplina; dal 1937 la cattedra fu trasformata in quella di clinica medica. Durante gli anni del suo insegnamento tenne anche corsi regolari nella scuola di perfezionamento in tisiologia e malattie dell'apparato respiratorio. Intanto i suoi interessi si erano pressoché esclusivamente orientati in senso clinico: tra i suoi studi, divulgati in un gran numero di pubblicazioni scientifiche, si ricordano qui quelli sulle malattie dei polmoni e dell'apparato cardiovascolare (Sulla filtrabilità del virus tubercolare, in Trattato della tubercolosi, diretto dal prof. L. Devoto, II, Milano 1931, pp. 413-450; Lo scompenso cronico di circolo, Roma 1935; Le suppurazionicroniche del polmone, Milano 1938) e quelli sulle malattie splenoepatiche (Le sindromi emolitiche, in Riforma medica, XLIX[1933], pp. 1453-1463; Morbo di Banti e sindromi affini, Roma 1939). In tale ultimo campo di indagini il C. legò il suo nome a una particolare forma di cirrosi epatica caratterizzata da notevole aumento di volume della milza, ittero e anemia emolitici, oppure fenomeni conseguenti all'ipersplenismo.
Tale forma morbosa era stata isolata precedentemente da H. Eppinger, che l'aveva in realtà interpretata come una associazione tra ittero emolitico e cirrosi (Die Epato-lienalen Erkrankungen, Berlin 1920) e che ne avrebbe poi messo in evidenza la sostanziale identità del quadro anatomopatologico epatico con quello della cirrosi ipertrofica (Die Leberkrankheiten, ibid. 1937). Il C. sostenne invece l'importanza primitiva, nella genesi della malattia, del sistema mesenchimale splenoepatico e introdusse il concetto di cirrosi reticoloendoteliale. Questo, peraltro, non ha resistito alla critica, in quanto le recenti ricerche cliniche e anatomopatologiche hanno consentito di dimostrare che le cirrosi ipersplenomegaliche non rappresentano un gruppo nosologico unitario e autonomo: quella che era stata definita "malattia di Eppinger-Cesa Bianchi" ha quindi perso il carattere di una precisa entità anatomo-clinica e viene oggi considerata come una sindrome determinata dall'associazione di una malattia emolitica di vario tipo con un'affezione del fegato da virus o da altri agenti cui l'organo, già sofferente per l'anemia emolitica, risulta particolarmente sensibile.
Il C. morì a Milano il 27 febbr. 1956.
Bibl.: W. Montorsi, La commem. del prof. D. C. B. all'Accad. medica lombarda, in Minerva medica, XVII(1956), pp. 160-166; L. Villa, D. C. B., in Annuario dell'Univers. di Milano. a. acc. 1955-56, Milano 1958, pp. 189-191; Biograph. Lex. der hervorragenden,Ärzte [1880-1930], I, p.233; Enc. Ital., App. II, 1, p. 563. Sulla malattia di Eppinger-Cesa Bianchi e sulla evoluzionedei concetti sulla sua patogenesi, si v.: U. Teodori-G. Ardizzone, Il problema nosografico e patogenetico delle epatopatie croniche splenomegaliche con iperemolisi(cosiddetta sindrome di Eppinger-Cesa Bianchi), in Riv. di clin. med., LXVIII(1968), pp. 629-651; Enc. medica italiana, II, coll.1529 s., sub voce Cirrosi.