CIMAROSA, Domenico
Musicista, nato ad Aversa (Napoli), il 17 dicembre 1749, da Francesco Cimarosa, muratore, e da Anna di Francesco, lavandaia. Rimasto orfano del padre a sette anni, fu accolto, nel '61, come figliolo, nel Conservatorio della Madonna di Loreto. Quivi studiò successivamente con Gennaro Manna, col Sacchini, col Fenaroli; più tardi forse anche col Piccinni. Composizione, violino, organo, clavicembalo, canto, lo occuparono, e felicemente, negli undici anni trascorsi nell'istituto. Poi una signora Ballante prese a proteggerlo e gli diede in isposa la propria figliuola Gaetana. Esordiva quando Piccinnî aveva già composto la parte migliore delle sue opere comiche, mentre Paisiello svolgeva la sua prima maniera, che culminò nel Socrate immaginario. Com'era tradizione dei compositori napoletani, C. si volse dapprima all'opera comica, accolse libretti del Mililotti, qualcuno del Lorenzi, e fece rappresentare le sue opere nei teatri napoletani aperti alla commedia, il Nuovo e i Fiorentini, spingendosi fino a Roma, ospite di un famoso teatro comico, il Valle. Dopo otto anni di attività nella tendenza comica, ecco un primo melodramma, il Caio Mario, rappresentato a Roma. E dall'80 in poi le opere serie fanno rare apparizioni nella produzione cimarosiana. Nel 1781 il compositore era certamente pervenuto alla piena maturità, come è provato da Giannina e Bernardone, scritta e applaudita a Venezia. Il libretto del Livigni offrì al C. la possibilità di comporre una gustosa commedia. La gelosia provoca espansioni sentimentali che svelano la psicologia femminile, dà rilievo alla rudezza e all'angoscia del marito, al quale non è risparmiato qualche tratto ironico. La galanteria è bene rappresentata. Nel cozzo delle passioni emergono situazioni che fanno palpitare. La satira ha pagine squisite. Si può già considerare quest'opera come un capolavoro. E la fortuna di C. si diffonde in tutta Italia e fuori. Ma come s'atteggia il C. nell'opera seria. Certamente egli resta estraneo alle nuove idee e alle nuove affermazioni italiane e straniere sul melodramma. Anche quando s'imbatte in un librettista che, come il Serio, abbia qualche intenzione di rinnovarsi e di andare oltre il Metastasio, egli non partecipa tuttavia ai nuovi orientamenti. Luigi Serio, revisore "delle opere di tutti i teatri" napoletani e, grazie alla sua facoltà di improvvisatore, poeta di corte, e certamente colto e desideroso di progredire, si trovava in angustie appunto per i contrasti emergenti dal suo ufficio e dalle sue aspirazioni. Dapprima resistette alle sollecitazioni dei maestri di cappella che volevan rimaneggiare i libretti dei minori poeti, e anche quelli del Metastasio. Morto il Metastasio, gli parve si potesse consentire qualche rifacimento nei melodrammi di lui, ed egli stesso si accinse a scriver libretti più consoni ai nuovi tempi. Dando ragione dell'Oreste, che fu musicato dal C. nell' '83 e rappresentato al S. Carlo, ripeteva press'a poco le idee dei critici del Settecento. Ma l'Oreste, rimanendo a mezza strada fra il tradizionalismo e il riformismo, era, tutto sommato, cosa mediocre; il C. rimase lontano dai nuovi spiriti melodrammatici. Egli continuò, come la maggior parte dei suoi contemporanei, ad alternare opere comiche e serie, felici e infelici, passando dal Metastasio al Palomba. Chiamato a Torino, vi diè nel 1787 il Volodimiro.
Nell'anno 1787 perveniva al C. l'invito di Caterina, II di Russia, ed egli, accolto l'invito, partì insieme con la moglie alla fine di quell'anno. Durante il lungo viaggio sostarono a Roma, a Firenze, a Parma, a Vienna, a Varsavia, raccogliendo dalle singole corti e aristocrazie, simpatie, onori, doni. Giunsero a Pietroburgo ai primi del dicembre. L'intellettuale sovrana e la corte accolsero con entusiasmo il famoso compositore. Volle il caso che C. esordisse con una composizione funebre. Spentasi il 12 dicembre la duchessa di Serra Capriola, consorte del ministro di Napoli presso l'impero russo, il maestro della cappella di corte dové comporre una messa da requiem; e il lavoro riuscì tale da soddisfare l'attesa. Non abbiamo notizie, purtroppo, della vita del C. a Pietroburgo. Vi rimase quattro anni, durante i quali compose parecchie cantate, messe, e le opere serie in tre atti, su libretto di Ferd. Moretti, Cleopatra (27 settembre 1789) e la Vergine del sole (1789-90). Quest'opera, eseguita, come l'altra, da cantanti italiani, accrebbe di molto la fama del C., grazie alle belle e larghe melodie, vigorose se pure improntate a quella maniera eroica che era di moda nell'opera seria. Del resto l'ambiente non era tale da modificare le tradizionali tendenze operistiche del compositore napoletano; gli ascoltatori amavano e sollecitavano il melodramma all'italiana, badando soltanto alla vaghezza delle melodie e ne ricompensavano largamente il C. Questi, divenuto quasi familiare della corte (insegnava il canto a due nipoti di Caterina; il granduca Paolo tenne a battesimo nell'88 un figlio di lui), sarebbe certo rimasto a lungo in Russia, se il clima e la sopravvenuta guerra con la Turchia, che cagionò la chiusura dei teatri; non l'avessero costretto a trasferirsi a Vienna, dove trovo altro ambiente e altre esigenze.
L'entusiasmo di Giuseppe II per un'opera nazionale tedesca era durato poco. L'opera comica italiana, riacquistato il favore, serbò posizione privilegiata sotto Leopoldo II; salito al trono nel marzo del '90; anzi il nuovo imperatore volle fossero riuniti a Vienna cantanti e ballerini famosi. Intanto il Salieri veniva congedato e sostituito dal suo scolaro Weigl; fu una sostituzione burocratica e formale; in realtà le opere sarebbero state richieste, volta a volta, a maestri famosi. A tale nuovo ordinamento si deve l'incarico dato al C. per il Matrimonio segreto. La quale opera tanto piacque al sovrano che fu per suo volere interamente replicata, qualche ora dopo la prima rappresentazione. Favorito da uno dei più graziosi libretti del Settecento, uscito dalla penna di quel Bertati che già s'era affermato delicato e vivace poeta melodrammatico nella Villanella rapita, C. compose la sua più squisita e caratteristica opera. I consueti personaggi della commedia settecentesca appaiono rinnovati da un'arguzia, da una malizia caricaturale che solamente Rossini saprà superare. La psicologia è musicalmente espressa con acutissima e personale sensibilità. Una nuova tenerezza spira da tutta l'opera e dà profonda e convincente ragione della vicenda scenica.
Ritornato a Napoli, il C. riprese a comporre ogni sorta di opere, spargendo tesori di melodia e di arguzia in libretti volgari come quelli dei Traci amanti e delle Astuzie femminili. In quest'ultima opera si trovano pagine fra le più belle di C.
Nel '96 gli morì la consorte. Nel '97 compose gli Orazi ed i Curiazi, melodramma disugualissimo. Instaurata la repubblica partenopea, il C. musicò una poesia di Luigi Rossi, giovine avvocato e patriota, poi giustiziato dai Borboni nel dicembre del 1799; tale inno patriottico fu eseguito dagli allievi del Conservatorio di musica il 30 fiorile anno VII, 19 maggio 1799, nella cerimonia dell'incenerimento delle bandiere realiste. Cessato il regime repubblicano, il C. non fu arrestato subito come parecchi biografi ripetettero, ma lasciato per qualche giorno indisturbato e precisamente sino al 9 dicembre, giorno in cui fu arrestato e tradotto in carcere, donde uscì tuttavia non molto tempo dopo.
Intanto egli aveva sperato di ritornare nel favore della corte, e, riassunto il titolo di Maestro di Cappella, aveva musicato una cantata che fu eseguita il 23 settembre dello stesso anno nella chiesa della Vittoria alla Riviera di Chiaia, col concorso di molti realisti e sanfedisti; quella cantata fu da lui stesso inviata in dono al re. Il quale, indignatissimo per tale manifestazione di opportunismo, ordinò un'inchiesta, e il cardinale Ruffo rispose al sovrano avere il C. agito di propria iniziativa, onde il re ordinò che fossero rimproverati i revisori i quali avevano permessa l'esecuzione. Uscito dal carcere il C. andò esule a Venezia, dove morì per apoplessia l'11 gennaio 1801.
Del geniale musicista serbatosi fondamentalmente italiano, pur accogliendo quelle sensibilità e maniere dell'ultimo Settecento, che dal nome del massimo loro riassuntore e sublime ricreatore devono dirsi mozartiane, soltanto il Matrimonio segreto è intieramente sopravvissuto, come la sua più compiuta opera comica, l'unica veramente degna di stare accanto alle analoghe partiture di Mozart. Ma qualche altra opera comica del C. è ancora tanto vivace da aspirare a una legittima rivendicazione e a una ripresentazione nei teatri. Poiché C., al pari di altri suoi connazionali e contemporanei, riuscì nella commedia assai più genialmente che nella tragedia; e se del preromanticismo rifletteva la tenerezza, il languore, l'attenzione alla psicologia, nella specie e nell'intensità proprie e limitate al sentire d'un italiano, d'altra parte modellò le forme con una saggezza e una destrezza consapevoli tanto del momento artistico quanto delle necessità della propria opera. Anche perciò, oltre che per i pregi della fantasia, talune ouvertures cimarosiane e parecchi episodî strumentali sparsi nelle sue opere si distinguono fra le similari composizioni dei maggiori contemporanei, il Paisiello, il Piccinni, il Sacchini; l'armonia delle parti nei suoi pezzi orchestrali è tanto proporzionata e incantevole da dissimulare l'assenza di svolgimento in senso dialettico, assenza che nelle ouvertures di altri contemporanei è troppo palese e grave. Anche nelle sonate per clavicembalo (32 sono state ora pubblicate da F. Boghen, ed. Eschig) il C. si mostra più ricco e vario, per esempio, del Paisiello. Per tutto ciò la sua figura culmina tra quelle della terza scuola napoletana del Settecento, e trae la gloria non dalla partecipazione ai cimenti internazionali del melodramma, come avvenne ad altri italiani, ma dall'intrinseco valore delle opere.
Bibl.: F. Florimo, La scuola musicale di Napoli, Napoli 1880-82; P. Cambiasi, Notizie sulla vita e sulle opere di D. C., Milano 1901; J. Mantuani, Katalog der Wiener Ausstellung anlässlich der C.-Zentenarfeier, Vienna 1901; Aversa a D. C., (album), Napoli 1901; A. Bonaventura, D.C., Torino 1915; A. Della Corte, L'opera comica ital. nel '700, Bari 1923; U. Rolandi, Bertati, il librettista del Matrimonio segreto, Roma 1928; R. Vitale, D.C. La vita e le opere, Aversa 1929.