COSTANZI, Domenico
Nacque a Macerata nel 1820 c. da Pietro e da Maria Mazzoni. Il padre era costruttore edile, ma, dopo aver iniziato a seguirne l'attività, il C. preferì avviarsi su altre strade: fece il corriere e la guida, in Italia e in Europa, finché, dopo il matrimonio con Carolina Re, di agiata famiglia novarese, avvenuto nel 1851, si stabilì a Roma. Forte della esperienza acquisita nei suoi viaggi, divenne imprenditore, particolarmente impegnato nel settore turistico, incrementato, nel decennio Sessanta, dal collegamento ferroviario di Roma con Napoli e con Firenze, e sì occupò della gestione di alcuni alberghi.
Il C. appare uno di quei personaggi che cominciavano a vivacizzare la scena economica e sociale romana, cogliendo quella tensione di trasformazione e modernizzazione della città che trovava più aperte risposte nel governo e più ampie possibilità di finanziamento. Si trattava però di lievi prospettive, non di sicuri cammini, e anche i suoi progetti finivano per scontrarsi non tanto con l'immobilismo del regime pontificio quanto con una realtà di radicate condizioni strutturali e culturali di difficile disgregazione. Fu solo dopo la Breccia e l'unione di Roma al Regno italiano, con l'assunzione della nuova funzione di capitale, che si aprirono facil strade ad imprenditori e capitalisti.
Rimasto nel settore alberghiero, reso più fiorente dall'arrivo di migliaia di immigrati e visitatori, il C. dopo il '70 costruì e gestì, con criteri moderni, l'Hôtel Quirinale, sorto nella nuova città che stava espandendosi, ai margini dell'antica, nella direzione della stazione Termini. Sempre in quella zona, a via Urbana, elevò il suo palazzo: concreto simbolo della ricchezza raggiunta.
completamente ad un altro progetto: la costruzione di un Politeama, di un teatro più moderno, più adatto alle esigenze della popolazione accresciuta e trasformata di quanto non fossero quelli esistenti nella vecchia città, in particolare l'Argentina, il Valle e l'Apollo (quest'ultimo destinato a scomparire per i lavori lungo gli argini del Tevere). Nel 1876 fu comprato, nell'area ancora libera del Viminale, per 211.080 lire, un terreno di 4.220 mq, appartenuto in parte a mons. de Mérode, e fu costituita, con l'ing. G. Corti, una società anonima per la costruzione dell'edificio. L'arch. A. Sfondrini preparò un progetto, che ottenne con difficoltà, nel 1878, un piccolo contributo comunale di 110.000 lire.
Sull'iniziativa si era innalzata, infatti, una vivace polemica, per la lontananza dal centro ("un teatro lassù! e chi vorrà andarci!": sarà l'ironico commento della Capitale il 29nov. 1880), per l'apparente esclusiva destinazione alla popolazione "nuova", che si stava installando, in prevalenza settentrionale, ai margini dell'antica, quasi ignorandola, e per la caratterizzazione "popolare" di un Politeama in luogo del desiderato "aristocratico" teatro regio.
Sul progetto dell'arch. Sfondrini, rielaborato con l'intento di dar maggior spazio e rilievo alla presenza della classe più abbiente, l'edificio - 3.150 mq - fu rapidamente costruito fra il 1879 e il 1880. "Lo stile esterno era cinquecentesco. L'interno: sala, palcoscenico, ridotto, foyer, ambulacri, ecc., sia pure con ammodernamenti di varia natura, non si discostava molto dal tipico teatro ottocentesco. Se ne differenziava per il vasto slargamento del vano della sala al di sopra del terzo ordine dei palchi destinato ad ospitare un ampio anfiteatro numerato ed una galleria non numerata, che avrebbe consentito, per la modicità dei prezzi, un maggior afflusso delle classi meno abbienti, secondo il concetto generalmente adottato all'estero nei principali teatri e specialmente secondo le caratteristiche di quello imperiale di Vienna" (Frajese, p. 30). Il teatro Costanzi fu inaugurato il 27 nov. 1880 con la Semiramide di Rossini, fra gli entusiastici consensi per la costruzione (che suscitò interesse anche all'estero) e le negative riserve per la rappresentazione. Continuò poi una non facile vita, che vide il C., impegnato nella conduzione, muoversi in vari ambiti musicali e culturali, in Italia e all'estero. Doveva affrontare la concorrenza degli altri teatri, cui si era aggiunto, più centrale, il Nazionale, la difficoltà di trovare stabili impresari e direttori di orchestra, la gravità di un persistente deficit finanziario, accresciuto dalla crisi economica che aveva cominciato a colpire la città verso la metà degli anni Ottanta. Per facilitare l'afflusso del pubblico si allargò il genere degli spettacoli - accanto ad opere, operette, commedie e varietà, anche veglioni e circhi - ma il dissesto permaneva.
Il C., che era rimasto solo a sostenere il peso della costruzione (più di due milioni di lire), si trovò in pesanti difficoltà: tentò invano di cedere la proprietà del teatro al Comune, sollecitò inutilmente finanziamenti di banche e di privati, fu costretto ad accendere ipoteche, a vendere i suoi immobili. Quando cominciò a manifestarsi una prospera conduzione del Costanzi, verso la fine del secolo, in un quadro economico, sociale e culturale più fermo, egli non poté goderne. Morì a Roma il 13 ott. 1898.
La conduzione del teatro venne assunta dal figlio Enrico. Nel 1908 la proprietà passò alla Società teatrale internazionale (S.T.I.N.), nel 1928 al governatorato di Roma, che lo avrebbe trasformato in teatro Reale dell'Opera, poi divenuto ente autonomo.
Fonti e Bibl.: Roma, Comune, Ufficio Stato civile, atto 2880, parte II, serie B; Ibid., Teatro dell'Opera, Archivio; V. Fraiese, Dal Costanzi all'Opera, Roma 1977; M. Fagiolo, Il Teatro dell'Opera e l'idea della "Terza Roma", in Cinquant'anni del teatro dell'Opera, Milano 1979 (con indicaz. archiv. e bibl.).