Domenico da Prato
Figlio di un maestro Andrea, nacque nell'ultima o penultima decade del sec. XLV. Esercitò il notariato, prevalentemente nello stato fiorentino, come ci attestano atti rogati tra il 1415 e il 1432; e fu anche mediocre rimatore. Interessa la fortuna di D. nel sec. XV una lettera di dedica da lui anteposta alla raccolta delle sue rime (cod. Laur. XLI 31, c. 1r). In essa, rivolgendosi all'amico Alessandro Rondinelli, egli riaccende una polemica, nella quale già si era provato Cino Rinuccini, contro gli spregiatori del volgare. Sdegnato che alcuni dicessero " il libro di Dante esser da dare a li speziali per farne cartocci, o vero più tosto a li pizzicagnoli per porvi dentro il pesce salato, perché vulgarmente scrisse ", ser Domenico si studiò di rimbeccare due comuni affermazioni degli umanisti: che gli antichi tutto avessero già saputo fare in miglior modo, e che il volgare non valesse in confronto del latino e del greco. Si poteva - come poi farà Leonardo Bruni - riconoscere che ciascuna lingua ha la sua perfezione, ma ser Domenico arrischiò di più, asserendo senza esitare che " esso volgare, nel quale scrisse Dante, è più autentico et degno di laude che il latino e 'l greco ". Tali affermazioni si riallacciavano, dunque, alle discussioni svolte presso il " Paradiso " degli Alberti, nell'antagonismo tra latino e volgare, dagli umanisti e da coloro che si professavano continuatori ed epigoni della tradizione trecentesca.
Bibl. - M. Casella, Ser Domenico del maestro Andrea da Prato rimatore del sec. XV, in " Rivista Biblioteche e Archivi " XXVII (1916) 1-40; H. Baron, The Crisis of the early italian Renaissance, Princeton, New Jersey, 1955, 254-260 e 548-550. La lettera di ser Domenico si può leggere in A. Wesselofsky, Il Paradiso degli Alberti, Bologna 1867, I II 321-330.