CURTONI, Domenico
Nato a Verona nel 1564 (Gazzola, 1962, p. 164), ultimo discendente della famiglia di Michele Sarimicheli (Langenskiöld, 1938, p. 182) e forse nipote di questo (Zannandreis [1831-34], 1891, p. 213; Simeoni, 1910, p. XXX), il C. può, a buon diritto, considerarsi (D'Arcais, 1974. p. 212) "la personalità più interessante, anche se ancora poco chiarita", degli anni di transizione, nell'ambiente architettonico veronese, dallo scorcio dei '500 al primo decennio del '600. Entro il breve periodo, sebbene sia innegabile "una continuità di discorso... sempre di derivazione sanmicheliana" (ibid., p. 213), almeno fino a circa il 1630, acutamente il Gazzola, in un suo saggio fondamentale (1962), coglie più di un annuncio sicuro di sensibilità nuova che, superando attardati schemi "manieristici", attinge risultati scopertamente consonanti con la imminente poetica del " barocco".
Prima opera nota a Verona è quasi certamente la cappella del Rosario in S. Anastasia: l'intervento non dovette limitarsi alla sola struttura architettonica (1585-1596) ma estendersi a precise indicazioni relative al rivestimento (1607) delle pareti in lastre di marmo e di lavagna integrate da una decorazione di tele ed affreschi, concludendosi però solo più tardi, già dopo la sua morte (D'Arcais, 1974, pp. 215 ss.), i lavori di pittura e di scultura.
Siamo qui di fronte, comunque, ad un programma strettamente unitario, che riassume motivi del Sanmicheli - nella pianta quadrata di base su cui si innesta, tramite pennacchi angolari, il tamburo ottagonale sormontato dalla cupola a spicchi, e nell'alternarsi delle bifore e delle nicchie, vere o simulate, del tamburo - e tuttavia, mentre ne semplifica gli elementi del lessico compositivo, ne forza, d'altro lato, i rapporti proporzionali spezzandone l'euritmia originaria.
Tra il 1609 e il 1610 venne iniziato su disegno del C. il palazzo della Gran Guardia, sul lato meridionale di piazza Bra, subito a sinistra dei "Portoni" verso lo stradone di Porta Nuova.
Dette impulso alla gran fabbrica il podestà Giovanni Mocenigo che voleva destinarne (Simeoni, 1910, pp. 204-07) "il pianterreno alle rassegne d'armi e il piano superiore a un'accademia d'esercizi cavallereschi". Sospesa la costruzione nel 1614, appena realizzati il portico inferiore ed otto degli intercolumni superiori a partire da destra (cfr. Dal Forno, 1973, tav. 161), solo nel 1819-20 Giuseppe Barbieri regolarizzava simmetricamente l'enorme prospetto sottoponendovi la lunga gradinata; dopo una seconda sosta, proseguivano i lavori all'interno, terminati nel 1853: sulla complessa vicenda, anche per le più ampie valenze urbanistiche, vedi G. Romanelli, in Ritratto di Verona..., 1978, pp. 445-49, 513). Il Langenskiöld (1938) avanza l'ipotesi, raccolta poi, sia pur col beneficio del dubbio, dal Venturi (1940, p. 550) e dallo Jacini (1958, p. 44), che il C. si sia giovato in questo caso, come spunto di partenza, di precedenti disegni elaborati a suo tempo dal Sanmicheli, durante la sua trasferta a Vicenza nel 1541-42, quale proposta di soluzione al problema, allora aperto, delle logge da ricostruirsi attorno al palazzo vicentino della Ragione. Perduti, ad ogni modo, tali disegni per Vicenza nonché i "modelli" che ne dovettero essere tratti (Barbieri, 1968), ogni confronto pertinente diventa improponibile: resta, semmai, più logico pensare ad una cosciente ripresa, nella concezione della Gran Guardia, di elementi in altra sede anticipati (Gazzola, 1962, p. 159) dallo stesso Sanmicheli, ad esempio in palazzo Bevilacqua, nelle porte Nuova e del Palio, e tesi ad effetti dichiarati di eccitazione "luministica" delle superfici e di accentuata profondità spaziale autenticamente prebarocchi. Ne risulta una "ampollosa dialettica di masse", sentita in immediato rapporto con le possenti articolazioni delle antistanti arcate romane dell'Arena. Sarà, dunque, da rivedere la posizione del C., le cui forme sono state troppo spesso sbrigativamente definite come "derivate" dal Sanmicheli (Muraro, 1953) con rigida ortodossia, quasi in una tenace fedeltà addirittura presaga di esiti "neoclassici" (Silvestri, 1953). In realtà, il C. sembra accuratamente evitare, del repertorio sanmicheliano, in questo suo capolavoro dalla indiscussa autografia, proprio quegli apporti lessicali e sintattici che potevano indulgere ad interpretazioni "puriste": ad esempio, il forte substrato "archeologico" manifestato nel vicino palazzo Honori-Guastaverza sul Liston.
Contemporaneo alla Gran Guardia è il palazzo fatto erigere (1610 c.) da Domenico Pellegrini in via Rosa, accolto unanimemente nel catalogo del C. nonostante i poco convincenti dubbi del Langenskiöld (1938, pp. 183 s.); il portone di spericolata altezza, del tutto "fuori scala" con il resto della facciata - la tradizione parla, in proposito, significativamente, di "portone senza casa" - non fa, d'altronde, che confermare la spiccata vocazione dell'architetto a sottrarre di forza dai vincoli classici la sintassi ngurativa sanmicheliana. Il Dal Forno (1973, p. 241) associa nella attribuzione al C. un secondo palazzo, costruito pure circa il 1610 dai Pellegrini e ora del Credito fondiario, in via Emilei, completato poi nel '700 da Alessandro Pompei: interessante soprattutto nel prospetto verso il cortile e arricchito di bel portale bugnato. Dal canto suo, il Langenskióld (1938, pp. 104, 183) accoglie la responsabilità del C. per il palazzo della Torre, in stradone di S. Fermo (Zannandreis [1831-34], 1891, p. 215), che secondo W. Walters (Plastische Deckendekorationen des Cinquecento in Venedig und Veneto, Berlin 1968) invece è della metà del secolo XVI: esso appare semplicissimo ed austero nella fredda stesura dell'ampia parete, appena increspata dalle contenute modanature dei fori, e solo ravvivata dalla coppia di semicolonne ioniche ai lati del portale; ma occorre tener conto, per l'esatta valutazione di un simile risultato, invero un po' anomalo entro il profilo del C., che l'edificio è stato ultimato (Dal Forno, 1973, p. 192) molto tardi, nel 1851. Uguali riserve vanno avanzate sul palazzo Morando in via Nuova (oggi via Mazzini), dato al C. dal Dal Forno (1973, pp. 231 s.): in ogni caso, ampiamente rimaneggiato nel 1854 dal Ronzani, che ne ristrutturò in "perfetta armonia" la facciata (cfr. G. Rossi, Nuova guida di Verona, Verona 1854, p. 174). Non lontano dal 1610 è da ritenersi cominciato il paramento in marmi policromi e stucchi bianchi e dorati predisposto dal C., con la collaborazione di un "Zuan Bettino stuccatore" (D'Arcais, 1974, p. 217), per la cappella della Madonna in S. Fermo Maggiore: sontuoso apparato non ancora compiuto nel 1627, concluso da una volta affrescata e che può essere utile raffrontare con analoghi risultati ottenuti contemporaneamente, a Vicenza, dagli Albanese (cappella del Rosario in S. Corona, 1613-1642).
Lo Zannandreis ([1831-34], 1891, p. 214) fa il nome del C. per la sede dell'Accademia filarmonica, cominciata nel 1604, dall'altro lato dei "Portoni" della Bra rispetto al palazzo della Gran Guardia: suggerimento non respinto dalla D'Arcais (1974, p. 212). Sempre lo Zannandreis (p. 216) ritiene "non improbabile" la paternità del C. per il palazzo Ridolfi in stradone Scipione Maffei; il Dal Forno (1973, p. 253) ne riferisce invece senza pronunciarsi una attribuzione corrente a Bernardino Brugnoli. Secondo il Langenskiöld (1938, pp. 104, 183), potrebbe appartenere al C. un portale in via S. Tommaso, superstite da una distrutta casa Sanmicheli. Per palazzo Turco, o dei "puoti" a causa degli imponenti telamoni che ne appesantiscono il prospetto in via S. Cosimo, di poco posteriore al 1571, e per palazzo Verità-Montanari alle Stimmate, costruito nel 1583 (Gazzola, 1962, pp. 161-165) e con strette analogie a palazzo Turco, le supposizioni dello Zannandreis ([1831-34], 1891, p. 215) che pensa al C., magari accettabili su di un piano largamente stilistico, cozzano, allo stato attuale delle nostre conoscenze documentarie, contro davvero pesanti - e, nel caso di palazzo Turco, apparentemente insormontabili - difficoltà cronologiche.
Nonostante poi il '600 sia, nel Veronese, il secolo in cui "si amplia l'investimento edilizio nelle campagne" (Borelli, 1978, p. 388) e, di conseguenza, le dimore costruite nel contado siano "molte di più" che nei secoli precedenti, estremamente scarse quanto incerte restano le eventuali tracce di una attività del C. per fabbriche di villa. Qui, la presenza dell'architetto si è voluta ravvisare (Silvestri-Polfranceschi, 1953) in villa Bricci-Fagiuoli a Settimo di Pescantina, laddove il Viviani (1975) ne insinua l'intervento ad ampliare villa Colleoni-Oppeano, elegante costruzione del tardo '500 sulla provinciale Verona-Legnago, in località Ca' Zorzi.
Il C. morì probabilmente nel 1610 (Langenskiöld, 1938, p. 182).
Bibl.: D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi [1831-34], a cura di G. Biadego. Verona 1891, pp. 213-16; L. Simeoni, Verona, Verona 1910, pp. XXXI, 71, 113, 200, 204-07, 232; E. Langenskiöld, M. Sanmicheli the architect of Verona... Uppsala 1938, pp. 23, 104, 108 s., 182 ss.; A. Venturi, Storia d. arte italiana, XI, 3, Milano 1940, pp. 550-54; M. Muraro, Tipi e architetture delle ville venete, in Le ville venete (catal.), Treviso 1953, p. 74; G. Silvestri, Introduzione a: Ville della provincia di Verona, ibid., p. 370; G. Silvestri-P. L. Polfranceschi, Ville della provincia di Verona, ibid., pp. 425 s.; C. Jacini, Il viaggio del Po, III, Le città, IV, Veneto, Città e ville di Terraferma, Milano 1958, pp. 6, 44 s., 103 s., 111, 135; P. Gazzola, Il barocco a Verona, in Boll. del Centro internaz. di studi di architettura A. Palladio, IV (1962), pp. 156 s., 159, 161-65, 178; F. Barbieri, La basilica palladiana, Vicenza 1968, p. 44; F. Dal Forno, Case e palazzi di Verona, Verona 1973, pp. 26, 30, 182 s., 192, 231 s., 240 s., 253, 271 s., 285, 303; F. D'Arcais, Scultura e architettura tra il 1580 e il 1630, in Cinquant'anni di pittura veronese 1580-1630 (catal.), Verona 1974, pp. 212 s., 215-18; G. F. Viviani, Viaggio fra le ville veronesi, in La villa nel Veronese, Verona 1975, pp. 717 s.; G. Borelli, Verona nella crisi seicentesca, in Ritratto di Verona. Lineamenti di una storia urbanistica, Verona 1978, pp. 376, 388, 393 n. 77; U. Thierne-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 215; Encicl. Ital., XXV, p. 967 (s. v. palazzo); XXVIII, p. 5 (s. v. portico).