DOMENICO di Guzmán, Santo
Nato a Calaruega (Castiglia Vecchia) nel 1170, D. fu il fondatore dell'Ordine dei Domenicani. D. studiò filosofia e teologia nell'Università di Palencia; ordinato sacerdote, divenne presto sottopriore del Capitolo dei canonici di Osma e nel 1203 raggiunse i legati papali in Linguadoca per convertire gli albigesi. Nel 1215 D. fondò a Tolosa il nuovo ordine, per il quale, l'anno successivo, ottenne l'approvazione papale e che in seguito trasformò, sotto l'influsso di s. Francesco, in Ordine Mendicante. Morto a Bologna nel 1221, fu canonizzato da Gregorio IX nel 1234.
La prima traccia sicura dell'esistenza e della richiesta di una produzione di immagini di D. risale al 1247, quando il Capitolo provinciale di Roma prese la prima risoluzione di ricordare la 'presenza di D.' attraverso la sua immagine (Acta Capitulorum Provincialium, 1941, p. 7). Rivolte a imporre le immagini di D. e di Pietro Martire nelle chiese sono la risoluzione del 1254 del Capitolo generale di Buda (Acta Capitulorum Generalium, 1898, p. 70) e quella del 1256 del Capitolo generale di Parigi (Acta Capitulorum Generalium, 1898, p. 81). La decisione dell'Ordine va letta anche in rapporto alla necessità di competere con la fortunatissima e più precoce produzione d'immagine dei Francescani.L'aspetto fisico di D. è noto attraverso la testimonianza oculare di Cecilia, monaca a S. Sisto a Roma, che scrisse verso il 1240: "Statura mediocris, tenuis corpore, facies pulchra et parum rubea, capilli et barba modicum rubei, pulcher oculis. De fronte eius et inter cilia quidam splendor radiabat [...] Manus longas et pulchras habebat, magnam vocem pulchram et resonantem habebat. Numquam fuit calvus, sed coronam rasilem totam integram habebat paucis canis respersam" (Walz, 1948, p. 44).La più antica tavola conservata (Cambridge, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.) non si può datare prima del sesto decennio del sec. 13°, probabilmente intorno al 1260, ed è purtroppo mutila: raffigura D. a mezza figura, benedicente, con un cappuccio simile a quello con il quale si raffigurava s. Francesco, e con un libro; essa è certamente parte resecata da un dipinto più grande, ma non si può esser certi che ai lati della figura centrale si disponessero due serie di storie (Krüger, 1992). L'attributo principale usato, il libro, appare in linea con gli intendimenti relativi alla fisionomia dell'Ordine, del quale si voleva sottolineare specificamente l'aspetto colto e dottrinale, anche in funzione ortodossa e antiereticale; a questo proposito va ricordato che, a differenza dei Francescani, tutti i Domenicani erano anche ordinati sacerdoti.Pressoché contemporanea è la raffigurazione di D. nel polittico tedesco dal monastero femminile di Altenhohenau (Norimberga, Germanisches Nationalmus.), dove il santo compare accanto a s. Pietro Martire, s. Pietro e s. Paolo; le scritte sui libri dei due domenicani accennano a un possibile contenuto eucaristico del programma del polittico, purtroppo frammentario. D. compare con il cappuccio e con l'attributo del libro anche nella più tarda 'vera icona' della chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli del 1280-1290 ca. (Bologna, 1969, pp. 58-59; Leone De Castris, 1986, p. 157), che la leggenda vuole sia stata portata a Napoli da s. Tommaso d'Aquino. D. compare inginocchiato davanti alla Vergine e accompagnato da due piccole figure di monache domenicane nel trittico del 1270 ca. (già Kansas City, Nelson-Atkins Mus. of Art). Probabilmente era parte di una Maestà il frammento d'affresco che raffigura D. sulla parete sinistra della chiesa di S. Domenico a Spoleto (1280 ca.); è da solo, benedicente e con il libro, sul retro della tavola di scuola dei Paesi Bassi meridionali, del 1290-1300 ca., raffigurante la Crocifissione e la Risurrezione (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire; Gardner, 1993).Frequentemente associato a Pietro Martire, per es. nei medaglioni della Madonna Rucellai (Firenze, Uffizi), nei mosaici dell'atrio della basilica di S. Marco a Venezia (fine del sec. 13°) e nella vetrata del 1280 ca. della chiesa domenicana di Colonia, ora nel duomo (Rode, 1974), D. compare spesso anche insieme a s. Agostino, per es. nella sala capitolare di S. Domenico a Pistoia del 1280 ca. (Boskovits, 1990, p. 126) o a s. Francesco, per es. nel dossale del 1270 ca. attribuito al Maestro della Maddalena (New Haven, Yale Univ. Art Gall.) e nella Maestà del 1290 ca. attribuita a Cimabue (Firenze, Uffizi). Il tema dell'abbraccio tra Francesco e D. risale alla Vita Secunda di Tommaso da Celano (Elm, 1972).D. appare come protettore di personaggi famosi in alcuni monumenti funerari: quello del cardinale De Braye in S. Domenico a Orvieto, quello del vescovo Guglielmo Durando in S. Maria sopra Minerva a Roma. A partire dai primi del Trecento, la sua raffigurazione è usuale soprattutto nei polittici commissionati dai grandi conventi e chiese dell'Ordine, che in quegli anni rinnovarono radicalmente e a più riprese le loro decorazioni, come per es. nel polittico di Duccio (Siena, Pinacoteca Naz.), nel dossale di Deodato di Orlando del 1301, proveniente da S. Caterina (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), nei polittici di Simone Martini (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo; Orvieto, Mus. dell'Opera del Duomo) e nel polittico del priorato di Thornham Parva nel Suffolk (Cannon, 1980; 1982; Norton, Park, Binski, 1987). Nel trittico di Duccio del 1310 ca., per la distrutta chiesa di S. Aurea in via Giulia a Roma (Londra, Nat. Gall.), D. affianca la Vergine insieme a s. Aurea e ha il libro e una stella, attributo simbolico forse derivato dal Libellus de principiis di Giordano di Sassonia, del 1233-1234 (Iturgaiz, 1991, p. 83), nonché dai testi di Pietro Ferrando (1235 ca.) e Costantino da Orvieto (1247-1248); l'uso del giglio come attributo diventa usuale nel corso del Trecento, forse perché il libro, da solo, avrebbe potuto ingenerare confusioni con le raffigurazioni di s. Tommaso, nel frattempo fattesi assai rilevanti.Del tutto particolare è la serie di tavole databili intorno al 1280, verosimilmente decorazione per un refettorio (Bologna, S. Maria e S. Domenico della Mascarella), in cui il Miracolo del pane - l'originaria collocazione dell'avvenimento era contesa tra i conventi di S. Sisto a Roma e di S. Domenico a Bologna (Vicaire, 1955) - viene rappresentato, fra il realistico e il simbolico, come una lunga teoria di frati seduti davanti a una tavola imbandita con al centro il santo con la veste talare e il cappuccio. Nell'ambito dello stesso convento di Bologna tra il 1260 e il 1288 (Vicaire, 1977) si ritiene sia stato redatto il manoscritto illustrato delle Nove maniere di pregare di D. (Tugwell, 1985; Iturgaiz, 1991): la questione dei differenti modi in cui D. pregava ha grande rilievo devozionale e mostra - nei rapidi disegni esistenti nelle copie tre e quattrocentesche del prototipo perduto - il valore figurale e simbolico dell'atteggiamento del corpo.L'Ordine sentiva naturalmente l'esigenza di proporre non solo l'immagine del suo fondatore, ma anche la storia della sua vita, le cui principali redazioni furono quelle di Giordano di Sassonia, Pietro Ferrando e Costantino da Orvieto, nonché di Umberto di Romans (m. nel 1277); sostanzialmente espunto dalla tradizione appare invece il racconto della monaca Cecilia di S. Sisto, in cui l'aspetto dottrinale e antiereticale è quasi assente e prevale invece l'elemento miracoloso e fantastico.Se è giusta la datazione proposta da Beyer (1956), al 1254-1260 potrebbe risalire il ciclo di vetrate, già nella chiesa domenicana di Strasburgo e ora nel duomo della stessa città; il ciclo comprendeva forse anche storie vetero e neotestamentarie; delle storie di D. sopravvivono solo due frammenti: D. in piedi davanti a un gruppo di monaci, raffigurante la Missione dei frati domenicani o la Predica, e la Visione in cui D. viene visto con una stella.Il più antico ciclo sopravvissuto integro, dotato di grande valore assertivo, è quello dell'arca del santo in S. Domenico a Bologna. L'arca venne ordinata dal Capitolo generale di Montpellier (1265) e realizzata nel 1267, nel momento in cui i Domenicani decisero di costruire un vero e proprio mausoleo per le spoglie del fondatore; una miniatura con la traslazione delle reliquie - forse la prima delle due traslazioni - di D. si trova nel lezionario tedesco di Oxford, del 1267-1276 (Keble College Lib., 49, c. 78v; The Medieval Manuscripts, 1979). Nell'arca i rilievi con storie sono sei: sull'attuale fronte, che già nella collocazione originaria doveva essere il lato rivolto ai fedeli nella chiesa, sono rappresentati la Risurrezione del giovane Napoleone Orsini, nipote del cardinale Stefano di Fossanova, e il Miracolo del libro di D. salvato dalle fiamme che divorano i libri degli eretici. Sugli altri lati, quelli destinati a essere visti dai frati, si hanno: l'Apparizione dei ss. Pietro e Paolo a D.; la Visione, Vocazione e Guarigione miracolosa di Reginaldo d'Orléans, cui la Vergine consegna l'abito talare composto dai consueti tre pezzi (cappa, tunica e scapolare); il Sogno di Innocenzo III e l'approvazione dell'Ordine; il Miracolo dei pani portati dagli angeli. La scelta delle scene, intervallate dalle figure del Redentore e della Vergine e da arcangeli, virtù e diaconi, fornisce un'immagine austera ed ecclesiale del santo e della sua storia; è da notare come la scena del Sogno sia la replica, se non la copia a fini esplicitamente ideologici e competitivi, dell'analoga scena dipinta pochi anni prima dal Maestro di S. Francesco per il ciclo francescano nella basilica inferiore di Assisi (Cannon, 1982; Romano, 1982); i Francescani ripresero, in effetti, l'episodio letterario dai Domenicani (Frugoni, 1993, p. 312) e anzi li precedettero sul piano figurativo. Il ciclo bolognese avalla autorevolmente un episodio, quello della Visione dei ss. Pietro e Paolo, definita nel Libellus de principiis di Costantino da Orvieto, uno dei due primi biografi di D., come 'visione immaginaria' (Iturgaiz, 1991, p. 98), ma riproposta non molti anni dopo ad Arezzo, nella navata della chiesa di S. Domenico (Cannon, 1980), e più tardi da Bernardo Daddi nella smembrata predella del polittico di S. Maria Novella a Firenze (New Haven, Yale Univ. Art Gall.).In tempi più o meno contemporanei all'arca, e forse qualche anno prima, la scena di D. che prega per la guarigione di Reginaldo d'Orléans era apparsa in un dittico della scuola di Guido da Siena insieme alla scena delle Stimmate di s. Francesco e a due scene del beato Andrea Gallerani (Siena, Pinacoteca Naz.). Intorno alla fine del secolo, una tavola (Napoli, Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte), proveniente da Gaeta (Morisani, 1947, p. 115), propone una versione della leggenda domenicana più ampia e in un certo modo più colorita e popolaresca di quella 'ecclesiastica' di Bologna, prodiga di narrazioni miracolose e, per es., indifferente all'episodio del libro scampato alle fiamme, quindi ai temi antiereticali così importanti in genere per l'Ordine. Le dodici storie - Sogno della madre di D. di dare alla luce un cane con una torcia accesa; Visione della nonna di una stella sulla fronte di D. bambino; D. vende i libri durante una carestia a Palencia, per fare elemosina; Guarigione di Reginaldo d'Orléans; Sogno di Innocenzo III; Miracolo dei pani; Risurrezione di Napoleone Orsini; Risurrezione di un muratore ucciso dal crollo di un muro; Apparizione dei ss. Pietro e Paolo; D. e Bernardo protetti dalla pioggia; Liberazione di un indemoniato; Morte di D. e Visione di Guala - sono ordinate ai lati del santo che regge il libro con la scritta "Euntes in mundum universum praedicate".Nel complesso, bisogna notare come nel caso di D., ancor più che per s. Francesco, sia rilevante il passaggio di tópoi leggendari da santi più antichi: l'episodio della madre che sogna il cane appartiene, fra altre, alla leggenda di Bernardo di Chiaravalle, fondamentale modello di predicazione per D.; la risurrezione del muratore viene dalla leggenda di s. Benedetto; il sogno, come si è detto, da quella francescana; la vendita dei libri per fare elemosine è adattata, probabilmente, dalla leggenda di s. Lorenzo. Figurativamente, il Miracolo del libro potrebbe essere traslato dalla Prova del fuoco di s. Francesco (Cannon, 1980, p. 74), ma anche dalla tradizione iconografica dei concili (Walter, 1968), e il Miracolo dei pani dalla tipologia dell'Ultima Cena (come nella citata tavola di S. Maria e S. Domenico della Mascarella a Bologna).Di nuovo dodici sono le storie della pala d'altare aragonese del 1300 ca. proveniente da Tamarite de Litera, che presenta al centro D. con il giglio e il libro e raffigura molti degli episodi presenti anche nella pala napoletana, con un'affine sottolineatura miracolistica e narrativa (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya). Ordinate secondo un'intenzione decisamente tipologica sono le storie del santo nella vetrata proveniente da Wimpfen am Berg, del 1300 ca. (Erbach, Schlossmus.), originariamente affrontate a storie vetero e neotestamentarie; ne sopravvivono solo quattro (Sogno di Innocenzo, Autorizzazione di D., Morte e Messa di D.), ma la ricostruzione di Wentzel (1958) ha ipotizzato un ciclo complesso, costituito ancora una volta da dodici scene.Anche nei libri miniati la figura di D. e alcune delle sue storie hanno, evidentemente, molto spazio: ben presto l'introduzione nel calendario liturgico delle feste dei primi due santi domenicani offrì l'occasione per illustrarne la figura e alcune storie. Molto precoci sono due manoscritti, uno inglese (Eton, College Lib., 96, c. 23v; Morgan, 1982, pp. 140-141; Norton, Park, Binski, 1987, p. 42) e l'altro tedesco, il citato lezionario di Oxford, per il convento femminile di Heiligenkreuz a Ratisbona, in cui compare, oltre alla scena della Traslazione (c. 78v), quella della Morte del santo con la Visione del monaco Guala (c. 103v). Manca un'indagine soddisfacente a largo raggio sulle illustrazioni dei libri domenicani; tuttavia Cannon (1980) ha individuato, nei corali di Bologna, Gubbio, Perugia e Firenze, un congruo gruppo di raffigurazioni della Nascita, dell'Apparizione dei ss. Pietro e Paolo, della Pioggia miracolosa, della Morte del santo e della Visione di Guala, mentre è poco frequente la rappresentazione di D. in atto di predicare.Nel trittico di Francesco Traini, dipinto verso il 1344-1345 per la chiesa di S. Caterina a Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), come nella tavola di Napoli (Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte), sono presentate otto storie: la scena del Sogno della madre (che compare anche nella miniatura dell'antifonario di Firenze, Mus. di S. Maria Novella, E 1354); il Libro salvato dalle fiamme; il Salvataggio di pellegrini inglesi naufragati presso Tolosa - l'episodio, forse denso di echi antiereticali a causa della localizzazione tolosana e che ripropone un tópos, comune, per es., a s. Nicola di Bari e s. Nicola da Tolentino, e forse radicato nel tema della Navicella, si trova anche nella citata predella di Daddi per S. Maria Novella (Poznań, Wielkopolskie Muz. Wojskowe) -; il Sogno di Innocenzo, l'Apparizione dei ss. Pietro e Paolo, la Visione di Guala che alla morte di D. vede il santo ascendere al cielo su scale sorrette da Cristo e dalla Vergine, e infine la Morte e i funerali del santo. Di non grande rilievo ideologico appare il ciclo di affreschi trecenteschi nella chiesa dei Ss. Domenico e Giacomo a Bevagna (Krüger, 1992), mentre sottoposta a un importante lavoro di ripensamento e meditazione è la figura del santo nel ciclo di affreschi del Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella, dove a ognuno dei tre santi domenicani (D., Pietro Martire, Tommaso) è assegnato un ruolo assai calibrato. D., che appare nell'affresco c.d. della Via Veritatis, è associato con il simbolo tradizionale dei Domini Canes bianchi e neri nella fascia inferiore, in cui predica e confuta eretici, e ricompare, in posizione-chiave, nel livello superiore nell'atto di confessare un penitente; quindi, ancora sopra, garantisce l'ingresso in paradiso, assimilato così all'arcangelo Michele e inserito nella visione teologica e cosmologica ormai messa a punto dall'Ordine, giunto all'apice della sua fioritura.
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