DE GENNARO (Di Gennaro), Domenico
Nacque a Napoli nel 1720 o più probabilmente nel 1730 da Francesco Andrea, principe di San Martino e da Marianna Brancaccio; fu duca di Cantalupo e con questo nome viene per lo più citato dai suoi contemporanei, da storici ed economisti. Raramente è menzionato come De Gennaro, mentre Di Gennaro è la denominazione più frequentemente usata e posta nel frontespizio delle varie edizioni del suo libro.
Scarse ed incerte sono le notizie sugli studi e la sua vita fino alla metà del secolo. A partire dal 1745 avrebbe frequentato il collegio Clementino dei padri somaschi a Roma e, contemporaneamente, l'Arcadia, distinguendosi nel 1754 per alcuni componimenti poetici di maniera. Tornato a Napoli partecipò attivamente, a partire dalle fine degli anni Cinquanta, alla vita culturale napoletana.
La casa dove egli abitava insieme col fratello maggiore Antonio, il celebre poeta duca di Belforte, era assiduamente frequentata da numerosi intellettuali napoletani, letterati, scrittori, scienziati ed economisti, e tra questi ultimi G. Filangieri, P. Napoli Signorelli, M. Delfico, M. Pagano. Con essi il D. parlava di economia, di legislazione e di storia, mettendo a punto la propria formazione di stampo genovesiano - del Genovesi aveva forse frequentato anche le lezioni - influenzata anche dalle teorie fisiocratiche.
Dopo essere stato negli anni Settanta e per diverso tempo intendente generale dell'azienda di Educazione, ed uno dei reggenti dell'ospedale degli Incurabili, a partire dagli anni Ottanta il D. si distinse come economista e come uomo politico ed amministratore. In questa duplice veste, nell'ultimo ventennio del secolo partecipò attivamente al movimento riformistico, antifeudale e liberista che si sviluppava nel Regno, distinguendosi - insieme con economisti e uomini politici quali il Filangieri o G. Palmieri - come esponente di quel nucleo dell'aristocrazia napoletana che tentò di rinnovare e modernizzare lo Stato in modo graduale. Chiara fu quindi la sua posizione a favore della nascente borghesia agraria e commerciale, di cui tenterà di favorire - talvolta con successo - l'ascesa economico-sociale e politica. Si spiegano in tal modo la vocazione pienamente liberista, ad esempio a favore del libero commercio dei grani e della seta, l'azione per la vendita e la privatizzazione dei feudi devoluti e dei beni gesuitici, infine l'adesione - anche se poco convinta - alla rivoluzione del 1799.
Il primo e principale atto di questa intensa partecipazione alla vita pubblica napoletana fu la pubblicazione nel 1783 di un'importante opera economica: Annona ossia piano economico di pubblica sussistenza.
Il libro, stampato dal tipografo napoletano De Simone, fu dallo stesso dato in visione ad alcuni forensi che, avendolo giudicato troppo innovatore, ne boicottarono la pubblicazione. Questa edizione, uscita comunque anonima col falso luogo di stampa di Palermo, ebbe probabilmente una diffusione limitata e perciò il D. ne fece uscire nel 1785 una seconda, col falso luogo di Nizza. Il libro ebbe un discreto successo: traduzioni in inglese, tedesco e altre lingue e altre edizioni in Italia, tra cui quella inserita negli Scrittori classici italiani di economia politica di P. Custodi (Parte moderna, XL, Milano 1805).
Con questo saggio il D. interveniva nel dibattito sulla liberalizzazione del commercio dei grani in un momento in cui le sollecitazioni liberiste erano assai diffuse: in Francia ad opera dei neomercantilisti della scuola di J.-Cl. de Gournay e dei fisiocratici, in Lombardia ad opera di P. Verri, in Toscana da parte della principale rivista filofisiocratica italiana (quelle Novelle letterarie che nel 1786 accoglieranno con estremo favore l'Annona), a Napoli con parte della scuola genovesiana e in particolare col Filangieri. Il D. ebbe senz'altro presente tale pubblicistica e si ispirò sia al neomercantilismo sia alla fisiocrazia. L'analisi delle poche citazioni contenute nell'opera dimostra anzi che - sebbene egli scrivesse in un periodo in cui la fisiocrazia aveva ormai preso il sopravvento - si rifaceva soprattutto al neomercantilismo ed in particolare alle teorie di A. Genovesi: solo una citazione riguarda un fisiocratico, il francese G. F. Le Trosne, tradotto nel 1770 a Firenze; le altre sono dell'Herbert e del Cary, entrambi tradotti a cura del Genovesi, dello stesso Genovesi e del suo discepolo P. Odazi. Mancano riferimenti ad altri importanti economisti fisiocratici e a F. Quesnay, che pure nel 1758 aveva pubblicato il Tableau économique e negli anni precedenti alcune importanti voci dell'Encyclopédie, come Grains. D'altra parte sono assenti anche riferimenti ad economisti italiani che probabilmente il D. conosceva, come il Verri, a cui si avvicina molto e F. Galiani, che critica implicitamente. La mancanza di tali riferimenti è quindi a nostro avviso imputabile alla volontà di non fare tanto un'opera teorica quanto un pamphlet politico basato sull'evidente inefficienza dell'Annona di Napoli, dimostrata con una approfondita analisi storica. È questo d'altra parte uno degli aspetti più interessanti del libro: l'aver dimostrato che in circa quattro secoli i moltissimi provvedimenti vincolistici, cioè le più varie forme di immagazzinaggio, provviste, appalti, predeterminazione dei prezzi, lista di panizzatori, ecc., non fossero riusciti a fermare le carestie ed avessero avuto l'unico e deleterio effetto di uno smisurato indebitamento della città di Napoli. Da questo assoluto giudizio negativo alla richiesta di una libertà "illimitata, senza intoppo o restrizione", garantita da una legge invariabile e uguale per tutti, il passo è breve. Un simile rimedio avrebbe assicurato una costante presenza dei prodotti sul mercato, la fine dei monopoli, prezzi equi e non più le oscillazioni, così nocive all'agricoltura. Anche in questa pars costruens il D. non faceva ricorso ad argomentazioni teoriche; a parte la necessità di affidare un corpo economico così malato alle leggi naturali, mutuata dalle teorie fisiocratiche, i riferimenti sono per lo più storici o politici, volti a dimostrare i benefici effetti, sull'approvviggionamento annonario, sul commercio e sull'agricoltura, della liberalizzazione nei paesi e nei periodi in cui era stata adottata. Da studio specifico, legato ai problemi annonari della città di Napoli, l'Annona diviene un'opera riguardante qualsiasi società, sia essa produttrice di grano o non. Se questo passaggio dall'analisi storica particolare alle considerazioni liberiste generali è uno dei tratti caratteristici più interessanti dell'opera, costituisce al tempo stesso un punto di debolezza. Restano fuori del saggio - o ricevono risposte inadeguate - alcuni dei problemi peculiari della realtà napoletana, come la tumultuosa e incontrollabile crescita della popolazione più misera, oppure la necessità di assicurare ad un prezzo "politico" il suo minimo vitto. Rispetto a quest'ultimo problema, legato alla annosa preoccupazione di proteste e tumulti popolari, il D. riesce ad opporre solo la forza persuasiva della ragione, la sicura bontà delle leggi naturali, la necessità di risanare i bilanci. Non le particolari difficoltà napoletane, ma piuttosto un certo moderatismo ed una certa praticità amministrativa lo inducono a preferire una riforma graduale, che prima elimina i più gravi inconvenienti del sistema per poi smantellare pian piano tutto l'edificio annonario.
E così avvenne: sulla spinta delle sue posizioni e di quelle coeve dell'Odazi, del Delfico e di altri, nel 1785 fu abolito il tribunale della Grascia, che doveva impedire le esportazioni di grano, e nell'88 veniva emanata una nuova tariffa, che instaurava una certa libertà di commercio. L'anno successivo il D. interveniva di nuovo nel dibattito con una Dissertazione, in cui (come riportano il Napoli Signorelli e il Solari: per quante ricerche si siano fatte non è stato possibile rintracciarne una copia) sosteneva l'opportunità di introdurre a Napoli la libera vendita della farina e del pane. Unendo, come la gran parte dei riformatori napoletani del tempo, all'elaborazione teorica una corrispondente attività pratica, il D. portò avanti le sue tesi tra i "Deputati della General Panizzazione", che nel 1791 si pronunciavano per la più completa liberalizzazione. Questa verrà accordata parzialmente nel 1793 e del tutto - ma sempre nell'ambito dell'Annona, abolita definitivamente solo nel periodo francese - nel 1795. Una svolta liberista il D. sostenne anche nell'ambito di una giunta che si occupò del dazio della seta. Egli appoggiò e probabilmente influenzò l'azione del Tortora e la pubblicazione di una sua memoria, favorevole ad una completa liberalizzazione del commercio della seta; ma fu ottenuta solo la diminuzione del dazio.
Frattanto il D. era impegnato anche su altri fronti. Innanzitutto entrava a far parte della commissione per la ricostruzione della Calabria sconvolta dal terremoto del 1783; ma ben poco sappiamo del suo operato e della durata dell'impegno in quest'organismo, rivelatosi ben presto fallimentare; comunque nel 1793 aveva ancora la carica di "Vicario generale delle Calabrie".
Nel 1789 era nominato intendente degli allodiali e iniziava a svolgere un'importante azione nell'ambito del movimento di eversione della feudalità. Già da qualche tempo i riformatori napoletani - e in particolare il Delfico - sostenevano l'opportunità di togliere la giurisdizione ai feudi devoluti e di rivenderli come allodi. Negli anni 1790-92 il D. iniziò le vendite, ma poi - osteggiato da più parti - fu costretto a fermarsi.
L'opposizione gli veniva principalmente dal ceto forense; e il D. nel 1792 - in una lettera al Delfico - si mostrava assai seccato e scoraggiato, per l'eccessivo potere dei "paglietti", e per aver inutilmente "perduto tempo e tanto logorata la ... salute". Per motivi opposti dissentiva dal suo operato anche il Galanti: ci voleva una legge "solenne e costituzionale" e non un provvedimento empirico e viziato da qualche evidente irregolarità, come l'inclusione nel sistema di capitalizzazione per la valutazione dei fondi delle imposte di tipo feudale, senza sostituirle con altre. Nonostante le opposizioni, il D. aveva cercato di proseguire nella sua azione; nel 1796, quando ormai le vendite erano cessate, si difendeva contro le critiche, riassumendo in una breve memoria a stampa (senza titolo) il suo pensiero: i fondi venduti avrebbero potuto essere in seguito assoggettati alle imposte fondiarie che lo Stato avesse stabilito; le vendite in allodio erano estremamente valide dal punto di vista economico, perché determinavano la costituzione di una grande proprietà privata e di conseguenza un maggior sfruttamento della terra, profitti più alti e maggiori entrate fiscali.
Da analoghe posizioni derivava l'azione svolta in precedenza nei confronti della censuazione delle terre della disciolta azienda gesuitica. Promossa da B. Tanucci nel 1769 per favorire i contadini poveri, l'operazione fu liquidata dal D. nel 1792, e influenzò tutto il Consiglio delle Finanze nel quale era entrato l'anno precedente. Egli riteneva necessario affidare le terre a capitalisti in possesso dei mezzi per coltivarle e perciò non si oppose all'espulsione dei contadini che non riuscivano a pagare i debiti contratti con il Fisco: le loro terre furono quindi vendute tra il 1792 e il '93 e finirono in mano a grossi proprietari.
Negli ultimi anni del secolo il D. partecipò al movimento giacobino, pur continuando ad essere un riformatore moderato ed anche sostanzialmente filoborbonico, trascinato dall'evolversi degli avvenimenti rivoluzionari più che dalle sue convinzioni. Nel giugno del 1798 fu arrestato con altri ventisette tra cui il Pagano e il Medici; il processo durò pochi giorni - grazie alle pressioni del Garat, ministro francese a Napoli - e terminò con l'assoluzione e la scarcerazione degli imputati. Nel 1799 il D. fu tra i nobili che collaborarono alla Repubblica Partenopea. Dalla fine di gennaio al 4 aprile fu impegnato nel governo provvisorio, come uno dei commissari della Tesoreria generale e della vigilanza delle dogane. Dimessosi, insieme con altri nobili, si limitò a partecipare all'attività dell'Assemblea legislativa. Qui si distinse per le posizioni moderate e in particolare per l'opposizione al Pagano riguardo alla legge della confisca dei beni di quanti avevano seguito il re in Sicilia. Questa sua posizione gli fu probabilmente d'aiuto dopo il ritorno del re e il suo arresto avvenuto il 1° agosto. Al processo il suo difensore sostenne che il D. aveva accettato la carica di rappresentante per non essere ucciso e aveva assunto posizioni spesso in antitesi con i repubblicani. Dopo diverso tempo, il 28 marzo 1800, la corte - probabilmente indecisa sulla sua sorte (il De Nicola riferisce una voce, secondo la quale due giudici su cinque avrebbero voluto condannarlo a morte) - gli inflisse due anni di carcere.
Ritornato libero, morì a Napoli nel 1803.
G. Ricca Salerno (Storia delle dottrine finanziarie in Italia, in Atti della R. Acc. dei Lincei, CCLXXVIII [1880-81], pp. 201 s.) e T. Fornari (Delle teorie economiche nelle provincie napoletane dal 1836 al 1935, Milano 1888, pp. 405-10) attribuiscono al D. - senza alcuna prova - una lunga memoria anonima, Piano per la riforma dei titoli di legislazione relativi al tributo, Napoli 1792. Le posizioni in esso espresse sono in linea con quelle tradizionali del Broggia e del Genovesi e con la teoria fisiocratica dei tributi e quindi con il pensiero economico a cui si rifaceva il D.; tuttavia, che egli ne sia l'autore sembra poco probabile: l'unica copia rintracciata, presso la Biblioteca nazionale di Napoli, segnatura 73.I.13/7, reca infatti la firma autografa di Giuseppe Orazi; lo stile è retorico e classicheggiante; mancano nel testo riferimenti a note posizioni del D. sul dazio della seta o dei grani; non vi sono riferimenti a questa memoria in suoi scritti o atti posteriori; non ne viene fatto alcun cenno da suoi accorti contemporanei come il Napoli Signorelli.
Fonti e Bibl.: L'unica biografia - frammentaria e incompleta - è in Marchese di Villarosa [C.S. de Rosa], Ritratti poetici con note biogr. di alcuni illustri uomini del sec. XVIII nati nel Regno di Napoli, Napoli 1842, pp. 132 ss. Notizie sull'ambiente culturale frequentato dal D. sono in N. Cortese, Eruditi e giornali letterari nella Napoli del Settecento, Napoli 1921, pp. 73 s.; F. Venturi, Illuministi italiani, V, Milano-Napoli 1962, pp. 794 s. Giudizi e notizie sull'Annona sono in diversi libri sulla cultura e le teorie economiche italiane; tra essi è il caso di ricordare: P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura delle due Sicilie, VII, Napoli 1811, pp. 124-7; l'ampia ma non molto acuta analisi di T. Fornari, Delle teorie econ. nelle prov. napol. …, Milano 1888, pp. 492-501; G. Solari, Studi su M. Pagano, Torino 1953, pp. 200 s. Il resto di questa bibliografia, che reca giudizi per lo più brevi e sommari, è riportata da O. Nuccio, Appendice, in Collez. Custodi, Scrittori class. ital. di econ. politica. Parte moderna, XL, Roma 1967 (rist. anast. dell'ediz. orig. del 1805), che contiene anche un lungo, ma non molto critico, commento dell'Annona. Sullasua azione come intendente degli allodiali e la vendita dei feudi devoluti vi sono ampie documentazioni in Arch. di Stato di Napoli, Finanze, ff. 1552, 1555, 1562, 1569; cfr. inoltre la lettera di critica di G.M. Galanti, Testamento forense, II, Venezia 1806, pp. 38 s.; l'ampia ricerca di A.M. Rao, L'"amaro della feudalità", La devoluzione di Arnone e la questionefeudale a Napoli alla fine del '700, Napoli 1984, ad Indicem; su tale azione sono riportati giudizi in D. Winspeare, Storia degli abusi feudali, Napoli 1811, p. 148; P. Villani, Feudalità, riforme e capitalismo agrario, Bari 1967, p. 79; F. Venturi, in Illuministi italiani, V, cit., pp. 1009 s. e 1174 ss. Sulle altre varie iniziative politiche del D. si soffermano: N. Cortese, Il Mezzogiorno e il Risorgimento ital., Napoli 1965, p. 92; A. Lepre, Contadini, borghesi e operai nel tramonto del feudalesimo napoletano, Milano 1963, pp. 126 s., 131; Id., Sulla censuazione dei beni dei Gesuiti, in Studi storici, XI (1970), pp. 279-91 passim; G. Civile, Granisti e Annona di Napoli nel XVIII sec., in Studi sulla società meridionale, Napoli 1978, ad Indicem. Notizie sull'ultimo periodo della sua vita sono in P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1969, ad Indicem, e in C. De Nicola, Diario napol. dal 1798 al 1825, Napoli 1906, ad Indicem.