CORRADI D'AUSTRIA, Domenico
Nacque a Modena da Bernardino il 5 nov. 1677 da una famiglia di origine mantovana, di antica nobiltà, che si può far risalire a Mattia de' Corradi (sec. XIII).
Da lui discesero in linea diretta: Giovanni, morto nel 1417; Matteo, morto nel 1465; Lodovico, che combatté col condottiero Marco Pio di Savoia contro i Turchi al servizio del futuro imperatore d'Austria Massimilano I; suo figlio Bernardino; Matteo, che, macchiatosi di un delitto a Mantova, si trasferì a Carpi; Cristoforo, Antonio, Gian Francesco, Bernardino, Marco (morto nel 1652), e infine Bernardino, padre del Corradi.
Nato a Carpi nel 1634, Bernardino si trasferì nel 1669 a Modena, dove ottenne dalla corte estense l'incarico di commissario generale dell'artiglieria. Fornito di buona cultura, soprattutto di arte militare e di chimica ad essa applicata, conobbe personalmente Leibniz; intervenne in una polemica col medico Paolo Stabé sulla nocività del vetriolo usato per certe lavorazioni (cfr. Raccolta di tutto quello che fin ora è stato scritto nella virtuosa gara jatro-chimica..., Modena 1690), ottenendo ragione in un pubblico giudizio. Morì nel 1706.
La sua influenza sulla formazione del C. fu determinante, soprattutto nell'orientamento degli studi. Dopo aver studiato matematica, infatti, il C. fu accolto dal 1694 alla corte di Rinaldo I d'Este come matematico e come insegnante di artiglieria; a partire dal 1701 ebbe l'incarico di sovrintendente alle miniere di Forno Volasco in Garfagnana per l'estrazione del ferro, succedendo al teatino G. F. Peyre. Si convinse ben presto che la qualità del ferro estratto in Garfagnana era inferiore a quello dell'Elba, per cui ne sconsigliò l'estrazione. Propose pure di abbandonare il trasporto del ferro per la lavorazione a Modena, sostenendo la convenienza della lavorazione in loco, anche per mezzo di nuove tecniche di fusione da lui ideate. Invece per gli impianti al lago di Meldola propose l'ampliamento, e favorì inoltre la produzione del vetriolo. Consigliò pure il mantenimento di ampie zone boschive per favorire l'estrazione del carbone. Nel 1706 successe al padre come commissario dell'artiglieria, ma solo dal 1734 assunse ufficialmente la carica.
Il primo compito di rilievo gli venne affidato nel 1708, quando dovette fondere sei cannoni utilizzandone altri già fuori uso. La operazione non ebbe il successo sperato, ché i cannoni non ressero alla prova. Il C. ne incolpò il fonditore e rispose alle sue accuse di aver usato troppa polvere da sparo con le Considerazioni sopra la proporzione del vigor delle polveri da fuoco, della forza delle medesime ne' pezzi di artiglieria, e della resistenza di questi, Modena 1708. Per fugare le accuse di incompetenza nella preparazione delle polveri, dopo aver ricordato senza livore i termini della controversia, egli descrive la composizione delle polveri da lui usate, negando che sia solo la quantità di salnitro a costituirne la potenza; descrive diverse esperienze da lui compiute per la misurazione della forza esplosiva delle varie polveri, con uno strumento da lui modificato, detto provetto, invece dei consueti mortai di prova assai imprecisi. Coglie l'occasione per esporre sinteticamente la storia della polvere da sparo e per analizzare quella adoperata dai vari eserciti italiani e in particolare quella da lui preparata per il duca di Modena. I pareri dei periti richiesti dal C. agli uffici di artiglieria di Milano, Firenze e Torino gli diedero ragione contro il fonditore, che aveva ecceduto nello uso dello stagno. Un'ampia parte delle Considerazioni è dedicata all'analisi della resistenza dei materiali impiegati e delle componenti (lega, diametro, figura, spessore ecc.) che rendono i pezzi atti a sopportare il massimo sforzo loro imposto. Seguendo tali indicazioni G. B. Tela riuscì a fondere pezzi più leggeri, più resistenti e dal tiro più lungo.
Tra il 1711 e il 1724 il C. si dedicò a rilevazioni pluviometriche a Modena e in Garfagnana, che si possono considerare tra le prime in Italia, e ad esperienze idrostatiche, che descrisse in alcuni saggi: Si considerano le forze moventi in genere e quantità, per scoprire le cagioni di alcuni effetti meccanici..., in Giorn. d. letter. di Italia, VIII (1711)3 pp. 388-423; Esposizione di alcune esperienze idrostatiche, ibid., XIV (1713), pp. 271-92; Della forza di gravità in genere di grandezza esercitata da fluidi sopra i fondi dei vasi che li contengono, sieno i fluidi in equilibrio o a quello si portino, ibid., XXIII (1716), pp. 256-303.
In tali scritti il C. studiò le variazioni di peso di un liquido che si muove in fondo ad un vaso, riferendosi ad un'esperienza di Leibniz e ad altre da lui compiute; propose varie esperienze sul barometro, muovendo dalle ricerche di G. Montanari; dimostrò errate alcune apparenti incongruenze del moto dei fluidi sul fondo dei vasi.
Fin dal 1716 prese anche ad interessarsi ad un progetto di sistemazione definitiva delle acque della Romagna, che avrebbero dovuto esser convogliate in un solo bacino.
La proposta s'inseriva nella secolare questione sul corso del Reno, che già il duca Borso d'Este e poi Alfonso I avevano voluto far rifluire nel Po ma che poi aveva ripreso il suo corso in seguito a numerose inondazioni. Il progetto del Cassini (ripreso dal Guglielmini) di ricondurre il Reno nel Po di Lombardia trovò la fiera opposizione di Ferrara, Mantova e Modena, che incaricarono vari studiosi, tra cui, oltre al C., lo Zendrini, il Ceva e il Moscatelli, di sostenerne l'assurdità.
Il duca Rinaldo II d'Este si affidò pienamente al C. perché dimostrasse la necessità di una diversa sistemazione del corso del Reno, che comunque avrebbe dovuto sempre gettarsi in mare. Egli scrisse allora Effetti dannosi che produrrà il Reno se sia messo in Po di Lombardia, Modena 1717, diviso in nove parti.
Analizzando la natura delle sabbie del fiume, il C. sostiene che l'introduzione di esso nel Po grande ne farebbe elevare il fondo, diminuire la velocità o addirittura invertire il corso in certi tratti, e che comunque il Po finirebbe per interrarsi, con gravissime conseguenze per tutta la pianura padana: l'allagamento di vaste zone del Ferrarese, del Mantovano e della stessa Mantova e la formazione di estese paludi; il Po non sarebbe stato più navigabile, e sarebbe stato comunque necessario alzare tutti gli argini da Cremona al mare. In base ai calcoli della pendenza del Po, della sua velocità (a suo dire sono errati i calcoli compiuti nel 1693 da ingegneri bolognesi, ferraresi e romani, su cui era fondato il progetto) e ripercorrendo la storia dei due fiumi, egli calcola di quanto si alzerebbe il Po nella zona del delta, dimostra che mai nel passato il Reno ebbe il Po come sbocco naturale, e contesta il diritto dei Bolognesi di attuare un simile progetto a danno dei vicini. Propone piuttosto una sistemazione del corso superiore del Reno, le cui acque dovrebbero confluire nel Po di Primaro. Eustachio Manfredi, per conto dei Bolognesi, si oppose a tale progetto e rispose al C. con un Compendio ed esame del libro pubblicato in Modena col titolo Effetti dannosi ecc. (in Nuova raccolta d'autori che trattano del moto dell'acque, IV, Parma 1766, pp. 319-420) in cui, pur lodando la chiarezza dell'esposizione del C., sostiene che i suoi calcoli sono errati perché fondati su notizie sentite da altri e non su rilevazioni personali, e che la sua tesi fondamentale deriva soprattutto dall'astio verso i Bolognesi; i documenti e le testimonianze storiche da lui citati dimostrerebbero che già nel passato il Reno era stato tributario del Po senza che ne fossero conseguiti danni, per cui lo accusa di non aver utilizzato correttamente la sua ricca biblioteca e lo aiuto del Muratori.Risentito, il C. rispose con un Ragguaglio di una scrittura intitolata Compendio ed esame ecc., Modena 1719, in cui ribadisce la sua convinzione del certo interramento del Po qualora vi fosse immesso il Reno, anche se ammette che alcuni rilievi marginali del Manfredi sono giusti. La polemica fu continuata nel decennio successivo: in una serie di opuscoli, tra cui Lettera e scrittura di un anonimo al sig. N. N. sul progetto esibito per parte della città di Bologna, Modena 1727, il C. fonda su altri documenti e su una diversa interpretazione dei passi citati in precedenza la riaffermazione della sua tesi, ma da scientifica la controversia si fa soprattutto erudita (e forse non vi fu estraneo lo stesso Muratori), incentrandosi sull'interpretazione del termine Padusa o sull'identificazione esatta del corso del Reno. Con lo Zendrini, il Ceva, il Moscatelli e il Manfredi il C. aveva nel 1719 fatto parte della commissione di vigilanza del governo veneto per la livellazione del Po dal Ticino al mare, ma in seguito la collaborazione si era incrinata. Del resto gli interessi e l'attività del C. tornarono nello ambito più strettamente militare; divenuto colonnello e poi generale (dal 1749) di un reggimento di cannonieri di Francesco III d'Este, nel 1742 partecipò alla difesa di Modena contro gli Austriaci. Carlo Emanuele III di Savoia, alleato all'Austria, lo fece prigioniero e lo tenne in carcere ad Asti col figlio Bernardino.
Sei erano i figli che il C. aveva avuto dal matrimonio con Domenica Guidelli, ma dei quattro maschi solo Bernardino, nato nel 1725, giunse alla maggiore età; educato alle lettere e alle scienze dal padre stesso e dal Muratori, durante la prigionia astigiana si ammalò di malaria; divenuto poi capitano, compì diversi viaggi in Italia e in Francia per visitare fortezze e fortificazioni, ma morì improvvisamente nel 1751.
Il C., che già dal 1737 sedeva tra i Conservatori della città di Modena, ricoprì ancora le cariche di presidente del Consiglio delle artiglierie e delle fortificazioni e di commissario generale delle munizioni da guerra, provvedendo alla fusione di tutta l'artiglieria dello Stato estense entro il 1751. Si occupò anche di analisi infinitesimale con De' calcoli differenziale e integrale. Memorie analitiche, Modena 1743-44, opera in due tomi che passò inosservata, rispetto ad esempio all'analoga opera dell'Agnesi, per le oscurità di linguaggio (accresciute da molti errori tipografici) e per le incertezze nella definizione di alcuni concetti.
Tale studio ha oggi un valore per lo più storico, come prima opera del genere in Italia. I contributi più notevoli della sua presenza nella vita scientifica del sec. XVIII sono affidati piuttosto alle citate opere sulle bocche da fuoco e sull'idrografia padana, mentre tutta una serie di saggi minori e di lettere scientifiche (al Giorgi, al Vallisnieri ecc.) su varie esperienze di idrologia e di ottica testimoniano la sua mentalità galileiana-leibniziana nell'approccio a problemi scientifici concreti.
Morì a Modena l'8 maggio 1756 e fu sepolto in S. Margherita.
Fonti e Bibl.: B. Ramazzini, Opera omnia, Ginevra 1717, p. 302; A. Vallisnieri, De' corpi marini, II, Venezia 1728, p. 119;Id., Opere fisico-mediche stampate e manoscritte, III, Venezia 1733, pp. 35, 64; G.Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, II, Venezia 1735, pp. 196-200;G. G. Orsi, Consider. sopra la maniera di ben pensare, II, Modena 1735, pp. 342 ss.; D. Guglielmini, Della natura de' fiumi, Bologna 1739, passim; B. Zendrini, Leggi e fenomeni, regolazioni ed usi delle acque correnti, Venezia 1741, passim; V.Canati, Versione ital. del X libro di Columella..., Firenze 1754, passim;G. Tiraboschi, Bibl. modenese, II, Modena 1782, pp. 68-72; VI, ibid. 1786, p. 91; P.Riccardi, Bibl. matem. ital..., Modena 1870, I, pp. 376 ss.; II, pp. VII, 26 s.; A. Sommarini, Bibliografia di autori carpigiani, Carpi 1879, p. 79; L. Lodi, Catal. dei codici posseduti dal march. G. Campori, I, Modena 1875, p. 153; D. Pantanelli, D. C. d'A., Bologna 1911;J. C.Poggendorff, Biographisch-literar. Handwörterbuch, I, col. 481.