CIMAROSA (Cimmarosa), Domenico
Nacque ad Aversa (Napoli) il 17 dic. 1749 in un'umile casetta sita in Vico II Trinità. La sua era una famiglia poverissima: il padre Gennaro (e non Francesco, come riportano erroneamente molti biografi, che si rifanno forse all'atto di morte - esistente presso l'Archivio di Stato di Venezia - dove si legge: "Il signor Domenico Cimarosa q. m. Francesco Napolitano") faceva il muratore, mentre la madre Anna Di Francesco, figlia di. Nicola, era lavandaia. Una precisazione preliminare si rende necessaria riguardo al cognome. Se infatti nell'gtto di nascita, estratto dai registri della parrocchia di S. Audeno di Aversa ("... infantem die praecedenti natuin ex legitimis conjugibus januario Cimmarosa, filio Dominici... et Anna di Francesco, filia Nicolai, cui imposituin est nomen Dominicus Nicolaus..." in P. Cambiasi, p. 25), si legge "Cimmarosa", è altresì vero che in tutti i manoscritti autografi il C. scrisse sempre il cognome con una sola "m". Le uniche eccezioni sono rappresentate dall'atto di nascita del figlio Paolo e dalla firma apposta al manoscritto dell'Inno patriottico ("Per lo bruciamento delle immagini dei tiranni", 1799)., che rispecchiano entrambe la grafia originaria "Cimmarosa" - di chiara derivazione dialettale, è stato notato (cfr. F. Florimo, p. 379): grafia alla quale si rifà, del resto, anche la via che nel 1866 il municipio di Aversa volle intitolare al suo illustre concittadino.
Il trasferimento della famiglia Cimarosa a Napoli, dove il padre trovò lavoro nella costruzione della nuova reggia di Capodimonte, sembra secondo la maggior parte dei biografi avvenisse nel 1756 ma è, probabilmente, da antedatare se prestiamo fede ad un documento del 1777, citato dal Prota Giurleo, (p. 38) che lo definisce autentico o perlomeno dettato dal C., nel quale è scritto: "E come la mia natività colà [ad Aversal fu quasi per "accidens" poichè dopo pochi giorni fui dai miei genitori trasportato qui in Napoli...". Nessun giovamento ne derivò comunque alla famiglia poiché, per la morte del padre - caduto da un'impalcatura - madre e figlio vennero lasciati in completa miseria. Su richiesta della madre il piccolissimo C., ridotto alla condizione di "accattoncello", fu affidato all'assistenza dei padri conventuali al Pendino, presso i quali rimase circa cinque anni. Qui ricevette da un certo padre Polcano (o padre Porzio come scriveva I. Cambiasi, p. 169), organista dell'annessa chiesa di S. Severo, i primi rudimenti "nelle lettere e nei principi della musica, nella quale fece in breve tempo tali rapidi progressi, che ad istanza di quei religiosi ottenne un posto nel Conservatorio della Madonna di Loreto [a Napoli], ove, come orfano è sprovveduto di ogni mezzo, venne ricevuto per carità nell'anno 1761" (Florimo, p. 378).
Al conservatorio di S. Maria di Loreto, dove rimase fino al 1771 e dove suoi compagni furono N. Zingarelli e Giuseppe Giordano detto il Giordaniello, il C. ebbe come maestri certamente Pierantonio Gallo per il canto, Saverio, Carcajus per il violino e Fedele Fenaroli per l'armonia e la composizione. Qualche dubbio sorge invece circa il presunto insegnamento di Gennaro Manna (che lasciò il conservatorio di S. Maria di Loreto nel 1761, quando venne nominato maestro di cappella del duomo di Napoli) e quello di A. Sacchini (che, nominato secondo maestro di cappella del conservatorio medesimo nel maggio 1761, lasciò l'incarico nell'ottobre 1762 per recarsi a Venezia, e solo nel 1775 vi fece ritorno per sostituire F. Durante in qualità di "mastriciello"). Terminati gli studi presso il conservatorio di S. Maria di, Loreto nel 1771 (lo si può dedurre dal Libro delle Conclusioni del conservatorio dove, alla data 19 nov. 1770, si legge che "dei Maestri di Cappella al numero di cinque, due avevano già finito il loro tempo, cioè Capuano e Pagliusi, e altri tre, cioè C., Zingarelli e Giordano Maggiore non ci voleva gran tempo per finire il loro Istromento...", Prota Giurleo, p. 37), il C. fu per qualche tempo allievo di N. Piccinni, che ne completò l'educazione musicale, e prese forse qualche lezione di canto - come attesta il Florimo (p. 379) che si rifaceva anche alla testimonianza diretta di Paolo Cimarosa, figlio del C. - da Giuseppe Aprile, contralto. e noto maestro di canto il quale pubblicò tra l'altro a Londra, nel 1791, un metodo ancor oggi utilizzato (The Modern Italian Method of Singing).
Ottimo suonatore di violino, di clavicembalo e d'organo, oltre che eccellente maestro compositore, il C. - poco più che ventenne - era dotato anche di una buona voce che ben s'adattava sia alle parti serie sia a quelle buffe del repertorio operistico: tra il 1763 e il 1766 aveva interpretato infatti, nel teatrino del conservatorio, la difficile parte del protagonista di un intermezzo del Sacchini intitolato Fra Donato (composto nel 1756, su. libretto attribuito a P. Trinchera). Pur avendo già scritto - come era consuetudine per gli allievi dei conservatori napoletani - alcune composizioni di carattere sacro durante l'intemato a S. Maria di Loreto, è il 1772 la data fondamentale nella carriera artistica del Cimarosa. Nel carnevale di quell'anno venne rappresentata infatti, nel piccolo teatro dei Fiorentini di Napoli, la sua prima opera buffa: Le stravaganze del conte (libr. P. Militotti; interpreti: M. Monti, A. Della Nave, A. Terracciani, N. Grimaldi, A. e G. Casaccia, G. Bertani), eseguita insieme alla farsa - sempre del Militotti - intitolata Le magie di MerlinoeZoroastro (altro titolo: Le pazzie diStellidaura e Zoroastro), che fungeva da terzo atto dell'opera prepedente. L'esordio ufficiale del C. sulle scene napoletane, probabilmente facilitato dall'intercessione di una nota "canterina" buffa - Cecilia Checcucci Pallante - giunta nel 1749 da Roma a Napoli, dove venne scritturata dal teatro della Pace, che lo aveva-preso sotto la sua protezione non appena uscito dal conservatorio (e che venne generosamente contraccambiata dal C. quando le sue fortune andarono declinando), riscosse un successo piuttosto tiepido poiché, come scriveva il marchese di Villarosa (P. 381, "la musica, per essere di un principiante, fu compatita, tanto più che la poesia era ben cattiva...". Miglior successo incontrò invece, sempre a Napoli, nel carnevale dell'anno successivo, la commedia in tre atti La finta parigina (teatro Nuovo, libr. F. CerIone; interpreti: M. Monti, E. Abenant, N. Montarsi, A. e E. Di Nardo, A. Ferrero, G. Beltrani, G. Luzio e F. Barrese): con quest'opera infatti il C. si rivelò un temibile concorrente sia per compositori più anziani e famosissimi come Piccinni, Anfossi o Guglielmi sia per i più giovani Paisiello e Insanguine. Quest'opera, in particolare, segnò l'inizio di una ininterrotta e fortunata serie di melodrammi, che in breve si sarebbero diffusi non soltanto sui principali palcoscenici italiani, ma nei teatri di numerose città straniere.
In realtà, fino al 1780-81, furono esclusivamente i teatri napoletani (quello dei Fiorentini, il Nuovo, il teatro del Fondo) o alcuni teatri romani (il Valle, l'Argentina, il teatro delle Dame) a commissionare nuove opere al C., tra le quali ricordiamo I tre amanti (dramma giocoso in due atti, libretto di G. Petrosellini, Roma, teatro Valle, carn. 1776; replicato a Firenze, teatro della Pergola, primavera 1777, a Crema, teatro Civico, 1796, a Torino, teatro Carignano, 1797, con il titolo Gliamanti comici ossia La famiglia iscompiglio, a Padova, teatro Nuovo, 1801, ecc.); Il fanatico per gli antichi romani (commedia in tre atti, libretto di G. Palomba, Napoli, teatro dei Fiorentini, primavera 1777; interpreti: A. e F. Benvenuti, G. Migliozzi, G. e A. Casaccia, G. Bertani, N. Zarlatti. In quest'opera il C. introdusse per la prima volta dei terzetti e dei quartetti, innovazione - scriveva P. Cambiasi, p. 28 - "che bentosto fu adottata da tutti. Come si sa precedentemente, Piccinni aveva creato le prime forme di "pezzi finali" nella sua Buona figliola"); Il ritorno di don Calandrino (intermezzo a cinque voci, libretto di sconosciuto ma, secondo il Della Corte, da identificarsi con G. Petrosellini; Roma, teatro Valle, 1778; replicato a Firenze, teatro di via del Cocomero, autunno 1788); L'italiana in Londra (intermezzo a cinque voci, libretto, di G. Petrosellini; Roma, teatro Valle, carnevale 1779; interpreti: rancor giovanissimo G. Crescentini "che faceva da prima donna", il buffo toscano Buscani e il buffo napoletano G. Luzio). Accolta dal pubblico romano con straordinario entusiasmo. quest'opera venne - replicata a Torino (al teatro Carignano, 1779), a Milano (teatro alla Scala, 10 luglio 1780: prima opera del C. eseguita in questa città), a Venezia (teatro S. Moisè, autunno 1780), a Parma (teatro Ducale, 1789), a Bologna (teatro Marsigli Rossi, primav. 1781), a Napoli (teatro Nuovo, 1794).
Nell'"Avvertimento" indirizzato al pubblico, nel libretto della rappresentazione napoletana, si legge: "Dovendosi dal Maestro Cimarosa dare uno spartito, all'Impresa dei Teatro Nuovo... si è dal medesimo scelto L'italiana..., come quello che è meglio adattato alla Compagnia del Teatro suddetto. Vi si è aggiunto un quartetto nel primo atto, che prima non vi era, e due arie nuove dello istesso Maestro. Tutto il dippiù della musica non si è punto alterato giacché la medesima ha sempre sortito un esito felice in tutti que' luoghi ove si è rappresentata...".
Numerosissime anche le esecuzioni all'estero: come a Vienna, dove dal marzo 1783 al gennaio 1787 si susseguirono circa. venti repliche; a Marsiglia (1789-90) o a Parigi (Théâtre de Monsieur, 1790), dove vennero aggiunti nuovi brani - a opera del Cherubini - tra cui il terzetto "Son tre, sei, nove" (cfr. P. Cambiasi, p. 29, e G. Confalonieri). Ricordiamo infine L'infedeltà fedele (comm. in tre atti, libr. di G. B. Lorenzi "da rappresentarsi all'apertura del Nuovo Real Teatro del Fondo di Separazione", Napoli, 20 luglio 1779; interpreti: S. Maranesi, B. Mincozzi, P. Bonavera, G. Beltrani, T. Oltrabelli. Nell'"Avvertimento" il Lorenzi aveva scritto: "Eccoti il libro per l'apertura di questo nuovo Real Teatro. In esso ho studiato la ibaniera di slontanarmi da quelle solite buffonerie popolaresche e volgari, chè ne' nostri piccoli teatri si costumano, contentandomi di usare nella favola moderati sali, che bastassero a dare un convenevole risalto a quel tragico che in essa ho introdotto, e che finora non fu nelle farse musicali praticato...").
Nel frattempo, il 27 apr. 1777, il Caveva sposato (nella parrocchia di S. Giorgio Maggiore a Napoli) Costanza Suffi, nata a Roma il 25 apr. 1748 da Cecilia Checcucci e dal suo primo marito Paolo Suffi. Nel 1778, morta prematuramente di parto Costanza (insieme con la sua creatura), si era unito in matrimonio con un'altra figlia della Checcucci - Gaetana Pallante - nata nel 1762 dalle seconde nozze della "canterina" con il vecchio Mattia Pallante, scrivano del S. R. Collegio (che morì nel 1776).
Da Gaetana sappiamo che il C. ebbe una figlia, di cui si ignora il nome e la data di nascita, che accompagnò i genitori in Russia nel 1787e che sembra entrasse in seguito in convento, a favore della quale il cardinale Consalvi - grande amico, ammiratore e protettore del C. - avrebbe disposto nel suo testamento un lascito di 100 once d'oro e una cospicua rendita annua (cfr. J. Crétineau-Joly, p. 185). Ebbe inoltre un figlio, Paolo, nato a Pietroburgo il 26 marzo 1788 e morto a Napoli nel 1864, che seguì con scarsa fortuna le orme paterne prima come insegnante di musica nel conservatorio delle Donzelle a Napoli, e quindi in quello di S. Pietro a Maiella dove sono conservati una sua Messa a 4 vocicon strumenti, eseguita il 24 luglio 1808nel Collegio di musica di Napoli (segn. 1.3.6.), e un Mottetto sacro a 4 vocicon orch. del 1809(segn. 1.3.15).
Alla fine degli anni Ottanta, il nome dei C. era conosciuto e celebrato ovunque. Conclusosi il periodo dell'attività esclusivamente centromeridionale, cominciarono anni di spostamenti continui da una città all'altra (era consuetudine infatti che, alla prima rappresentazione di una opera, l'autore sedesse al cembalo durante la serata inaugurale e le due o tre sere successive), di richieste di opere nuove da parte dei maggiori teatri italiani, di inviti calorosamente rivoltiglì a partecipare alla vita musicale nelle principali corti europee. Egli diventò veramente - scriveva la Tibaldi Chiesa (p. 132) - "quel prototipo di musicista italiano errante, che la Vernon Lee contrapponeva al sedentario compositore tedesco... [e che il Pougin definiva] una specie di modello del moto perpetuo..., sempre per strade e per cammini, oggi qui, domani là...". Cominciano così gli spostamenti del C. verso l'Italia settentrionale. Per prima Venezia, altra capitale dell'opera per musica nell'Italia settecentesca, gli commissionò - nella stagione 1781-1782 - un'opera che andò in scena l'autunno del 1781 nell'antichissimo teatro S. Samuele, Giannina e Bernardone (dramma giocoso in due atti, libretto di F. Livigni; interpreti: F. Bucarellì, V. Del Moro, V. Bianchi, F. Bussani, R. Garbasi, T. Gherardi ecc.). Moltissime furono le repliche: nel 1782 a Varese, nell'83 a Firenze, Milano e Torino, nell'4 a Rovereto, per l'inaugurazione del nuovo teatro cittadino il 26 maggio, nell'85 a Napoli, dove la parte di flernardone venne cantata in dialetto napoletano, nell'86 al teatro S. Angelo di Venezia, con il nuovo titolo Ilvillano geloso;inoltre a Vienna ('84 e '85), Malta nel 1787, Bilbao nel 1790, Marsiglia nel 1790, Madrid nel 1793, Pietroburgo nel 1794, Parigi nel 1801, ecc. A Genova invece andò in scena Giunio Bruto (dramma tragico in due atti, libretto di G. Pindemonte, sotto lo pseudonimo di Eschilo Acanzio, teatro S. Agostino, estate 1782). Fu la volta di Milano, città per la quale il C. musicò Circe (dramma in due atti, libretto di D. Perelli, teatro alla Scala, 26 dic. 1782. Conosciuta anche con il titolo Amor di Girce con Ulisse, quest'opera era già stata rappresentata, secondo P. Cambiasi [p. 30], parecchi anni prima in località sconosciuta; lo Schlitzer sostiene invece che la prima rappresentazione ebbe luogo al teatro Valle di Roma nell'anho 1719 [p. 86]), e Idue supposti conti ossia. Lo sposo senza moglie, dramma giocoso in due atti, libretto di A. Anelli, teatro alla Scala, 10 ott. 1784, Fu in occasione appunto della messa in scena di quest'ultima opera (e della replica, avvenutasempre nell'autunno 1784, della commedia Chi dell'altrui si veste presto sispoglia ossia Nino e Martufo, libretto di G. Palomba) che il C. approfittò dell'ospitalità del principe Pietrasanta di Serradifalco nella villa di questo a Cantù, dove si fermò per circa due mesi e dove ebbe - sembra - una breve relazione amorosa con la diciannovenne Antonia Mazzucchelli, figlia di un ricco esattore comunale e ospite anch'essa della famiglia Pietrasanta. Prima di congedarsi il C. recitò un componimento poetico (altre volte, del resto, si era cimentato nella poesia; ricordiamo, per esempio, una sua ode intitolata "Il Tradimento"), nel quale si tessevano le lodi della famiglia Pietrasanta, degli altri ospiti della villa e, appunto, della Mazzucchelli: "... Ma che vedo? Chi è colei/ tutta afflitta e meschinella?/ Sommi dei! È Mazzucchella/ che mi viene ad incontrar... Ecco già l'acerbo istante/ ch'io lasciar ti debbo, o bella,/ ah, mia cara Mazzucchella/ quando mai ti rivedrò?..." (cfr., a proposito di questo soggiorno, La Gazzetta musicale di Milano del 24 febb. 1884 e P. Rattoni).
Proseguiamo l'itinerario operistico del C., ricordando che a Bologna - città che pur vide e accolse trionfalmente moltissime opere di questo autore - non venne mai rappresentato nessun lavoro appositamente composto per i teatri bolognesi. A Firenze, invece, ebbe luogo la prima esecuzione de La vanità delusa, meglio conosciuta con il titolo Ilmercato di Malmantile (dramma giocoso in due atti, libretto di C. Goldoni, teatro alla Pergola, primavera del 1784, Il secondo titolo sopracitato è quello che si trova nel ms. autografo, conservato nella Biblioteca del conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli, coll. 14.12.13, di quest'opera, che fu la prima musicata dal C. su un testo goldoniano). Da Vicenza venne invece commissionata al C., in occasione dell'inaugurazione del teatro Eretenio il 10 luglio 1784, L'Olimpiade (dramma serio in tre atti, libr. di P. Metastasio). L'esito fu felicissimo come testimoniava una cronaca contemporanea del Tornieri (in P. Cambiasi, p. 36), secondo il quale il concorso del pubblico si mantenne grandissimo, nonostante il caldo e la siccità della stagione. Venne in seguito replicata a Milano (La Scala, 7 sett. 1787), a Lucca (teatro Pubblico, autunno 1784), a Brescia (estate 1786), a Londra (primavera 1789), a Verona (teatro Filarmonico, car' nevale 1790), ecc. A Torino, dopo l'Artaserse (dramma serio in tre atti, libretto di P. Metastasio, teatro Regio, 26 dic. 1784; interpreti: M. Serra, il celebre L. Marchesi, C. Closse, M. Pallavicini, G. Scovelli e G. Benigni), venne quindi messo in scena - "alla presenza di ss.R.M." - il Volodomiro, dramma serio in tre atti, libretto di G. B. Boggio, teatro Regio, carnevale 1787; interpreti il celebre G. Crescentini, M. Babini e A. Morichelli Boselli. Il Florimo (pp. 380 s.) riporta un aneddoto che gli era stato narrato dal Mercadante che l'aveva a sua volta appreso da un discendente del ciambellano di Vittorio Amedeo III, incaricato di "minutare" l'opera del C. affinché non eccedesse i limiti di tempo rigidamente fissati dalla consuetudine di corte. Pare infatti che il re, facendo uno strappo alla regola "in grazia del conosciuto merito dei maestro", avesse concesso al C. di non accorciare affatto la sua musica nonostante la durata superiore al tempo previsto.
Al culmine della fama, ricoperto di commissioni, di elogi e di riconoscimenti da ogni parte d'Italia, e d'Europa, il C. era adesso Pronto per affrontare quell'esperienza che tanti musicisti, prima di lui, avevano compiuto, forse con alterne fortune ma sempre con sicuro vantaggio economico: il soggiorno in Russia, al servizio di Caterina II. Lasciati in consegna all'amico (e futuro cardinale) Consalvi i suoi manoscritti musicali, alla metà di luglio del 1787 (e non del 1789 come riferiscono molti biografi che non tennero conto della data di nascita del figlio Paolo, avvenuta a Pietroburgo nel 17881, il C. si imbarcò a Napoli e dopo undici giorni di viaggio giunse a Livorno, da dove ebbe inizio la lunga marcia d'avvicinamento alla Russia: perché - è stato scritto - per giungervi "prese la strada più lunga, ma la più cosparsa di tabacchiere...", intendendosi con ciò i munifici doni che nelle varie città dove sostò gli vennero presentati, secondo la consuetudine del tempo, dai nobili personaggi che lo ebbero ospite.
Si fermò a Firenze, invitatovi da Leopoldo I granduca di Toscana, dove si esibì davanti alla corte e dove riuscì a convincere lo stesso Leopoldo a unirsi a lui per suonare diversi brani tra cui - sembra - un quartetto tratto da Il pittor parigino (prima rappresent. a Roma, teatro Valle, 2 genn. 1781). Dopo una breve sosta a Parma, ospite del duca Ferdinando e della musicalissima Maria Amalia d'Austria (figlia di Maria Teresa), si recò a Vienna dove molte delle sue opere erano già state rappresentate e dove si fermò - su richiesta dell'imperatore Giuseppe II, al quale venne personalmente presentato dal marchese del Gallo, ministro del re di Napoli - ventiquattro giorni. Infine, dopo un lungo soggiorno presso la corte di Stanislao II Poniatowski a Varsavia, finalmente il 3 dic. 1787 giunse a Pietroburgo, calorosamente accolto da colui che con ogni probabilità aveva caldeggiato la sua chiamata in Russia e che avrebbe facilitato in tutti i modi la non facile permanenza presso la corte imperiale del compositore napoletano: Antonio Maresca, duca di Serracapriola, ministro napolitano a Pietroburgo dal 1782.
A differenza di quanto era avvenuto nel caso di molti suoi predecessori (Salieri, Galluppi, Traetta, Paisiello, Sarti, ecc.), estremamente scarse sono le notizie pervenuteci sulla vita e l'attività del C. in Russia, rimandandosi un biografo con l'altro storie di successi o di insuccessi non provati, di altissime quanto inverosimili cifre relative alla sua produzione musicale (oltre a quelle effettivamente conosciute, si legge spesso che il C. scrisse oltre cinquecento composizioni in Russia!). Mancano, in verità, almeno due fonti fondamentali, dalle quali si potrebbero ricavare dei dati sicuri: i documenti degli archivi imperiali concernenti il C. sono andati dispersi; pochissime sono le stampe delle sue opere, rispetto a quelle che certamente compose in Russia, tanto da farci sospettare che forse non vennero mai pubblicate. Per ricostruire il suo soggiorno pietroburghese ci rimane l'atto di nascita del figlio Paolo, dal quale apprendiamo che questi nacque il 26 marzo 1788 e venne tenuto a battesimo il successivo giorno 30, nella chiesa di S. Caterina, da illustri personaggi: "Anno 1788, die 26 Martii natus est Paulus Cimmerosa... Patrinus fuit S. A. Imperatoria Paulus Petrowitsz Magnus Dux Russiae: cujus vices supplevit D.nus Hoffermier Matrina Comitissa De Solticof" e gli ambasciatori di Austria, Francia e Napoli (cfr. Florimo, p. 398). Ci rimane, inoltre, qualche scamo resoconto ricavato da riviste russe o, straniere e le scarse indicazioni contenute nelle poche opere pubblicate: materiale, questo, scrupolosamente raccolto dal Mooser, secondo il quale la fortuna del C. aumentò dopo la sua partenza dalla Russia come si può dedurre, tra l'altro., dalla notevole collezione di partiture cimarosiane conservate presso la Biblioteca musicale dei teatri accademici di Leningrado (cfr. Mooser, p. 455). 2 probabile che la spiegazione di questo silenzio sia in buona parte da attribuire - come sostiene lo studioso sopracitato - alla scarsa simpatia o addirittura disistima nutrita da Caterina II nei confronti del C., che pure aveva accolto inizialmente con grande favore, nominandolo maestro di cappella e compositore della compagnia italiana "con larghissimo stipendio", oltre che insegnante di musica dei nipoti Alessandro (il futuro zar) e Costantino.Giunto, come si è detto, all'inizio di dicembre del 1787, il C. dovette ben presto assolvere ai suoi compiti, in occasione della morte della duchessa di Serracapriola (Maria Adelaide del Carretto di Camerano) avvenuta il 12 dic. 1787: compose infatti una Missa pro defunctis (in sol min, a 4 voci, con violini, corni da caccia obbligati e basso), eseguita nella chiesa cattolica di S. Caterina a Pietroburgo. La prima composizione profana del C. in Russia fu invece la "azione teatrale" - come fu definita dal librettista - intitolata La Felicità inaspettata ("Cantata pastorale, composta dal Sig. D. Cimarosa, Maestro di Cappella all'attual servizio di S.M.I. Caterina II Imperatrice di tutte le Russie, Rappresentata la prima volta nel Teatro dell'Eremitaggio lì 24 Febraro 1788". Il libretto era di F. Moretti, poeta di corte; gli interpreti furono: A. Pozzi, D. Bruni, G. Jermolli e G. B. Ristorini). Altre cantate seguirono poco dopo: Atene edificata, cantata drammatica a 4 voci "per il giorno di S. Pietro. Composta per ordine di S. M. Caterina II... da D. Cimarosa Maestro di Musica di S. M." (Pietroburgo, teatro dell'Ermitage, 29 giugno 1788, libretto di F. Moretti; gli interpreti furono - secondo P. Cambiasi, p. 62 - gli stessi della prima cantata); La Sorpresa, cantata pastorale a 5 voci, con cori e balli (libretto di F. Moretti; nel ms. autogr. di questa partitura [conservat. S. Pietro a Majella: segn. 17.2.13] si legge: "Composta espressamente per S. E. il Sig. Conte Bazbarotek [A. A. Bezborodko] nel tempo in cui Cimarosa era al servizio di Caterina II in Russia"); La serenata non preveduta, id. (libr. di F. Moretti, Pietroburgo, 28 apr. 1791; composta su richiesta del principe G. Potëmkin, uno dei favoriti di Caterina II, ed eseguita probabilmente durante una festa da questo offerta all'imperatrice).
Per quanto riguarda la produzione operistica il C., oltre a curare la messa in scena di opere composte in precedenza (a Pietroburgo, per es., fu rappresentata il 9 apr. 1789 Idue supposti conti;quindi, il 18 apr. 1789, DvièNiènesly [Le due fidanzate], versione russa de Le due rivali, rappresentata per la prima volta al teatro Valle di Roma nel 1780; infine, 1789, I due baroni di Rocca Azzurra, bella versione russa di V. Tchernikof), scrisse exnovo soltanto due opere: Cleopatra, dramma serio in due atti (libretto di F. Moretti, Pietroburgo, teatro Ermitage, 27 sett. 1789; interpreti: A. Pozzi, M. Gattoni, D. Bruni, G. Jermolli. Replicata in una versione russa al teatro Seremetev di Kouskovo [cfr. Mooser, p. 32], secondo il Florimo [p. 382] quest'opera "fece tale fanatismo, che per ogni dove in Pietroburgo non si parlava d'altro che del Cimarosa e del suo gran merito ..."); e La vergine del sole, dramma serio in tre atti (libretto di F. Moretti, Pietroburgo, teatro Kamenny, 26 ott. 1789; con gli stessi interpreti dell'opera precedente). Secondo il Mooser (p. 146) quest'opera era già stata rappresentata al teatro dell'Ermitage nell'autunno 1788. Giudicata generalmente una delle migliori opere serie del. C. venne in seguito riprodotta a Brescia nel 1790, col titolo del libretto originario Idalide ossia La vergine del sole (già musicato dal Sarti nel 1783), a Madrid nel 1790-91, a Bologna, teatro Formagliari, 1790 ecc.
Sempre nel periodo di permanenza in Russia, il C. scrisse anche due cori che, come già le parti corali presenti nelle due opere sopra menzionate, ci offrono una testimonianza precisa della suggestione esercitata sul compositore napoletano dalla straordinaria bravura dei cantori della cappella imperiale, considerata uno dei migliori complessi vocali europei della seconda metà del Settecento: il coro Dall'indica marina (composto in data incerta "in Pietroburgo per la tavola dell'Imperatrice...", inizia con i versi: "Dall'indica marina/ torni sì bell'aurora/ e nunzia venga ognora/ di gloria e di piacer...") e il Coro di guerrieri (a 4 voci, Pietroburgo 1790). È assai ptobabile che questo coro, di cui una partitura manoscritta si conserva nel conserv. di S. Pietro a Maiella (segn. 13.6.14), dovesse originariamente far parte del grande spettacolo storico Načal'noe upravlenie Olega (Gli inizi dei regno di Oleg), su libretto scritto dalla stessa Caterina II che lo aveva fatto musicare, oltre che al C., a C. Canobbio, G. Sarti e V. Paškevič. Il brano cimarosiano fu in seguito eliminato, quasi certamente per volontà della zarina che dette mostra di preferire "la grandiloquence et le style déclamatoire [di Sarti] au caractère discret et réservé des ouvrages du maestro napolitain..." (come si legge nel Mooser, p. 454).
Che la musica del C., in particolare le sue opere serie e le composizioni sacre, non avesse suscitato grande entusiasmo in Russia sembra ormai un dato accertato. Dato, tra l'altro, confermato da una lettera di un giornalista tedesco del 29 marzo 1793 (cfr. Mooser, p. 452), in cui vi sono osservazioni illuminanti circa i gusti del pubblico russo e la sua preferenza per la produzione comica del C.: "On gardait un bon souvenir de Cimarosa. Ses grands opéras ne pouvaient étre appréciés et avoir de succès, qu'en raison de sa présence... Ils ne purent se maintenir [au répertoire], parce que trop recherchés, forcés et chargés. Du reste, il leur manquait aussi le grande caractère noble. Par contre, le genre de ses petits opéras-comiques est tout à fait réussi et piquant...".
La freddezza dell'ambiente, l'inclemenza del clima, le rigide economie che la guerra imminente aveva imposto alla corte (nel 1790, gran parte della compagnia italiana venne congedata dalla direzione dei Teatri imperiali); infine, i, consistenti guadagni accumulati comunque in quegli anni: furono queste, in larga misura, le ragioni per cui il C. si decise a lasciare la corte di Caterina II verso la metà del 1791, recando con sé quel prezioso clavicembalo che poi venne custodito presso il conservatorio di S. Pietro a Maiella in Napoli.
Dopo un lungo soggiorno a Varsavia, dove non sembra che abbia svolto alcuna attività particolare, alla fine del 1791 il C. era a Vierma dove trova ad accoglierlo il nuovo imperatore Leopoldo II (l'ex granduca di Toscana), salito al trono nel 1790, alla morte del fratello, Giuseppe II. Contrariamente a quanto sostenuto da parte di molti biografi, nessuna carica specifica venne attribuita al C. il quale, tuttavia, ricevette dall'imperatore una assegnazione annua di 12.000 fiorini e il privilegio di abitare in un appartamento della corte. Messosi subito al lavoro, il 7febbr. 1792 venne rappresentata al teatro di corte l'opera forse più famosa del C., quel Matrimonio segreto che suscitò un tale entusiasmo e tanto piacque a, Leopoldo II che questi - come è fin troppo noto - richiese che l'opera venisse interamente replicata, la sera stessa della prima esecuzione: al C. come compenso, sembra venisse data l'esorbitante somma di 500 doppie d'oro napoletane (Florimo) o di 1350 fiorini (Schlitzer, p. 145).
Autore del libretto era il veneziano Giovanni Bertati successore, nell'ufficio di poeta cesareo presso la corte imperiale, di Lorenzo Da Ponte, il quale lasciò nelle sue Memorie dei giudizi piuttosto aspri sul suo rivale e una relazione inviatagli dall'abate Casti circa la prima rappresentazione dell'opera: "Iersera si rappresentò per la prima volta Il matrimonio segreto. La musica è meravigliosamente bella, ma le parole riuscirono assai al di sotto dell'atpettazione, e tutti ne - sono scontenti. particolarmente i cantanti..." (cfr. Da Ponte). Le fonti alle quali si era rifatto il Bertati nello scrivere questo libretto per il C., erano la commedia in 5 atti The clandestine marriage (Londra 1766) di G. Colman e D. Garrick, che si erano a loro volta ispirati al ciclo pittorico in sei quadri di W. Hogarth, Marriage à la mode (1745 circa); l'opéra comique Sophie ou Le mariage caché di M. J. La Boras de Mezières (M.me Riccoboni), eseguita a Parigi nel 1768 con musica di Joseph Kohaut; infine Le Mariage clandestin di F. Devienne (opéra-comique in un atto, Parigi, Thèâtre Montansier, 11 nov. 1790, libretto di J. A. Pierre).
Le altre due opere composte dal C. a Vienna e rappresentate al teatro di corte (La calamita dei cuori, dramma, giocoso, libretto di C. Goldoni, autunno 1792;e Amor rende sagace, id., libretto di G. Bertati, 4 apr. 1793)riscossero un entusiasmo assai modesto rispetto al Matrimonio segreto. Questo fu poi accolto trionfalmente a Napoli (1791, teatro dei Fiorentini), dove venne replicato più di cento volte in soli cinque mesi e dove il C., che vi aveva fatto ritorno in quell'anno dopo sei anni di assenza, fu obbligato dall'entusiasta pubblico napoletano a sedere per sette sere consecutive al cembalo.
Nel libretto stampato per l'occasione (Roma, Bibl. nazionale: 40, 4, R. 21 1) si legge: "L'impresario odierno del Teatro de' Fiorentini ha creduto un dovere il darlo per prim'opera al rispettabile Pubblico Napoletano. Alle cui brame si è unito l'impegno dei detto maestro ad adattarlo con pochi accomodi all'attual compagnia...". Il Fétis (p. 305) afferma che il C. vi aggiunse alcuni pezzi, tra cui il duetto "Deh! Signore!...".
A Napoli ebbe nuovamente inizio per il musicista un periodo di intensa attività compositiva: tra le molte opere scritte in quegli anni, ricordiamo la splendida commedia Le astuzie femminili (dramma giocoso in due atti, libr. di G. Palomba, Napoli, teatro de' Fiorentini, 26 ag. 1794) e Gli Orazi e i Curiazi, tragedia per musica in tre atti (libretto di A. S. Sografi, Venezia, teatro La Fenice, 26 dic. 1796; interpreti furono G. Crescentini [Curiazo], G. Grassini [Orazia] e il tenore M. Babini. Accolta freddamente la sera della prima rappresentazione, ebbe poi un successo trionfale la sera successiva alla quale seguirono quarantotto repliche; tra le esecuzioni che ebbero luogo in seguito, ricordiamo quella alla Scala di Milano (26 dic. 1797) e quella al teatro delle Arti di Torino (26 dic. 1801), che rappresentò un atto d'omaggio e di riconoscenza artistica da parte della città al compositore morto qualche mese prima.
La morte della moglie, Gaetana Pallante, avvenuta a Napoli il 17 marzo 1796 (cfr. "Fede di morte", in Florimo, pp. 397 sl rappresentò un colpo duro per il C., che ne risentì anche fisicamente (nell'estate 1798 fu afflitto da una malattia nervosa) e che, da quel momento, rallentò molto la, sua attività. Nel 1797 vennero infatti rappresentate quattro sue nuove opere: Achille all'assedio di Troia (Roma, teatro Argentina, 8 febbraio; libr. di ignoto; interpretata, secondo la consuetudine romana, esclusivamente da uomini, quest'opera venne dedicata "a Sua Eccellenza la Signora D. Maria Carlotta Barberini principessa Chigi"); L'imprudente fortunato (Roma, teatro Valle, stagione di carnevale); AttilioRegolo (Reggio Emilia); Artemisia reginadi Caria (Napoli, teatro S. Carlo, giugno, libretto di M. Marchesini; dedicata a Ferdinando IV di Borbone, venne composta in occasione delle nozze del principe ereditario Francesco con l'arciduchessa Maria Clementina d'Austria). Negli ultimi anni dì vita del C. apparvero invece sulle scene soltanto altre tre opere, e precisamente: L'apprensivo raggirato (commedia in due atti, libretto di G. M. Diodati, Napoli, teatro dei Fiorentini, 28 genn. 1799; probabile rifacimento de Il matrimonio per raggiro, Roma 1779); L'artecontro l'arte (Alessandria 1800; la musica e il libretto sono andati perduti); infine l'o pera che si sarebbe dovuta rappresentare la sera di S. Stefano del 1800 e che invece andò in scena incompleta - sette giorni dopo la sua morte -, cioè Artemisia (dramma tragico in tre atti, libretto di G. B. Colloredo, celato sotto lo pseudonimo di Cratisto Jameio; Venezia, teatro La Fenice, 18 genn. 1801).
In un libretto, pubbl. incompleto a Venezia, si legge: "Quando il celebre Gimarosa aveva in Venezia composta, fino a questo termine, la presente musica, una morte immatura lo rapl ai voti comuni. L'opera rimase incompleta. E chi mai poteva tentarne la continuazione ? ..." (cfr. Cambiasi, p. 53). In un altro libretto, consultato dallo Schlitzer (p. 127), troviamo invece scritto: "1 versi' che sono postillati si omettono in parte per abbreviare l'azione ed in parte per non esser stati posti in Musica..." (è il caso di tutto il terzo atto e di alcuni brani dei primi due atti). In realtà, per terminare l'opera mancava solo un'aria con coro della prima donna: nel ms. autografo della partitura (conservatorio S. Pietro a Maiella: segn. 15.5.4). all'aria con coro di Artemisia "Risuonar farò l'Eliso...", troviamo una annotazione di mano ignota che dice: "Prevenuto dalla morte il Maestro non potè scrivere la seguente aria").
Rimasto solo, stanco e malandato in salute, al C. non venne risparmiata la difficile esperienza della Repubblica partenopea del 1799: esperienza per certi versi esaltante, ma senza dubbio traumatica per un tipico compositore del Settecento quale egli era, fondamentalmente estraneo a ogni ideologia politica. Martire involontario della libertà - come lo defini il Basso (p. 81) -, si può supporre che il C., alla stessa stregua di qualsiasi altro musicista del suo tempo al servizio di una corte, "più che aderire col cuore e col pensiero politico prima ai Borboni, poi ai giacobini, infine ai Borboni... - sollecitato da qualche momentanea simpatia - intese soprattutto di passare da un'aniministrazione all'altra e di assicurarsi uno stipendio e un titolo..." (A. Della Corte, Celebrazioni campane, p. 78). Non è possibile prestar fede alla cronistoria del Botta secondo la quale "...venuta Napoli in mano dei sicarj di Ruffo, furono primieramente le sue case saccheggiate, anzi il suo gravicembalo... gittato per le finestre a rompersi sulle dure selci; poi egli medesimo cacciato in prigione, dove stette ben quattro mesi e ci sarebbe stato anche di più, se i Russi ausiliari del Re non fossero giunti a Napoli...". Sappiamo però che, quando fu proclamata - maggio 1799 - la Repubblica partenopea, il C. volle parteciparvi componendo un inno, che venne eseguito nel corso della festa dell'Albero della libertà, con la partecipazione dei giovani studenti dei conservatori napoletani di musica. Il testo di questa composizione (intitolata Inno patriottico del cittadino Luigi Rossi per lo bruciamento delle immagini dei tiranni, "posto in musica dal Cimmarosa, da cantarsi nella festa del 30 fiorile sotto l'albero della libertà avanti il Palazzo Nazionale"), venne ritrovato da B. Croce che lo pubblicò a Napoli nel 1899 (Albo commemorativo..., cfr. Aversa a D.C. nel primo centenario, p. 365). Sappiamo inoltre che nel mese di giugno il C., evidentemente non ancora incorso nel rigori della repressione borbonica, nascose per alcuni giorni nella sua casa il patriota giacobino Nicaso Di Mase, che rese poi pubblicamente merito al compositore di questo gesto toraggioso in un suo componimento poetico rintracciato da V. Spinazzola (cfr. La prigionia di C., in Aversa a D. C., pp. 410 ss.). Ritornati i Borboni a Napoli, il C. si adattò alla situazione e musicò dapprima l'inno reazionario Bella Italia ("Bella Italia, ormai ti desta;/ Italiani, all'armi, all'armi..."), su versi di Vincenzo de Mattei di Torre Susanna, consigliere della Gran Corte civile della Vicaria: la musica venne donata alconservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli, allora diretto dal Mercadarite, nel 1868 da G. Orlandi che lo ritenne erroneamente il vero inno. repubblicano (cfr. P. Rosano, ibid., pp. 365 ss.).
Compose poi - sembra su suggerimento di un certo don G. Tanfano - la Cantata per Ferdinando IV (a tre voci, "espressamente composta dal Sig.r D. Cimarosa in occasione del bramato ritorno di Ferdinando nostro amabilissimo sovrano..."), che fu eseguita il 23 sett. 1799 nella chiesa della Vittoria alla riviera di Chiaia. L'errore commesso dal C., che si rivelò fatale per la sua sorte futura, fu quello di dedicare al re la stampa di questa cantata, nella quale ebbe l'ardire di fregiarsi del titolo di maestro di cappella "all'attual servizio di S. M.": titolo effettivamente usurpato dal momento che l'unica carica ricoperta dal C. in quel momento era quella di organista ordinario della cappella reale (titolo conferitogli nel novembre del 1796: cfr. Prota Giurleo, p. 40), per la quale aveva riscosso fino a tutto il gennio 1799 l'onorario di 10 ducati al mese.
In un rapporto inviato il 2 nov. 1799 dal gardinale Ruffo al re di Napoli, che lo aveva incaricato di un'inchiesta, è scritto che "...Sua Maestà... davvero non sapeva comprendere, come quel Cimarosa, che servito la Repubblica e battuto la musica sotto l'infame Albero della Libertà, sia stato abilitato a scrivere un simile componimento..., che con sorpresa avea la Maestà Sua veduto posta in scena in detta Cantata la Sua real Persona, senza averne dato il permesso; Che era restata stranizzata nel veder nelle stampe chiamato il Cimarosa Maestro di Cappella all'attual servizio di Sua Maestà, quando per la di lui cattiva condotta più non appartiene alla Real Corte; Che avea trovato irregolare la condotta dei Revisori, per cui ordinò la Maestà Sua di far Idro sentire ad essere in avvenire più cauti nell'accordare tali permessi, e prescrisse finalmente di prendersi conto sulla condotta di esso Cimarosa..." (Arch. di St. di Palermo, Registro n.p. 1965 dei dispacci della Real Segreteria, anno 1799, Napoli, ff. 22r e 89 ss.). Declinata ogni personale. responsabilità. (poiché "riguardo alla stampa di detta Cantata, Egli non ne ha saputo mai cosa alcuna, giacché ha creduto dover questa esser de la cura dei Revisori e dei Cappellano Maggiore..."), il Ruffo venne successivamente "discaricato" dal re: "Sua Maestà disapprovando non già la condotta del Cardinal Ruffo, ma degli altri che hanno dato causa alle commesse irregolarità, vuole che ne siano nel Real nome ripresi". Già fortemente compromesso, il C. vide aggravarsi la sua situazione in seguito a una relazione inviata al re dalla Giunta di governo, riguardante la situazione dei teatri napoletani durante il periodo repubblicano. In essa il C. e G. B. Lorenzi venivano indicaticome due dei membri della commissione repubblicana dei teatri, e si aggiungeva inoltre: "... si vede nell'obbligo la Giunta di Governer di manifestare a V. M. di poter essere adoperato per cose diTeatro D. Giambattista di Lorenzo, giacché lo stesso ebbe poca ingerenza in detta Commissione, con aver manifestato in tutti i discorsi il suo sentimento contrario al Governo Democratico, tutto all'opposto di D. Domenico Cimarosa, che oltre di avere adottato simili sentimenti, pose anche in musica vari inni Patriottici, ed assisté al canto dei medesimi" (ibid., f. 110).
Il 9 dic. 1799 il C. fu arrestato e chiuso in carcere; quattro mesi più tardi venne liberato per intervento di G. Tanfano o del Consalvi, e non già (come scriveva il Botta, seguito poi da molti biografi del C.) dai Russi "ausiliari del re... giunti a Napoli": leggenda questa sostiene il Prota Giurleo (p. 39) nata forse dall'intervento a favore del C. del cav. Italinski, ministro della corte russa a Napoli. Il C. decise allora (o venne "tacitamente consigliato", come riferisce il Florimo, p. 386) di allontanarsi da Napoli e di recarsi a Venezia, dove poteva contare sull'amicizia di artisti ed ex allievi (come C. Angiolini) e sull'interessamento .di aristocratici cittadini come la nobile famiglia Grimani; e dove, in particolare, contava di scrivere l'opera commissionatagli dalla Fenice, quella Artemisia già citata, che non fece in tempo a veder rappresentata sulle scene.
Prese alloggio in un palazzo in campo S. Angelo, ridotto allora ad albergo chiamato "Alle tre stelle": ma fu un soggiorno di breve durata perché, colpito da un tumore all'addome, si spense a Venezia l'11, genn. 1801. Come si legge nel certificato di morte redatto dal medico curante, Marco Franco, il C. "dopo un decubito di giorni 8, attaccato da Colica Biliosa finì di vivere questa mattina alle ore due dopo il mezzogiorno... Si seppellirà domani all'ore 4 pomeridiane in chiesa nostra con capitolo" (Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità, necrologio n. 989).
Le strane voci che circolarono subito dopo la sua morte (che fosse stato avvelenato per ordine della regina Maria Carolina di Napoli, o fosse comunque morto in conseguenza dei inaltrattamenti subiti nelle prigioni borboniche) vennero messe a tacere dal certificato redatto dal medico onorario di Pio VII, Giovanni Piccioli ("... è passato agli eterni riposi... in conseguenza di un tumore che avea nel basso ventre, il quale dallo stato scirroso è passato allo stato canceroso..." (Florimo, p. 396): certificato che il governo napoletano si affrettò a pubblicare e a diffondere ovunque.
Dopo la sepoltura privata, avvenuta il 12 gennaio, nella chiesa di S. Michele Arcangelo, il 28 gennaio successivo. "... gli furono fatte le Esequie solenni in Musica con apparati a lutto, superba Musica, illuminazione di molte torce al Palco, con immenso concorso dì Popolo, e furono nello stesso giorno da Sacerdoti di nostra chiesa celebrate alcune Messe a beneficio..." - come si legge in una relazione del sagrestano della chiesa di S. Angelo, cit. dal Florimo, p. 397, Il quale riporta inoltre la descrizione dei solenni funerali, apparsa su Il Postiglione del gennaio 1801, nella quale si legge: "...e lunedì se le faranno solenni funerali con iscelta messa'in musica, alla quale gratuitamente concorrerà commosso ogni professore di musica..., tra cui i valenti soggetti del Teatro La Fenice, per i quali compose l'ultima delle sue produzioni... Siffate cure sono essenzialmente dovute alla nobile donna Maria Virginia Grimani, nata principessa Ghigi, ed al nobile uomo ser Michele di lei figlio, mecenati delle belle arti, e particolarmente affetti al defunto..." (pp. 398 ss.). La musica era stata composta e diretta "dal rinomato signor Ferdinando Bertoni, maestro della basilica di S. Marco; mentre i signori Alessandro da Ponte ed Antonio Capuzzi ne dirigevano gli istrumenti d'arco": alla fine delle esequie si ascoltò un concerto per flauto, composto ed eseguito da L. Gianella, che si era rifatto a temi degli Orazie Curiazi del Cimarosa stesso. Anche a Roma, per iniziativa del card. Consalvi, ebbe luogo una solenne cerimonia di suffragio il 25 gennaio nella chiesa di S. Carlo ai Catinari, nel corso della quale venne eseguita. "da tutti i musicisti che trovavansi in Roma e che vi concorsero gratuitamente" (Diariodi Roma del 27 genn. 1801, p. 7), la Messa da requiem del Cimarosa. Sempre per volontà del Consalvi, fu commissionato al Canova un busto del C. collocato nel 1816 nella chiesa della Rotonda a Roma e, successivamente, nel Museo Capitolino.
Celebrato come uno dei più grandi musicisti del Settecento e tra i più illustri rappresentanti dell'opera italiana, il C. attende ancora uno studio approfondito che ne consideri la produzione nel suo complesso, non restringendola - di fatto - alla sola ed encomiastica considerazione del Matrimonio segreto;l'unica opera, tra tutte le altre del C., che non abbia risentito dell'usura del tempo e forse la sola opera comica dei Settecento rimasta ininterrottamente in repertorio. Studio necessario, innanzi tutto, per stabilire un punto fermo all'incertezza non soltanto cronologica ma, talvolta, anche attributiva del vastissimo catalogo della sua produzione musicale.
Musicista assai prolifico, il C. compose moltissimo e non soltanto per il teatro musicale. Dì luì ci rimangono infatti oltre settanta opere per musica, gran parte delle quali di carattere comico (di chiara ascendenza napoletana, ma dotate di un respiro ben più ainpio che travalica i confini a volte angusti dell'opera buffa); altre - a cominciare dal Caio Mario (1780), il primo "dramma per musica" composto dal C., al quale seguirono poi una quindicina circa di lavori dello stesso genere - di carattere serio: nel filone cioè del melodramma "metastasiano" della prima metà del secolo. Scrisse inoltre diversi oratori e "azioni sacre"; numerose messe, mottetti e altri brani religiosi; un gran numero di composizioni vocali profane, tra cui cantate, duetti, "canzoncine" e "ariette" (co n accompagnamento strumentale), scritte in data non sempre precisabile e per occasioni particolari, spesso come omaggio a persone a lui care: così, ad esempio, Che legge spietata (composta "per uso della signora Costanza Pallante"); Diqual rigido marmo ("fatto per uso e divertimento di Margherita Uslenghi Galanti"); o Chi ben m'osserva, miosserva al taglio (cavatina "per uso del N. H. Leonardo Grimaldi"). Infine, oltre ad un concerto per due flauti e orchestra ("composto espressamente per la camera di S. E. Esterasi, Deg.mo ambasciatore di S. M. Imperiale presso la corte di Napoli", nel1793) e a diverse sinfonie, il C. compose moltissime sonate per il clavicembalo o il forte-piano, in parte pubblicate nei primi decenni del Novecento a Parigi (a cura di E. Boghen, Parigi 1948), e in Italia (Raccolta di 31Sonate per fortepiano, a cura di V. Vitale, revisione pianistica di C. Bruno, Milano 1971 e Sonate per clavicembalo a cura di A. Sacchetti, Ancona 1974), in parte conservate manoscritte nei conservatori di Firemie e di Milano.
Per un elenco il più completo possibile delle opere cimarosiane, si rimanda - per una facile consultazione - al catalogo compilato da A. Della Corte (La Musica. Encicl. storica)e all'elencazione fornita da A. Damerini (Enc. dello Spett.);per una maggiore completezza, si rimanda invece al volume di F. Schlitzer (Annali), nel quale continui sono i rimandi al lavoro di P. Cambiasi, che rimane ancora lo studio più dettagliato - per ricchezza e precisione di dati - sulla produzione musicale cimarosiana. Tale studio sarebbe inoltre particolarmente apprezzabile soprattutto per meglio inquadrare la figura del C. nell'ambito -non soloitaliano, ma anche europeo - della musica teatrale della seconda metà del Settecento; per valorizzame cioè l'importanza come imprescindibile punto di riferimento alla esatta, comprensione di quel lento processo di fusione che, negli ultimi decenni del secolo, venne attuandosi tra opera comica e opera seria; e dell'affermazione di un genere d'opera, non più legata a precisi confini territoriali, che avrebbe trovato successivamente nello Haydn operista, in Mozart e infine in Rossini l'espressione più perfetta.
Nei lavori dedicati, in anni passati, al C. molto ci si è soffermati su quell'inconfondibile càrattere di "solare classicità" che contraddistingue la musica cimarosiana e che entusiasmò quasi inevitabilmente, potremmo dire personaggi come Stendhal o come Goethe; e che, altrettanto inevitabilmente, suscitò la fredda indifferenza o addirittura l'aperta ostilità di artisti come Schumann, che arrivò a definire Il Matrimonio segreto "assolutamentemagistrale nella tecnica (composizione e strumentazione); ma del resto abbastanza privo d'interesse e alla fine veramente noioso e vuoto d'ogni pensiero" (p. 232). Opportuno è stato soffermarsi - talora con l'atteggiamento nostalgico che si prova nei confronti di un mondo spirituale perfettamente compiuto, e privo dì troppo accentuate zone d'ombra e di luce su alcuni tratti fondamentali dello stile del C. (l'esemplare trasparenza dei suono, la singolare freschezza e spontaneità dell'invenzione melodica, la raffinata sensibilità timbrica, la naturale comunicatività di uno spettacolo che sembra richiedere "un modo di appercezione in un certo senso istantaneo e unidimensionale, una lettura immediata... che non attraversi la realtà dell'immagine alla ricerca di un'inesistente densità prospettica e di significato..." (E Degrada, L'opera napoletana, p. 311). Ma altrettanto necessario - ci sembra - sarebbe sottolineare la reale portata del bagaglio tecnico sotteso all'apparente facilità della scrittura cimarosiana; la natura delle innovazioni apportate nello schema melodrammatico (l'accento posto sui pezzi di insieme, nei finali degli atti e nel corso delle singole scene; il risalto conferito al coro, come componente essenziale all'evolversi drammatico dell'azione; la grande varietà formale dei "pezzi chiusi"...); l'arricchimento delle formule stereotipate che caratterizzavano l'opera seria del suo tempo, nella quale il C. trasfuse il calore, la naturalezza e quella verità d'accenti e situazioni caratteristici della migliore tradizione napoletana. Infine, la proficua collaborazione intrecciata con librettisti d'origine e formazione assai diversa, dei quali seppe di volta in volta mitigare - o far dimenticare - gli accenti troppo palesemente farseschi (è il caso del Militotti, di G. Palomba o del Petrosellini), o valorizzare i propositi riformistici spesso enunciati a chiare lettere nelle prefazioni dei fibretti (così G. B. Lorenzi o L. Serio).
Fonti e Bibl.: L. Da Ponte, Memorie, a cura di C. Pagnini, Milano 1960, pp. 164 ss.; J. F. Arnold, D. C., in Bildungsbuch f. junge Tonküstler, Erfurt 1810; C. Botta, Storiad'Itaha dal 1789 al 1814, III, Milano 1844, p. 355; I.Cambiasi, C., in Gazzetta mus. di Milano, II (1843), 40, pp. 169 s.; 41, pp. 173s.; C. A. De Rosa, marchese di Villarosa, Mem. dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli 1840, pp. 35 ss.;V. Crétineau-Joly, Mémoires du cardinal Consalvi, I, Paris 1864, p. 185;A. Tari, D.C., Napoli 1875;F. Florimo, La scuola musicale di Napoli, II, Napoli 1882, pp. 304 ss., 378 ss.; P. Rattoni, A Proposito di D.C. e del suo soggiorno a Cantù, Milano 1885;G. Gaspari, Catalogo della Bibl. dei Liceo mus. di Bologna, III, Bologna 1893, pp. 8, 297 s.;P. Cambiasi, Notizie sulla vita e sulle op. di D.C., Milano 1901; Aversa a D.C. ..., Napoli 1901; Kat. der Ausstellung anlässlich der Centenarfeier D.C.'s., a c. di R. Hirschfeld-A. J. Weltner, Wien 1901; M. Storni Trevisan, Nel primo cent. di D.C., Venezia 1901; F. Polidoro, La vita e le opere di D.C., Napoli 1902;A. Bonaventura, C., Torino 1915; A. Della Corte, L'opera comica ital. nel '700, II, Bari 1923, pp. 127 ss.;F. Boghen, Sonates de C. pour le fortepiano, in La Revue musicale, V (1924), 9, pp. 95 ss.; U. Rolandi, Il librettista del "Matrimonio segreto", Tricase 1926;S. Di Giacomo, Ilconserv. dei Poveri di Gesù Cristo e quello di S. Maria di Loreto, [Milano] 1928, ad Ind.;R. Vitale, D.C. La vita e le opere, Aversa 1929; M. Scherillo, L'opera buffa napoletana durante il Settecento, Palermo s.d., ad Indicem;G. Biamonti, C., Roma 1930;V. Lee, Il Settecento in Italia, Napoli 1932, ad Indicem;A. Toni, L'impresario in angustie, in Il Popolo d'Italia, 1° marzo 1933;G. Gasperini-F. Gallo, Catal. della Bibl. del conservatorio di mus. di S. Pietro a Maiella di Napoli, Parma 1934, pp. 77-80, 214 ss., 572; A. Della Corte, D. C., in Celebrazioni campane, Urbino 1936; Id., C. nel '99 e nella fortuna postuma, in Rass. musicale, IX(1936), pp. 280 ss.; M. Tibaldi Chiesa, C. e il suo tempo, Milano 1939; E. Borrelli, D.C., Torino 1940; U. Sesini, Catal. della Bibl. del Liceo mus. di Bologna. Libretti d'opera, V, Bologna 1943, pp. 112 ss.; R. A. Mooser, Opéras, intermezzos, ballets, cantates, oratorios, jóués en Russie durant le XVIIIe siècle, Genève 1945, ad Indicem;C.Engel, Anote on D.C.'s Il Matrimonio segreto, in Musical Quarterly, XXXIII(1947), 2, pp. 201 ss.; G. Confalonieri, Prigionia di un artista, Milano 1948, p. 200;L. Chailly, IlMatrim. segreto, Milano 1949; Peril bicentenario di D. C., Aversa 1949; Stendhal [H. Beyle], Rossini, a cura di B. Ravel, Milano 1949, passim;F. Schlitzer, Annali delle opere di C., Napoli 1950;Id., Goethe e C., Siena 1950; W. Dean, The libretto of "The Secret Marriage", in Music Survey, II(1950), 1, pp. 33 ss.; R. A. Mooser, Annales de la musiaue et des musiciens en Russie au XVIII siècle, II, Genève 1951, pp. 451ss.; U. Manferrari, Diz. univers. delle opere melodrammatiche, I, Firenze 1954, pp. 241 ss.; F. Schlitzer, A. Sacchini, Siena 1955, p. 16; A. Loewenberg, Annals of Opera, I, Genève 1955, ad Indicem;U. Prota Giurleo, Nuovicontributi alla biografia di C., in La Scala, LXXVII (1956), pp. 36 ss.; F. De Filippis, Saggio di cronologia cimarosiana, in Gazz. mus. di Napoli, II(1956), 4, pp. 39 ss.; L. R onga, Classicità di C., in Arte e gusto nella musica, Milano-Napoli 1956, pp. 166 ss.; L. Magnani, Stendhal e la musica della felicità, in Le frontiere della musica, Milano-Napoli 1957, pp. 72 ss.; G. Tintori, L'opera napoletana, Milano 1958, pp. 141 ss. e ad Indicem;E. Komorzynsky, Mozart und C., in Oesterreich. Musikzeitschrift, XVI(1961), pp. 484 ss.; C. Gatti, IlTeatro alla Scala, II, Cronologia, Milano 1964, ad Indicem; Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Com. di Bologna, a cura di L. Trezzini, II, Bologna 1966, ad Indicem;B. Croce, Iteatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del sec. decimottavo, Bari 1966 pp. 239 s., 250, 260, 269; M. Colesanti, Stendhal a teatro, Milano 1966, ad Indicem;A. Hughes-Hughes, Catal. of Manuscript Music in the British Museum, London 1966, I, pp. 238 s., 371; II, ad Indicem;F. De Filippis-M. Mangini, Il Teatro "Nuovo" di Napoli, Napoli 1967, pp. 45 ss.; A. Mondoffi, Due varianti dovute a Mozart nel testo del "Matrim. segreto", in Analecta music., IV(1967), pp. 124 ss.; O. G. T. Sonneck, Catal. of Opera Librettos, III-IV, New York 1967, ad Ind.;A. Caselli, Catal. delle op. liriche pubblic. in Italia, Firenze 1969, pp. 108 ss.; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 421 ss. e ad Indicem;R. Schumann, La musica romantica, a cura di L. Ronga, Torino 1970. p. 232; E. Bellasis, Cherubini, New York 1971, pp. 28 s. e ad Indicem;H. B. Dietz, A chronology of Maestri and Organisti at the Cappella Reale in Naples in Yournal of the American Musicol. Society, III (1972), pp. 379 ss.; L. Bianconi, Le sonate per fortepiano di D. C., in Riv. ital. di musicologia, VIII (1973), 2, pp. 262 ss.; E. Ferrari-Barassi, C. clavicembalista, in Scritti in onore di L. Ronga, Milano 1973, pp. 191-208; A. Basso, Storia del teatro Regio di Torino, II, Torino 1976, ad Indicem;G. Pestelli, Trionfo barocco e illuminismo alle corti europee, in Storia dell'opera, Torino 1977, 1, 2, p. 96; F. Degrada, L'opera napol., ibid., I, 1, pp. 84 ss. e passim;M. Rinaldi, Due secoli di musica al teatro Argentina, I, Firenze 1978, pp. 233 s., 309 ss., 446, 589 s.;II, pp. 1005, 1055; III, pp. 1355 ss.; B. Paumgartner, Mozart, Torino 1978, ad Indicem;M. De Angelis, La musica del granduca, Firenze 1978, ad Indicem;G. Pestelli, L'età di Mozart e di Beethoven, Torino 1979, pp. 97 ss. e ad Indicem;F. Degrada. Dal "Marriage à la mode" al "Matrimonio segreto", in Il Palazzo incantato, Fiesole 1979, pp. 19 ss.; G. Schilling, Encyclopädie der gesammten musik. Wissenschaft, II, Stuttgart 1835, pp. 244 ss.; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, II, pp. 302 ss.; R. Eitner, Quellen-Lex., II, pp. 445 ss.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, pp. 344 ss.; Grove's Dict. Of Music and Musicians, II, pp. 298 ss.; Enc. dello Spett., III, coll. 764 ss.; Die Musik in Gesch. und Gegenwart, III, coll. 1442 ss.; La Musica. Enc. storica, I, pp. 21 ss.; Enc. della musica Rizzoli-Ricordi, II, pp. 107 ss.