DEL FRATE, Domenico
Figlio di Santi - originario di Segromigno - e di una lucchese, Marta Tacconi, nacque a Lucca il 15 giugno 1765 (Lucca, Archivio della Curia vescovile, Lib. battesimi, matrimoni e morti, 1760-1765, p. 963). Fu probabilmente il padre, pittore di modesta fama e membro dell'accademia, a dargli i primi insegnamenti e a mandarlo, per completare la sua formazione, a Firenze, dove il 28 sett. 1783 all'accademia del disegno, ottenne il primo premio della seconda classe (Arch. di Stato di Firenze, Accademia del disegno, busta 14, f. 46v).
Alcuni anni dopo lo si ritrova a Roma, aiuto ed allievo di Bernardino Nocchi, presso il quale abitò dal 1787 al 1794, e amico anche di Stefano e Agostino Tofanelli. Secondo il Trenta (1822), fu lui che nel 1788, nell'appartamento del cardinale segretario dei Brevi a palazzo della Consulta, eseguì al posto del maestro - la cui salute era malferma - l'ovale centrale di una grande composizione a tempera, tuttora conservata, che rappresenta Cerere che ricorre a Giove per riaver Proserpina rapitale da Plutone. L'anno Seguente, sempre su disegno del Nocchi, dipinse la volta della galleria dei quadri che glorificava il mecenatismo di Pio VI attraverso soggetti allegorici tratti dalla storia romana (Michel, 1982, pp. 120 s.). Nel 1791 Stefano Tofanelli raccomandò per dei lavori alla villa Mansi di Segromigno il "figlio di Santino del Frate... pittore capacissimo" (E. Lazzareschi, La Villa Mansi a Segromigno e le pitture di Stefano Tofanelli, in Boll. storico lucchese, II [1930], p. 210).
Sarà la sua abilità di affrescatore a renderlo famoso e in un momento in cui, secondo Missirini (1823), "il dipingere a fresco era volto in basso totalmente", egli contribuì a conservarne la tradizione.
Non fu tanto l'entusiasmo rivoluzionario, quanto la sua facilità e rapidità nel l'esecuzione, a farlo chiamare per collaborare alla decorazione dell'arco trionfale eretto all'inizio di ponte S. Angelo in occasione della festa della Federazione celebrata il 20 marzo 1798 e commemorata in due dipinti di Felice Giani (Museo di Roma, pal. Braschi), uno dei quali rappresenta appunto l'arco trionfale (L'età neoclassica a Faenza... [catal.], Bologna 1979, pp. 27 s. e ill. 42 e 43).
Nella descrizione dettagliata dell'arco - fatta a suo tempo - si ricorda che il D. dipinse la Presa di Trento e di Bassano; Le battaglie di Castiglione e di Solferino; Il Tevere, uno dei sei fiumi attraversati dagli eserciti rivoluzionari, ed eseguì una grande parte del lungo fregio che commemorava il Passaggio delle Alpi delle truppe francesi (Pinelli, 1978).
Il primo lavoro che il D. poteva sperare fosse meno effimero, furono gli affreschi nella villa Torlonia in via Nomentana, appena acquistata dal marchese Giovanni Torlonia. Negli scomparti della volta del grande salone, egli rappresentò al centro il carro del Sole e ai lati "le Muse ed altri leggieri dipinti" (Diario ordinario, 30 nov. 1805, p. 11). Nella vicina galleria dipinse a monocromo finti bassorilievi. L'insieme dei dipinti, che risaliva probabilmente al 1804, disparve durante i restauri fatti fare dal principe Alessandro; nel 1838 A. Nibby ne vide solo pallide tracce (Roma nell'anno 1838, IV, Roma 1841, p. 963).
Nel 1794, quando vennero a mancare le grandi commesse pontificie, il D. si era separato da Bernardino Nocchi per avvicinarsi ad Angelica Kauffmann e soprattutto al Canova, di cui nel 1798 disegnò il profilo per l'incisore Pietro Bettelini rifacendosi ad un medaglione di marmo di Antonio d'Este. I suoi rapporti con il Canova mettono in luce un altro aspetto del suo talento che gli valse la fama di primo disegnatore di Roma.
Troppo pochi sono i disegni rimasti per poter giudicare la qualità del suo tratto: un bel ritratto di Bernardino Nocchi, e un primo schizzo della tomba dell'Alfieri appartenuto prima alla contessa d'Albany e poi al pittore François-Xavier Fabre (L. Pellicer, François-Xavier Fabre et la peinture italienne, in Actes du colloque Florence et la France, Firenze 1979, p. 184). Le fonti ricordano altri disegni di opere del Canova, eseguiti dal D. su richiesta dello scultore per committenti lontani, ma non ancora rintracciati: i due bassorilievi della collezione Albrizzi, Ecuba offre il peplo a Pallade e Socrate che prende il veleno, datati 1796 (D. Ricciotti Bratti, Antonio Canova nella sua vita artistica privata, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XXXIII [1917], 2, p. 316); la statua colossale del Re di Napoli del 1801 (A. Borzelli, Le relazioni del Canova con Napoli, Napoli 1901, p. 9) ed il disegno del monumento funebre di Volpato inviato a R. Morghen nel 1809 (Campori, 1866).
Grazie alle incisioni di Pietro Bonato conosciamo due di questi disegni del D.: quello della stele in onore di Nicola Azara, e quello della tomba dell'arciduchessa Maria Cristina che venne offerto al principe Alberto di Sassonia Teschen e fu inciso nel 1806. In effetti sono proprio le stampe dei migliori artisti dell'epoca a testimoniare del lavoro di disegnatore svolto dal D. in qualità sia di copista sia di "inventore".
La prima incisione datata che noi conosciamo, eseguita da Raffaello Morghen e pubblicata a Parma nel 1787, è l'illustrazione della raccolta dei Componimenti per le faustissime nozze... Sanvitali... Gonzaga che rappresenta le Nozze di Germanico e Agrippina ispirate alla scultura romana. Una delle specialità del D. fu infatti proprio il disegnare dall'antico, che lo portò a essere uno dei migliori interpreti del Canova, uguagliando in questo campo il suo maestro Bernardino Nocchi. Nel 1794 fu pubblicata una Raccolta di dodici busti, ripresi da celebri statue, incisa da Pietro Fontana, e quando nel 1803 il cardinale Fesch cercava disegnatori per l'Iconographie romaine di Ennio Quirino Visconti, il direttore dell'Accademia di Francia, J.-B. Suvée, gli propose il D. anche se, diceva, in quel periodo poco disponibile per lavori di scarsa risonanza (Correspondance des directeurs de l'Académie de France à Rome, II, Directorat de Suvée, 1795-1807, Roma 1984, pp. 434, 668). Ciò nonostante il D. disegnò di fronte e di profilo la statua di Pompeo di palazzo Spada (i disegni, inviati a Parigi nel 1805, saranno pubblicati nel 1817: E. Q. Visconti, Iconographie romaine, I, Paris 1817, planche 5).
Disegnò anche alcune monete antiche appartenenti a lord Northwick 3 disegni incisi da Henry Moses e pubblicati tardivamente nel 1826 (G. H. Noehden, Specimens of ancient coins of Magna Graecia and Sicily, selected from the cabinet of... lord Northwick, London 1826). A richiesta degli incisori il D. riproduceva in disegno anche pitture. Secondo il Trenta (1822) egli lavorò per Angelica Kauffmann ma il suo nome non è menzionato in nessuna delle tavole tratte dalle opere della pittrice. Parimenti si sa che Luciano Bonaparte, desideroso di riprodurre a stampa i dipinti della sua collezione, cercò di assicurarsene la collaborazione. La prima traccia concreta di questa attività è la copia eseguita nel 1793 del ritratto di Antonio Cappello di Martino De Boni; incisa da Pietro Fontana, essa segna l'entrata del D. nella cerchia del Canova (Venezia nell'età di Canova, 1780-1830 [catal.], Venezia 1978, p. 77, n. 98). Nel 1806 il Guattani (pp. 119-22) annuncia una serie di riproduzioni di opere di grandi maestri incise da Pietro Bonato, dovuti al lavoro di "valenti disegnatori, i signori Del Frate e Tofanelli".
E in effetti cinque di esse erano state disegnate dal D. prima della sua partenza per la Polonia: tre dal Guercino o meglio da copie del Guercino che si trovavano a Roma; una dall'Albani ed un'altra da Guido Reni (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe, vol. 40, H 26, inv. 51268 ss.; Il Guercino... I dipinti [catal.], Bologna 1968, p. 193, n. 88). Una Addolorata miracolosa (Roma giacobina... [catal.], Roma 1973, p. 46) e un Ecce Homo (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe, vol. 41, H 22, inv. 52873) incisi dal Volpato verso il 1798 non sono propriamente creazioni originali. Alla Calcografia nazionale si conservano invece i rami eseguiti da Pietro Fontana di tre ovali i cui soggetti sono tratti dalle Metamorfosi e dall'Eneide: le Apparizioni di Giove a Semele; di Apollo a Leucotea; di Venere a Enea (C. A. Petrucci, Catalogo generale delle stampe... Calcografia nazionale, Roma 1953, p. 152). In essi il D. ritrova con una certa felicità l'ispirazione mitologica dei suoi affreschi. Ugualmente originale, neoclassica nello spirito, con intenti virtuosistici e uno stile che imita l'antico, è l'illustrazione dell'incontro tra Belisario e Gelimero, incisa da Alessandro Contardi (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe, vol. 43, H 32, inv. 68577).
Nella cerchia del Canova, il D. fece la conoscenza del conte e della contessa Tarnowski, che lo invitarono nei castelli di Dzików e di Horochów in Polonia; il D. vi soggiornò dal novembre 1804 al dicembre 1806 con l'incarico di installare la statua del Perseo del Canova, ma si dedicò anche ad altre attività fra cui quella di insegnare disegno alla giovane contessa. Mettendo a profitto il suo talento di ritrattista, che noi per ora poco conosciamo, modificò, trasformandolo, il ritratto di Valeria Tarnowska eseguito a Roma, e ne dipinse un altro che la raffigura con una miniatura in mano.
Eseguì anche, con uno stile più austero, i ritratti del Conte Jan Jacek Tarnowski e della Contessa Rosalia, e quello della loro figlia Maria, contessa Scipio Del Campo, oggi perduto. Questi ritratti, tuttora conservati dalla famiglia, sono tanto più preziosi in quanto sono i soli rimastici e testimoniano un talento reale nella ricerca di una verità senza enfasi o di una dolcezza melanconica già romantica (Il ritratto italiano dal Caravaggio al Tiepolo alla mostra di Palazzo Vecchio nel MCMXI, Bergamo 1927, pp. 237 s.). Per divertimento - forse, meglio, su commissione - dipinse i paesaggi che lo circondavano ed i castelli dove abitava: si tratta di quattro dipinti che Mycielski dice nello stile di C.J. Vernet, ma un inventario del 1841 pubblicato da K. Grottowa (1957), attribuisce i disegni di due di essi al D. e la loro esecuzione a Roma, al pittore Ludovico Caracciolo. Il D. aveva altre ambizioni e i suoi mecenati altre esigenze. Per la cappella di Dzików dipinse a olio una Madonna attorniata da angeli uno dei quali ha i tratti di una giovane polacca che il pittore corteggiava, e per il soffitto della biblioteca di Horochow dipinse una allegoria: La Polonia in lacrime, il cui soggetto gli era stato fornito da Valeria Tarnowska; in un'altra sala del castello eseguì un affresco copiando o interpretando l'Aurora del Reni. Fu incaricato anche di illustrare in due grandi quadri la Gloria dei Tarnowski con la vittoria del connestabile Jan a Obertyn nel 1531 e la sua entrata trionfale a Cracovia per rendere omaggio a Sigismondo I.
A questo scopo doveva assorbire il colore locale e fare bozzetti e schizzi. L'esecuzione di queste immense tele (m 7 x 5), a Roma, andò per le lunghe. Davanti al genere per lui nuovo della pittura a soggetto storico, che per di più non riguardava la storia italiana, il D. difettava d'ispirazione. Benchè fosse apparso nel 1810 nelle Memorie enciclopediche romane un articolo di tre pagine che descriveva la battaglia "fra Polacchi e Tartari" accompagnato da un'acquaforte del D., i due quadri finalmente terminati non partirono per la Polonia che dodici anni dopo (A. M. Corbo, L'esportazione delle opere d'arte dallo Stato Pontificio tra il 1814 e il 1823, in L'Arte, n. ediz., III [1970], 10, p. 107, n. 35). Nel 1852 un giornale di Cracovia giudicò molto severamente queste due opere rimproverandone soprattutto il carattere troppo italiano e negando ad un artista straniero la capacità di esprimere i sentimenti nazionali (Gzas, 1852, n. 172, p. 1).Il ritorno del D. a Roma nel 1807 segna i limiti del suo successo in Polonia ed il desiderio di riprendere posto tra i suoi pari, nonostante le circostanze politiche poco favorevoli alle arti. La sua fama fu sancita con l'elezione all'Accademia di S. Luca, il 4 luglio 1813 (Archivio storico dell'Accademia, vol. 58, f. 2v), allora sotto la presidenza del Canova. Ammesso nel consiglio il 2 genn. 1814 (ibid., f. 8r), divenne nel 1820 revisore dei conti dell'Accademia (ibid., Miscellanea congregazioni, I, n. 102) e nel 1821 anche della cappella di S. Lazzaro (ibid., n. 112). L'11 marzo dello stesso anno ottenne la cattedra di "disegno pittorico" al posto di Luigi Agricola; come concorrenti aveva Francesco Manno e Michele Köck (ibid., n. 114). Secondo il Trenta (1822), oltre le due tele in cantiere per i Tarnowski, il D. avrebbe anche eseguito dei dipinti destinati all'Irlanda, oggi - pare - perduti: una Presentazione al tempio di Maria Vergine per Cork, un S. Giovanni evangelista e Il Crocefisso con la Vergine madre a' piedi e s. Giovanni per Dublino. Per la sua parrocchia, S. Andrea delle Fratte, dipinse nel 1818 la settima stazione della Via Crucis, tuttora visibile (Diario di Roma, 22 luglio 1818, p. 1). Ma fu soprattutto nella pittura murale che riuscì ad affermarsi, come dimostra il fatto che il Canova nell'aprile 1815 si rivolse a lui in qualità di esperto a proposito della ripulitura delle Nozze Aldobrandine (Diario di Roma, 28 giugno 1815, p. 4; L. Biondi, Lettera sull'antica celebre pittura conosciuta sotto il nome delle Nozze Aldobrandine..., Roma 1815).
Quando il marchese Giovanni Torlonia lo chiamò per decorare il palazzo che aveva acquistato in piazza Venezia si verificò nuovamente il sodalizio tra Canova e il D. che decorò la galleria dell'Ercole e Lica: tra il 1813 e il 1815 dipinse nella volta Le nozze di Ercole con Ebe in cui secondo il Trenta si vedevano "tutte le Deità maggiori con Giove assiso in trono, ed Apollo con le nove Muse che stanno cantando canzoni epitalamiche agli sposi".
Questo dipinto, lungo più di 12 metri per 5, era contornato da altre scene rappresentanti le Fatiche d'Ercole. Verso il 1842 però il principe Alessandro lo distrusse per dare alla galleria una illuminazione zenitale.
Mentre Roma si riprendeva dalla lunga e tormentata parentesi rivoluzionaria e imperiale, ripresero i lavori nei palazzi del Vaticano. Nel 1818 venne terminata la decorazione della sala "degli indirizzi" con lo stemma di Pio VII sostenuto da putti sulla volta, mentre le lunette sono decorate da sette figure di Profeti e di Dottori della Chiesa: inquesto lavoro d'équipe è difficile riconoscere tra le altre la mano del D. (C. Fea, Descrizione di Roma, Roma 1822, I, p. 87). Lo stesso dicasi per la sala Alessandrina, anch'essa datata al 1818 dove in due lunette e quattordici pannelli sono illustrati gli avvenimenti importanti della Vita di Pio VI. Secondo il Trenta, il D. ne avrebbe eseguiti sei, ma in assenza di documenti contabili è azzardato identificare i diversi autori, tanto l'insieme è impersonale.
La restaurazione politica nel ducato di Lucca riportò il D. in patria, tanto più che Maria Luisa di Borbone assumeva artisti toscani, e di preferenza lucchesi, per rinnovare il palazzo ducale. All'origine lucchese il D. univa il prestigio acquistato a Roma che conferiva al suo contributo la massima importanza. Tra il settembre 1818 e il dicembre 1819 decorò i soffitti di cinque importanti sale.
Nella sala del trono rappresentò La Sapienza divina circondata dalle quattro Virtù cardinali; in quella dei ciambellani il Ratto di Ganimede; nel gabinetto di Sua Maestà la Leggenda di Apollo che risente nella scena centrale dell'influsso di Mengs e, nei monocromi che la contornano, della lezione del Nocchi della galleria dei quadri. Nell'ottava sala celebrò la politica economica della sovrana con Pallade che presiede alle manifatture e nella sala egiziana ne onorò i gusti musicali con le Nozze di Cadmo con Armonia davanti agli dei dell'Olimpo (T. Trenta, Guida... di Lucca, Lucca 1820, p. 50; Archivio di Stato di Lucca, Intendenza della lista civile, busta 21, nn. 913, 918, 924, 979 s., 1041).
Di ritorno a Roma, al D. fu chiesto di affrescare la sala dell'Ariosto nel casino Massimo al posto di Schnorr von Carolsfeld che tergiversava (K. Gerstenberg-P. Ortwin Rave, Die Wandgemälde der deutschen Romantiker im Casino Massimo zu Rom, Berlin 1934, p. 33). Raccomandato per la qualità del suo disegno, per il suo rifiuto delle espressioni patetiche e degli effetti del "sotto in su", il D. avrebbe potuto quindi confrontarsi con le audaci innovazioni dei Nazareni se la morte non lo avesse colto l'11 nov. 1821 (Roma, Archivio del Vicariato, S. Andrea delleFratte, Liber mortuorum, 1816-1824, f. 31v, n. 579), in via Sistina 68, nella casa che divideva con la famiglia Fioroni.
Tre dei ragazzi Fioroni furono suoi allievi: Teresa ed Enrica divennero miniaturiste e Luigi non tardò a farsi conoscere come pittore. Fu lui che liquidò gli affari del maestro, fra cui l'invio in Polonia dei due grandi quadri.
Il D. fu artista di transizione, pittore e disegnatore di grande talento, la cui ispirazione trovava fondamento nella tradizione romana classicheggiante. In vita fu molto stimato, grazie anche all'amicizia del Canova e, dopo il 1815, alla restaurazione politica. Morì prima di essersi potuto o saputo rinnovare, per mancanza di immaginazione o di audacia. Il suo maggior merito fu quello di aver trasmesso alla generazione seguente i segreti di una particolare tecnica che lui possedeva perfettamente: quella della pittura murale.
Fonti e Bibl.: Gazzetta Toscana, 4 ott. 1783, p. 158; Raccolta di dodici busti cavati dalle antiche statue originali... disegnati dal Sig. D. Del Frate ed incisi dal Sig. Pietro Fontana, Roma 1794; G. Guattani, Memorie encicl. romane, I, Roma 1806, pp. 57, 119-22; IV, ibid. 1809, p. 143; V, ibid. 1810, p. 30; T. Trenta, Notizie di pittori... lucchesi, in Mem. e documenti per servire a l'istoria del ducato di Lucca, VIII (1822), pp. 177 s.; M. Missirini, Mem. per servire alla storia della Romana Accademia di San Luca, Roma 1823, p. 428; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, p. 391; L.-G. Pélissier, Canova, la comtesse d'Albany et le tombeau d'Alfieri, in Nuovo Archivio veneto, n. s., III (1902), pp. 156-61; G. Mycielski, Une jeune polonaise en Italie à l'époque du Premier Consul, in La Revue de Pologne, II (1924), pp. 1-22, 77; III (1926), p. 107; K. Grottowa, Zbiory sztuki Jana Feliksa i Walerii Tarnowskich w Dzikowie, 1803-1849 (Le raccolte d'arte di Jana Feliksa e Walerii Tarnowski a Dzików, 1803-1849), Wroclaw 1957, ad Indicem; O. Raggio, The Tarnowska Perseus by Canova, in The Metrop. Museum of Art Bull. XXVI (1967-1968), pp. 185-191; Id., Canova's triomphant "Perseus", in The Connoisseur, CLXXII (1969), pp. 204-12; D. Kaczmarzyk, Le Persée d'Antonio Canova de la coll. Tarnowski à Dzików, in Bull. du Musée national de Varsovie, X (1969), pp. 109-14; Id., Posag Perseusza rzeźba Antonia Canovy ze zbiorów Tarnowskich (Perseo scultura di Antonio Canova nella collezione dei Tarnowski), in Biuletyn historii sztuki, XXXI (1969), pp. 97 ss., 104; E. Bassi, L'arte del Canova nella cultura polacca, in Italia, Venezia e Polonia tra Illuminismo e Romanticismo, Firenze 1973, pp. 107-25; A. Pinelli, La rivoluzione imposta o della natura dell'entusiasmo..., in Quaderni sul Neoclassico, IV (1978), pp. 124-30; S. Pinto, La decoraz. pittorica: problemi, in Il palazzo pubblico di Lucca..., Atti del Convegno, Lucca 1980, pp. 137-40, 142; O. Michel, D. D. dessinateur et fresquiste méconnu, in Colloqui del Sodalizio (tra studiosi dell'arte), s. 2, VII-VIII (1980-1984), pp. 141-68; Id., Exempla virtutis…, in Monumenti, Musei e Gallerie pontificie, III (1982), pp. 120 s.